Petronio, Satyricon: 111-131, pag 5

Petronio, Satyricon: 111-131

Latino: dall'autore Petronio, opera Satyricon parte 111-131
Nescis tu, Magne, tueri Romanas arces

Epidamni moenia quaere, Thessalicosque sinus humano sanguine tingue'

'Factum est in terris quicquid Discordia iussit'

Cum haec Eumolpos ingenti volubilitate verborum effudisset, tandem Crotona intravimus

Vbi quidem parvo deversorio refecti, postero die amplioris fortunae domum quaerentes incidimus in turbam heredipetarum sciscitantium quod genus hominum aut unde veniremus

Ex praescripto ergo consilii communis exaggerata verborum volubilitate, unde aut qui essemus haud dubie credentibus indicavimus

Qui statim opes suas summo cum certamine in Eumolpium congesserunt
E tu, o Grande, non sai proteggere le rocche di Roma

Rifùgiati dentro Epidamno, e con sangue di uomo tingi i tessali golfi'

E sulla terra accadde ciò che Discordia volle

E mentre Eumolpo terminava con grande scioltezza di lingua la sua tirata in versi, finalmente entrammo a Crotone

Qui, dopo esserci rimessi un po' in sesto in un alberghetto, il giorno seguente, mentre ci stavamo cercando una sistemazione un po' più decorosa, ci imbattemmo in un gruppo di cacciatori di eredità, che ci chiesero chi fossimo e da dove venivamo

Attenendoci a quanto concertato nel piano, rispondemmo rifilando loro un sacco di frottole, riuscendo tranquillamente a convincerli sulla nostra identità e sulla nostra provenienza

E tra di loro fu subito una lotta accanita per mettere a disposizione di Eumolpo i propri beni; Tutti quei cacciatori di eredità facevano a gara a colpi di regali per conquistarsi la simpatia di Eumolpo
[CXXV] Dum haec magno tempore Crotone aguntur et Eumolpus felicitate plenus prioris fortunae esset oblitus statum, adeo ut suis iactaret neminem gratiae suae ibi posse resistere impuneque suos, si quid deliquissent in ea urbe, beneficio amicorum laturos

Ceterum ego, etsi quotidie magis magisque superfluentibus bonis saginatum corpus impleveram, putabamque a custodia mei removisse vultum Fortunam, tamen saepius tam consuetudinem meam cogitabam quam causam, et: 'Quid, aiebam, si callidus captator exploratorem in Africam miserit mendaciumque deprehenderit nostrum

Quid, si etiam mercennarius praesenti felicitate lassus indicium ad amicos detulerit, totamque fallaciam invidiosa proditione detexerit
125 Era già da un bel pezzo che noi ce la spassavamo in quel modo a Crotone, ed Eumolpo, al settimo cielo dalla felicità, non si ricordava già più della sua condizione passata, al punto che cominciava a vantarsi con gli intimi dicendo che lì nessuno era in grado di resistergli e che se in quella città qualcuno dei suoi compari avesse commesso qualche reato, l'avrebbe passata liscia grazie all'influenza delle sue conoscenze

Io, però, anche se passavo la giornata a rimpinzarmi con tutto quel ben di dio che avevamo in eccesso ed ero ormai quasi convinto che la sfortuna avesse smesso di braccarmi come un cane, ciò non ostante pensavo spesso alla mia presente condizione e a come ci fossi arrivato; Ma come la mettiamo se uno di questi sciacalli un po' più furbo degli altri spedisce un investigatore in Africa e scopre la nostra messinscena

E se il servo di Eumolpo, nauseato da questo benessere, si lascia scappare qualcosa coi suoi amici, e da invidioso qual è ci tradisce svelando tutta la frode
Nempe rursus fugiendum erit, et tandem expugnata paupertas nova mendicitate revocanda

Dii deaeque, quam male est extra legem viventibus

quicquid meruerunt, semper expectant'

