Cicerone, De Finibus: Libro 02; 11-15

Cicerone, De Finibus: Libro 02; 11-15

Latino: dall'autore Cicerone, opera De Finibus parte Libro 02; 11-15
[11,33] Bestiarum vero nullum iudicium puto

Quamvis enim depravatae non sint, pravae tamen esse possunt

Ut bacillum aliud est inflexum et incurvatum de industria, aliud ita natum, sic ferarum natura non est illa quidem depravata mala disciplina, sed natura sua

Nec vero ut voluptatem expetat, natura movet infantem, sed tantum ut se ipse diligat, ut integrum se salvumque velit

Omne enim animal, simul et ortum est, se ipsum et omnes partes suas diligit duasque, quae maximae sunt, in primis amplectitur, animum et corpus, deinde utriusque partes

Nam sunt et in animo praecipua quaedam et in corpore, quae cum leviter agnovit, tum discernere incipit, ut ea, quae prima data sunt natura, appetat asperneturque contraria

[34] In his primis naturalibus voluptas insit necne, magna quaestio est
[11, 33] Quanito al giudizio delle bestie, secondo me non ha valore

Infatti, per quanto non abbiano subìto deformazione, possono ben essere perverse

Come un bastoncino può essere piegato e incurvato artificialmente ed un altro invece è nato con tale foggia, così lindole delle bestie non è deformata per cattiva educazione, ma è tale per natura propria

Daltra parte non è la natura ad imprimere nel neonato il desiderio del piacere, ma vi imprime soltanto lamore per se stesso, lo spirito di conservazione per la propria incolumità

In realtà, ogni essere vivente, appena nato, ama se stesso e tutte le sue parti, e anzitutto ne cura le due, che sono le più importanti, lanima e il corpo, poi le parti di ciascuna di queste due

Infatti sia nellanima che nel corpo vi sono certi elementi capitali, la cui conoscenza anche superficiale dà inizio al discernimento; cosicché vengono desiderati i principi fondamentali di natura e ricusati i loro contrari

[34] Se tra questi principi naturali vi sia o non vi sia il piacere, è un grosso problema
Nihil vero putare esse praeter voluptatem, non membra, non sensus, non ingenii motum, non integritatem corporis, non valitudinem [corporis], summae mihi videtur inscitiae

Atque ab isto capite fluere necesse est omnem rationem bonorum et malorum

Polemoni et iam ante Aristoteli ea prima visa sunt, quae paulo ante dixi

Ergo nata est sententia veterum Academicorum et Peripateticorum, ut finem bonorum dicerent secundum naturam vivere, id est virtute adhibita frui primis a natura datis

Callipho ad virtutem nihil adiunxit nisi voluptatem, Diodorus vacuitatem doloris
Credere però che non vi sia nulla tranne il piacere, né le membra, né i sensi, né la scintilia dellingegno, né lincolumità del corpo, né lo stato di salute, a me pare il colmo dellignoranza

Da questa sorgente deve sgorgare necessariamente tutta la dottrina del bene e del male

Polemone e già prima Aristotele riconobbero quei principi naturali che ho detto pocanzi

Di qui trasse origine la teoria dellAcademia antica e della scuola peripatetica, secondo cui il termine estremo del bene è vivere secondo natura, cioè fruire dei principi fondamentali di natura applicandovi la virtù

Callifonte aggiunse alla virtù solo il piacere, Diodoro lassenza di dolore
* * his omnibus, quos dixi, consequentes fines sunt bonorum, Aristippo simplex voluptas, Stoicis consentire naturae, quod esse volunt e virtute, id est honeste, vivere, quod ita interpretantur: vivere cum intellegentia rerum earum, quae natura evenirent, eligentem ea, quae essent secundum naturam, reicientemque contraria

[35] Ita tres sunt fines expertes honestatis, unus Aristippi vel Epicuri, alter Hieronymi, Carneadi tertius, tres, in quibus honestas cum aliqua accessione, Polemonis, Calliphontis, Diodori, una simplex, cuius Zeno auctor, posita in decore tota, id est in honestate; nam Pyrrho, Aristo, Erillus iam diu abiecti
** Per tutti questi che ho elencato esistono termini del bene conseguenti: per Aristippo il semplice piacere, per gli Stoici laccordo con la natura, che essi intendono come vita virtuosa, cioè onesta, di cui dànno la seguente interpretazione: vivere con la cognizione di ciò che accade per natura, scegliendo quel che è secondo natura e respingendo quel che le è contrario