[CXXVI] CHRYSIS ANCILLA CIRCES AD POLYAENVM: 'Quia nosti venerem tuam, superbiam captas vendisque amplexus, non commodas

Quo enim spectant flexae pectine comae, quo facies medicamine attrita et oculorum quoque mollis petulantia; quo incessus arte compositus et ne vestigia quidem pedum extra mensuram aberrantia, nisi quod formam prostituis ut vendas

Vides me: nec auguria novi nec mathematicorum caelum curare soleo; ex vultibus tamen hominum mores colligo, et cum spatiantem vidi, quid cogites scio
Sicuramente bisognerebbe di nuovo alzare i tacchi e, proprio adesso che ci siamo scrollati di dosso la miseria, ci toccherebbe vivere da pezzenti

O dèi e dee, certo che è dura la vita dei fuorilegge

Sono sempre lì ad aspettarsi che arrivi quel che si meritano

|[SATIRICON, 5]|126 CRISIDE, ANCELLA DI CIRCE, A POLIENO: Siccome lo sai di essere irresistibile, sei pieno di te, e i tuoi abbracci li vendi, invece di farne dono

A cosa ti servono tutti quei bei riccioli, quella faccia ritoccata dai cosmetici, quel tuo sguardo birichino, quel tuo sculettare ad arte, con passettini studiati apposta, se non per pubblicizzare le tue qualità per poi metterle in vendita

Stammi bene a sentire: io non sono una di quelle che sanno tutto di oroscopi e stanno a sentire gli astrologi, ma mi basta guardare in faccia le persone per capire che tipi sono, e se poi li vedo anche fare due passi sono capace di dirti pure quello che pensano

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Petronio, Satyricon: 01 - 15

Latino: dall'autore Petronio, opera Satyricon parte 01 - 15

Sive ergo nobis vendis quod peto, mercator paratus est, sive, quod humanius est, commodas, effice ut beneficium debeam

Nam quod servum te et humilem fateris, accendis desiderium aestuantis

Quaedam enim feminae sordibus calent, nec libidinem concitant, nisi aut servos viderint aut statores altius cinctos

Arena aliquas accendit, aut perfusus pulvere mulio, aut histrio scaenae ostentatione traductus

Ex hac nota domina est mea; usque ab orchestra quattuordecim transilit, et in extrema plebe quaerit quod diligat'

Itaque oratione blandissima plenus: 'Rogo, inquam, numquid illa, quae me amat, tu es

' Multum risit ancilla post tam frigidum schema et: 'Nolo, inquit, tibi tam valde placeas
Bando alle ciance: sia che tu venda quello che cerco (e il compratore è già bello e pronto), sia - e sarebbe anche più carino da parte tua - che lo regali, datti da fare perché io ti sia grata

Se poi vai a raccontare in giro di essere uno schiavo e un morto di fame, guarda che accendi una ch'è già abbastanza in calore

Perché ci sono delle tipe che si eccitano solo con la feccia: gli basta vedere un servo o uno stalliere con la veste tirata un po' su, e si infiammano subito

Altre, invece, le manda in fregola il circo, o un mulattiere impiastricciato di polvere, o ancora un attorucolo che si sia fatto un nome calcando le scene

La mia padrona è una di queste: lei salta oltre le quattordici file dei posti riservati nell'orchestra, per andarsi a prendere in mezzo alla gentaglia qualcuno che la faccia andare su di giri

Ringalluzzito da tutte quelle lusinghe, io le dissi: Ma dimmi un po', saresti tu quella che spasima per me

Ma la ragazza scoppiò a ridere a quella freddura e replicò: Vacci piano con le arie
Ego adhuc servo nunquam succubui, nec hoc dii sinant ut amplexus meos in crucem mittam

Viderint matronae, quae flagellorum vestigia osculantur; ego etiam si ancilla sum, nunquam tamen nisi in equestribus sedeo'