[35] Così vi sono tre definizioni di termine estremo a cui è estranea lonestà: la prima è quella di Aristippo o di Epicuro, la seconda quella di leronimo, la terza quella di Carneade; altre tre in cui lonestà interviene con qualche complemento: quelle di Polemone, Callifonte e Diodoro; una sola è semplice, quella di cui è autore Zenone, che è fondata tutta sul decoro, vale a dire sullonestà; infatti Pirrone , Aristone ed Erillo già da un pezzo sono stati messi da parte

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Cicerone, De Finibus: Libro 05; 26-32
Cicerone, De Finibus: Libro 05; 26-32

Latino: dall'autore Cicerone, opera De Finibus parte Libro 05; 26-32

Reliqui sibi constiterunt, ut extrema cum initiis convenirent, ut Aristippo voluptas, Hieronymo doloris vacuitas, Carneadi frui principiis naturalibus esset extremum

[12]Epicurus autem cum in prima commendatione voluptatem dixisset, si eam, quam Aristippus, idem tenere debuit ultimum bonorum, quod ille; sin eam, quam Hieronymus, fecisset idem, ut voluptatem illam Aristippi in prima commendatione poneret

[36] Nam quod ait sensibus ipsis iudicari voluptatem bonum esse, dolorem malum, plus tribuit sensibus, quam nobis leges permittunt, privatarum litium iudices sumus
Tutti gli altri però furono coerenti nel far concordare il termine estremo con i principi iniziali: per Aristippo il termine estremo è il piacere, per leronimo lassenza di dolore, per Carneade la fruizione dei principi naturali

[12] Epicuro, avendo messo il piacere come prima inclinazione, se voleva intendere quello di Aristippo, avrebbe dovuto mantenere come punto ultimo del bene il medesimo di lui; se invece intendeva quello di Teronimo, non avrebbe dovuto porre il piacere di Aristippo come prima inclinazione

[36] Quanto alla sua asserzione che secondo il giudizio stesso dei sensi il piacere è un bene e il dolore un male, viene così attribuita ai sensi una facoltà maggiore di quella che a noi conccdono le leggi quando siamo giudici in una controversia privata
Nihil enim possumus iudicare, nisi quod est nostri iudiciiin quo frustra iudices solent, cum sententiam pronuntiant, addere: 'si quid mei iudicii est'; si enim non fuit eorum iudicii, nihilo magis hoc non addito illud est iudicatum

Quid iudicant sensus

Dulce amarum, leve asperum, prope longe, stare movere, quadratum rotundum

[37] Aequam igitur pronuntiabit sententiam ratio adhibita primum divinarum humanarumque rerum scientia, quae potest appellari rite sapientia, deinde adiunctis virtutibus, quas ratio rerum omnium dominas, tu voluptatum satellites et ministras esse voluisti

Quarum adeo omnium sententia pronuntiabit primum de voluptate nihil esse ei loci, non modo ut sola ponatur in summi boni sede, quam quaerimus, sed ne illo quidem modo, ut ad honestatem applicetur
Infatti, non possiamo giudicare nulla se non ciò che appartiene alla nostra facoltà di giudizio (a questo proposito è inutile laggiunta che sogliono fare i giudici nel pronunciare una sentenza: se è nella mia facoltà di giudicare ; se il fatto non rientrava nella loro facoltà di giudicare, anche senza questa aggiunta il giudizio non è avvenuto)

Su che verte il giudizio dei sensi

Giudicano se una cosa è dolce o amara, liscia o ruvida, vicina o lontana, ferma o in movimento, quadrata o rotonda

[37] Una sentenza equa verrà dunque pronunciata dalla ragione, anzitutto con il contributo della conoscenza di tutto il divino e di tutto lumano, che si può ben chiamare sapienza, e poi con il concorso delle virtù, che la ragione volle a capo di tutte le cose e tu volesti subordinare e asservire ai piaceri

E sul loro parere unanime sentenzierà anzitutto che non vè posto per il piacere, non solo come unico alla base del sommo bene a cui si volge la nostra indagine, ma neppure come appendice dellonestà

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Cicerone, De Finibus: Libro 02; 06-10

Latino: dall'autore Cicerone, opera De Finibus parte Libro 02; 06-10

De vacuitate doloris eadem sententia erit

[38] Reicietur etiam Carneades, nec ulla de summo bono ratio aut voluptatis non dolendive particeps aut honestatis expers probabitur

Ita relinquet duas, de quibus etiam atque etiam consideret

Aut enim statuet nihil esse bonum nisi honestum, nihil malum nisi turpe, cetera aut omnino nihil habere momenti aut tantum, ut nec expetenda nec fugienda, sed eligenda modo aut reicienda sint, aut anteponet eam, quam cum honestate ornatissimam, tum etiam ipsis initiis naturae et totius perfectione vitae locupletatam videbit

Quod eo liquidius faciet, si perspexerit rerum inter eas verborumne sit controversia

[13, 39] Huius ego nunc auctoritatem sequens idem faciam
Per la mancanza di dolore varrà lo stesso parere

[38] Sarà scareato anche Carneade, e non sarà accettata nessuna teoria sul sommo bene in cui abbia parte il piacere o il non provare dolore oppurc a cui sia estranea lonestà

Le resteranno così due teorie da prendere in attenta e assidua considerazione

O stabilirà che nulla è bene se non lonesto e nulla male se non il turpe e che tutto il resto non ha nessuna importanza, o per lo meno non tanta da meritare di essere ricercato o evitato ma solo di essere sceltoo rifiutato, oppure giudicherà migliore la teoria che le risulterà pienamente adorna di onestà e inoltre arricchita degli stessi principi naturali e della perfezione dellintera vita

E ciò le riuscirà tanto più chiaro se vorrà indagare se la divergenza fra tali teorie è sostanziale o puramente formale

[13, 39] Io ora, seguendo lautorità della ragione, procederò nello stesso modo
Quantum enim potero, minuam contentiones omnesque simplices sententias eorum, in quibus nulla inest virtutis adiunctio, omnino a philosophia semovendas putabo, primum Aristippi Cyrenaicorumque omnium, quos non est veritum in ea voluptate, quae maxima dulcedine sensum moveret, summum bonum ponere contemnentis istam vacuitatem doloris

[40] Hi non viderunt, ut ad cursum equum, ad arandum bovem, ad indagandum canem, sic hominem ad duas res, ut ait Aristoteles, ad intellegendum et agendum, esse natum quasi mortalem deum, contraque ut tardam aliquam et languidam pecudem ad pastum et ad procreandi voluptatem hoc divinum animal ortum esse voluerunt, quo nihil mihi videtur absurdius

[41] Atque haec contra Aristippum, qui eam voluptatem non modo summam, sed solam etiam ducit, quam omnes unam appellamus voluptatem

Aliter autem vobis placet
Per quanto mi sarà possibile, ridurrò al minimo le polemiche e riterrò da escludere completamente dalla filosofia tutte le teorie semplici, in cui la virtù non entra per nessuna parte; anzitutto quella di Aristippo e di tutti i Cirenaici, che non hanno avuto ritegno a far consistere il sommo bene in quel piacere che impressiona i sensi con la più grande dolcezza, disdegnando questa vostra mancanza di dolore

[40] Essi non savvidero che, come il cavallo è nato per correre, il bue per arare, il cane per andare a caccia, così luomo, come dice Aristotele , è nato, come se fosse un dio mortale, per due cose: il pensiero e lazione; vollero invece che questo essere divino fosse nato, come una qualche bestia lenta e fiacca, per mangiare e per il piacere di generare, e a mio parere non vè nulla di più assurdo

[41] E questo è contro Aristippo, che stima non solo massimo ma anche unico piacere quello che noi tutti chiamiamo semplicemente piacere

Diversa è però la vostra opinione

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Latino: dall'autore Cicerone, opera De Finibus parte Libro 03; 11-15

Sed ille, ut dixi, vitiose

Nec enim figura corporis nec ratio excellens ingenii humani significat ad unam hanc rem natum hominem, ut frueretur voluptatibus

Nec vero audiendus Hieronymus, cui summum bonum est idem, quod vos interdum vel potius nimium saepe dicitis, nihil dolere

Non enim, si malum est dolor, carere eo malo satis est ad bene vivendum

Hoc dixerit potius Ennius: 'Nimium boni est, cui nihil est mali'

Nos beatam vitam non depulsione mali, sed adeptione boni iudicemus, nec eam cessando, sive gaudentem, ut Aristippus, sive non dolentem, ut hic, sed agendo aliquid considerandove quaeramus