Mirari equidem tam discordem libidinem coepi atque inter monstra numerare, quod ancilla haberet matronae superbiam et matrona ancillae humilitatem

Procedentibus deinde longius iocis rogavi ut in platanona produceret dominam

Placuit puellae consilium

Itaque collegit altius tunicam flexitque se in eum daphnona, qui ambulationi haerebat

Nec diu morata dominam producit e latebris, laterique meo applicat mulierem omnibus simulacris emendatiorem

Nulla vox est quae formam eius possit comprehendere, nam quicquid dixero minus erit
Finora, a letto con un servo non ci sono mai andata, e prego gli dèi di evitarmi rapporti intimi con gente destinata alla croce

Con tipi come quelli se la vedano un po' le signore bene, che i segni delle frustate se li baciano pure; quanto a me, con tutto che sono solo una serva, se non sono almeno dei cavalieri, non mi ci metto

Io rimasi a bocca aperta di fronte a una simile differenza di gusti, e non riuscivo a darmi pace che un'ancella avesse la superbia di una signora, e una signora la bassezza di un'ancella

Dopo esserci scambiati ancora un bel po' di battute, chiesi all'ancella di portarmi la sua padrona nel boschetto di platani

L'idea le andò a genio

E si tirò su per bene la tunica andandosi a infilare in mezzo alle macchie di alloro che costeggiavano il vialetto

Un attimo dopo riemerse dal nascondiglio insieme alla sua padrona, e io mi ritrovai accanto una donna che era meglio di qualunque statua

Per descriverne la bellezza non ci sono parole adeguate, perché tutto quello che potrei tirar fuori non sarebbe all'altezza della realtà

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Petronio, Satyricon: 61-75

Latino: dall'autore Petronio, opera Satyricon parte 61-75

Crines ingenio suo flexi per totos se umeros effuderant, frons minima et quae radices capillorum retro flexerat, supercilia usque ad malarum scripturam currentia et rursus confinio luminum paene permixta, oculi clariores stellis extra lunam fulgentibus, nares paululum inflexae et osculum quale Praxiteles habere Dianam credidit

Iam mentum, iam cervix, iam manus, iam pedum candor intra auri gracile vinculum positus: Parium marmor extinxerat

Itaque tunc primum Dorida vetus amator contempsi

Quid factum est, quod tu proiectis, Iuppiter,armis inter caelicolas fabula muta taces

Nunc erat a torva submittere cornua fronte,nunc pluma canos dissimulare tuos

Haec vera est Danae

Tempta modo tangere corpus, iam tua flammifero membra calore fluent
I capelli naturalmente ondulati le si spargevano ovunque sulle spalle, pettinati all'indietro a partire dalla fronte minuta, mentre le sopracciglia le correvano fino alla linea delle guance andandosi quasi a unire tra gli occhi, che erano più limpidi delle stelle nelle notti senza luna, il naso era appena arcuato e le labbrucce come quelle che Prassitele immaginò avesse Diana

Per non dire del mento, del collo, delle mani e dei piedi, così bianchi tra i giri di una catenina dorata, che il marmo di Paro avrebbe sfigurato al confronto

E così, fu allora che per la prima volta mi sembrò di non provare più nulla per Doride, la mia fiamma di un tempo

Che ti succede, o Giove, che gettate a terra le armiresti tacito in mezzi agli dèi, tu idolo muto

Era questo il momento di ornare la fronte tua torva di cornae nascondere i bianchi capelli con candide piume

Ecco la vera Danae

Ma tu sfiorale il corpo soltanto, si scioglieranno le membra per ardore di fiamma che brucia
[CXXVII] Delectata illa risit tam blandum, ut videretur mihi plenum os extra nubem luna proferre

Mox digitis gubernantibus vocem: 'Si non fastidis, inquit, feminam ornatam et hoc primum anno virum expertam, concilio tibi, o iuvenis, sororem

Habes tu quidem et fratrem -- neque enim me piguit inquirere -- sed quid prohibet et sororem adoptare