[42] Quae possunt eadem contra Carneadeum illud summum bonum dici, quod is non tam, ut probaret, protulit, quam ut Stoicis, quibuscum bellum gerebat, opponeret
Ma la sua, come ho detto, è erronea

Infatti né la figura del corpo né il superiore raziocinio dellingegno umano stanno a significare che luomo è nato solo per questo: godere dei piaceri

E non bisogna dar retta a Teronimo, per cui il sommo bene sidentifica con quello che voi talvolta, o meglio troppo spesso, dite tale: il non provar dolore

Infatti, se il dolore è un male, non è sufficiente per viver bene mancare ditale male

Ennio direbbe piuttosto così: ha troppo bene chi non ha nessun male

Giudichiamo la felicità della vita non dal male respinto ma dal bene acquistato, e cerchiamola, sia che consista nel provar gioia, come vuole Aristippo, sia nel non sentir dolore, come vuole questaltro, non con lozio inattivo ma con lazione ed il pensiero

[42] Queste medesime considerazioni possono valere contro il sommo bene di Carneade, che egli presentò il punto decisivo di tutta la questione relativa al sommo bene non tanto per convincere quanto per far opposizione agli Stoici, con cui era in guerra
Id autem eius modi est, ut additum ad virtutem auctoritatem videatur habiturum et expleturum cumulate vitam beatam, de quo omnis haec quaestio est

Nam qui ad virtutem adiungunt vel voluptatem, quam unam virtus minimi facit, vel vacuitatem doloris, quae etiamsi malo caret, tamen non est summum bonum, accessione utuntur non ita probabili, nec tamen, cur id tam parce tamque restricte faciant, intellego

Quasi enim emendum eis sit, quod addant ad virtutem, primum vilissimas res addunt, dein singulas potius, quam omnia, quae prima natura approbavisset, ea cum honestate coniungerent

[43] Quae quod Aristoni et Pyrrhoni omnino visa sunt pro nihilo, ut inter optime valere et gravissime aegrotare nihil prorsus dicerent interesse, recte iam pridem contra eos desitum est disputari
Esso è di tal natura, che, aggiunto alla virtù, sembra destinato ad aver peso e realizzare pienamente la felicità nella vita, e su tale punto verte tutto questo problema

Infatti, chi aggiunge alla virtù il piacere, che non è proprio per nulla stimato dalla virtù, ovvero lassenza di dolore, che, anche se è priva di male, non è tuttavia il sommo bene, ricorre ad un accessorio che non è degno di grande approvazione, ed io tuttavia non capisco perché lo facciano con tanta parsimonia e con tante riserve

Come se laggiunta alla virtù dovessero comprarla loro, anzitutto vi aggiungono elementi di scarsissimo valore, e poi uno alla volta, piuttosto che unire allonestà tutto ciò che la natura aveva approvato come principi fondamentali

[43] Dato che Aristono e Pirrone stimarono ciò senza alcuna importanza, al punto da dire che non cè assolutamente nessuna differenza fra godere ottima salute e avere la più grave malattia, ben a ragione già da tempo è cessata ogni disputa contro di loro

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Dum enim in una virtute sic omnia esse voluerunt, ut eam rerum selectione expoliarent nec ei quicquam, aut unde oriretur, darent, aut ubi niteretur, virtutem ipsam, quam amplexabantur, sustulerunt

Erillus autem ad scientiam omnia revocans unum quoddam bonum vidit, sed nec optimum nec quo vita gubernari possit

Itaque hic ipse iam pridem est reiectus; post enim Chrysippum non sane est disputatum

[14]Restatis igitur vos; nam cum Academicis incerta luctatio est, qui nihil affirmant et quasi desperata cognitione certi id sequi volunt, quodcumque veri simile videatur
Vollero infatti far consistere tutto nella virtù, tanto da privarla di ogni facoltà di scelta senza per altro concederle un punto di origine o di appoggio; cosi facendo, abolirono la virtù stessa a cui si attenevano strettamente

Erillo poi, facendo convergere tutto nella scienza, vide un solo bene, ma non è né lottimo né tale che possa essere norma di vita

Pertanto egli pure già da tempo è stato messo da parte; ed infatti, dopo Crisippo , più nessuno è entrato in disputa con lui

[14] Restate dunque voi, giacché la lotta con gli Academici è incerta: essi non fanno affermazioni di sorta e, quasi disperassero di poter giungere ad una conoscenza certa, vogliono seguire ciò che si presenta come verosimile

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