Eoden gradu venio

Tu tantum dignare et meum osculum, cum libuerit, agnoscere

-- Immo, inquam, ego per formam tuam te rogo, ne fastidias hominem peregrinum inter cultores admittere

Invenies religiosum, si te adorari permiseris

Ac ne me iudices ad hoc templum Amoris gratis accedere, dono tibi fratrem meum

-- Quid, tu, inquit illa, donas mihi eum, sine quo non potes vivere, ex cuius osculo pendes, quem sic tu amas, quemadmodum ego te volo
127 Estasiata dal mio madrigale, la donna sorrise in maniera così soave da sembrarmi la luna quando fa capolino da una nube con la sua faccia piena

Poi, accompagnando con gesti le parole, disse: Se non disdegni, o bel giovine, una donna di classe che quest'anno ha conosciuto per la prima volta l'uomo, io ti offro l'amore di una sorella

So che tu hai già un fratellino - lo ammetto, ho preso qualche informazione -, ma chi ti impedisce di adottare anche una sorella

A me basta stare sul suo stesso piano

Tu dègnati solo, quando te ne vien voglia, di provare anche i miei di baci

Anzi replicai, sono io che ti scongiuro, in nome della tua bellezza, di voler ammettere tra i tuoi spasimanti uno straniero

Se ti lasci adorare, vedrai come sono devoto

E perché tu non debba pensare che io voglia entrare gratis nel tempio d'Amore, accetta in dono il mio fratellino

Ma come replicò lei, mi regali questo bel ragazzino senza il quale non puoi vivere e dalle cui labbra pendi, questo qui che tu ami come io vorrei essere amata da te

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Latino: dall'autore Petronio, opera Satyricon parte 31-45

’ Haec ipsa cum diceret, tanta gratia conciliabat vocem loquentis, tam dulcis sonus pertemptatum mulcebat aera, ut putares inter auras canere Sirenum concordiam

Itaque miranti, et toto mihi caelo clarius nescio quid relucente, libuit deae nomen quaerere

'Ita, inquit, non dixit tibi ancilla mea Circen me vocari

Non sum quidem Solis progenies, nec mea mater, dum placet, labentis mundi cursum detinuit

Habebo tamen quod caelo imputem, si nos fata coniunxerint

Immo iam nescio quid tacitis cogitationibus deus agit

Nec sine causa Polyaenon Circe amat: semper inter haec nomina magna fax surgit

Sume ergo amplexum, si placet

Neque est quod curiosum aliquem extimescas: longe ab hoc loco frater est'

Dixit haec Circe, implicitumque me brachiis mollioribus pluma deduxit in terram vario gramine indutam
Mentre pronunciava queste parole, la sua voce era accompagnata da una tale grazia, e un suono così dolce carezzava l'aria, che sembrava di sentire nell'aria l'armonioso canto delle Sirene

E mentre ero lì in estasi che la contemplavo e tutto il cielo intorno brillava di un non so che di più splendente, volli sapere il nome di quella dea

E così disse lei la mia ancella non ti ha detto che mi chiamo Circe

Ma non sono figlia del Sole, e mia madre non fermò, a piacer suo, il corso del mondo

Eppure, se il destino vorrà vederci uniti, avrò lo stesso motivo di render grazie al cielo

Anzi, penso che un dio sia già all'opera con non so quali suoi taciti progetti

E non è senza un motivo che Circe ama Polieno: da sempre tra questi due nomi divampa una grande passione

Avanti, se ne hai voglia prendimi pure

e non temere se qualcuno ci vede, perché tanto il tuo fratellino non c'è

Così disse Circe e, abbracciandomi con quelle sue braccia morbide come la piuma, mi attirò a terra su un prato che era tutto colori
Idaeo quales fudit de vertice flores terra parens, cum se concesso iunxit amori Iuppiter et toto concepit pectore flammas: emicuere rosae violaeque et molle cyperon, albaque de viridi riserunt lilia prato: talis humus Venerem molles clamavit in herbas candidiorque dies secreto favit amori

In hoc gramine pariter compositi mille osculis lusimus quaerentes voluptatem robustam

[CXXVIIII] CIRCE AD POLYAENVM: 'Quid est

inquit; numquid te osculum meum offendit

Numquid spiritus ieiunio marcet

Numquid alarum negligens sudor

Puto, si haec non sunt, numquid Gitona times

Perfusus ego rubore manifesto etiam si quid habueram virium, perdidi, totoque corpore velut laxato:Quaeso, inquam, regina, noli suggillare miserias

Veneficio contactus sum'

CIRCE: 'Dic, Chrysis, sed verum: numquid indecens sum

Numquid incompta
Come i fiori che in vetta dell'Ida cosparse la madre Terra, nel giorno in cui Giove si unì al suo legittimo amore e l'ardere delle fiamma sentì nel petto: brillarono le rose, le viole e il cipero dolce, e risero i bianchi gigli sul verde del prato: così ci invitava all'amplesso la terra su soffici erbe,e candido il giorno inneggiava all'amore segreto

Ugualmente avvinghiati in quel prato, ci divoravamo in un gioco di baci, nell'attesa del piacere più intenso

128 CIRCE A POLIENO: Ma cosa t'è preso

sbottò a un tratto Forse ti danno fastidio i miei baci

Non avrò per caso l'alito cattivo per colpa del digiuno

O del sudore rancido sotto le ascelle

Ma se non è così, e lo credo, non sarà mica perché hai paura di Gitone

E io, tutto rosso in faccia per la vergogna, persi anche quel poco di forze che mi restavano, e col corpo che mi si afflosciava dissi: Non schernire, ti prego, o regina, le mie sventure

qui mi sa che sono vittima di una fattura

CIRCE: Criside, sii sincera, dimmi la verità: sono brutta

Non sono vestita come si deve

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numquid ab aliquo naturali vitio formam meam excaeco

Noli decipere dominam tuam

Nescio quid peccavimus'

Rapuit deinde tacenti speculum, et postquam omnes vultus temptavit, quos solet inter amantes risus fingere, excussit vexatam solo vestem raptimque aedem Veneris intravit

Ego contra damnatus et quasi quodam visu in horrorem perductus interrogare animum meum coepi, an vera voluptate fraudatus essem

Nocte soporifera veluti cum somnia ludunterrantes oculos effossaque protulit aurumin lucem tellus: versat manus improba furtumthesaurosque rapit, sudor quoque perluit oraet mentem timor altus habet, ne forte gravatumexcutiat gremium secreti conscius auri:mox ubi fugerunt elusam gaudia mentemveraque forma redit, animus, quod perdidit, optat atque in praeterita se totus imagine versat
C'è qualche difetto che offusca la mia bellezza

Non ingannare la tua padrona

Non lo so proprio in cosa ho sbagliato

E dato che la ragazza non apriva bocca, le strappò di mano uno specchio e, dopo aver provato tutte le espressioni che la gioia di solito disegna sui volti degli innamorati, si aggiustò un attimo il vestito spiegazzato dal contatto con la terra e poi si infilò in fretta e furia nel tempio di Venere

Io invece, con la faccia da condannato e i brividi dappertutto come se avessi visto un fantasma, cominciai a chiedermi se non ero stato defraudato del vero piacere

Così, nel sopore della notte, quando i sogni c'illudonogli occhi errabondi e la terra sventrata ci mostraalla luce dell'oro, rapace la mano soppesa il tesoroe lo rapisce, sul volto si spande il sudore, stringeil cuore la paura che possa qualcuno scoprireil segreto e ci strappi dal grembo il bottino; Quando poi l'illusione svanisce e al vero ritorna la mente, brama l'animo ciò che ha perduto, e nel sogno scomparso con tutti i suoi sensi s'aggira

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