Petronio, Satyricon: 111-131, pag 6

Petronio, Satyricon: 111-131

Latino: dall'autore Petronio, opera Satyricon parte 111-131
GITON AD ENCOLPION: 'Itaque hoc nomine tibi gratias ago, quod me Socratica fide diligis

Non tam intactus Alcibiades in praeceptoris sui lecto iacuit'

[CXXIX] ENCOLPIVS AD GITONEM: 'Crede mihi, frater, non intellego me virum esse, non sentio

Funerata est illa pars corporis, qua quondam Achilles eram'

Veritus puer ne in secreto deprehensus daret sermonibus locum, proripuit se et in partem aedium interiorem fugit

Cubiculum autem meum Chrysis intravit, codicillosque mihi dominae suae reddidit, in quibus haec erant scripta: 'CIRCE POLYAENO SALVTEM

Si libidinosa essem, quererer decepta; nunc etiam languori tuo gratias ago

In umbra voluptatis diutius lusi

Quid tamen agas quaero, et an tuis pedibus perveneris domum; negant enim medici sine nervis homines ambulare posse

Narrabo tibi, adulescens, paralysin cave
GITONE A ENCOLPIO: E così ti ringrazio davvero per questo tuo amore socratico che hai verso di me

Nemmeno Alcibiade dormì così intatto nel letto del suo precettore

129 ENCOLPIO A GITONE: Mi devi credere, caro fratellino mio, ma mi sembra di non essere nemmeno più un uomo, di non provare più nulla

ormai morta e sepolta quella parte del mio corpo, dove prima io ero un Achille

Siccome il ragazzino temeva di dar adito a chiacchiere se lo trovavano lì con me, schizzò via come una furia e andò a rintanarsi nell'angolo più lontano della casa

Ma a entrare nella mia stanza fu invece Criside, che mi consegnò un biglietto della sua padrona nel quale c'era scritto: Caro Polieno

se io fossi una che bada solo ai sensi, sarei qui a lamentarmi per la delusione

Devo invece ringraziare la tua debolezza

perché mi ha permesso di godermi più a lungo i preliminari; vorrei però sapere come ti senti e se a casa ci sei ritornato con le tue gambe, visto che, stando a quanto dicono i medici, senza nervi non si cammina più

Ascoltami bene, tesoro, occhio alla paralisi
Nunquam ego aegrum tam magno periculo vidi; medius iam peristi

Quod si idem frigus genua manusque temptaverit tuas, licet ad tubicines mittas

Quid ergo est

Etiam si gravem iniuriam accepi, homini tamen misero non invideo medicinam

Si vis sanus esse, Gitonem roga

Recipies, inquam, nervos tuos, si triduo sine fratre dormieris

Nam quod ad me attinet, non timeo ne quis inveniatur cui minus placeam nec speculum mihi nec fama mentitur

Vale, si potes'

Ut intellexit Chrysis perlegisse me totum convicium: 'Solent, inquit, haec fieri, et praecipue in hac civitate, in qua mulieres etiam lunam deducunt

Itaque huius quoque rei cura agetur

Rescribe modo blandius dominae, animumque eius candida humanitate restitue

Verum enim fatendum: ex qua hora iniuriam accepit, apud se non est'
perché uno mal preso come te non l'ho mica mai visto; sei già mezzo spacciato

e se quel gelo ti arriva alle ginocchia e alle mani, puoi pure chiamare le pompe funebri

E allora

Anche se è grave l'offesa che ho ricevuto, non voglio negare la medicina a uno che sta così male

Se vuoi guarire, raccomandati a Gitone

Ti garantisco, riacquisterai le forze, se solo per tre notti non vai a letto col fratellino

Quanto a me, niente paura: se la fama e lo specchio non mi ingannano, qualcuno cui piacere lo trovo ancora

Stammi bene, se ci riesci

Quando Criside vide che avevo finito di leggere quella presa in giro, disse: Ma dài, son cose che succedono, specie in questa città, dove le donne son capaci di tirarti giù perfino la luna dal cielo

Tranquillo che un rimedio lo troviamo

Tanto per cominciare, rispondi alla padrona buttandole giù qualche parola carina, e restituiscile coraggio col candore della sincerità

Perché è meglio ti dica come stanno le cose: da quando ha subito l'offesa, la mia padrona è fuori di sé
Libenter quidem parui ancillae, verbaque codicillis talia imposui: [CXXX] 'POLYAENOS CIRCAE SALVTEM

Fateor me, domina, saepe peccasse; nam et homo sum et adhuc iuvenis

Numquam tamen ante hunc diem usque ad mortem deliqui

Habes confitentem reum: quicquid iusseris, merui

Proditionem feci, hominem occidi, templum violavi: in haec facinora quaere supplicium

Sive occidere placet, ferro meo venio; sive verberibus contenta es, curro nudus ad dominam

Illud unum memento, non me sed instrumenta peccasse

Paratus miles arma non habui

Quis hoc turbaverit nescio

Forsitan animus antecessit corporis moram, forsitan dum omnia concupisco, voluptatem tempore consumpsi

Non invenio quod feci
Seguii di buon grado il consiglio della ragazza e misi per iscritto quanto segue:130 Polieno a Circe: salve

Ti confesso, o mia regina, di aver peccato parecchio, ma sono un uomo e per giunta giovane

Prima di oggi però non ero mai incappato in un peccato mortale

Eccoti qua davanti un reo confesso: qualunque sia il tuo verdetto, sarà meritato

Mi son macchiato di tradimento, ho ucciso un uomo e ho profanato un tempio: trova tu un adeguato castigo per questi misfatti

Se ritieni che io debba morire, verrò da te con la mia spada; se ti basterà farmi frustare, allora correrò nudo dalla mia regina

Ricòrdati però di una cosa soltanto: non son stato io a fallire, ma l'arnese

Il soldato era pronto, sono state le armi a mancare

Chi abbia provocato il pasticcio, lo ignoro

Forse la smania interiore ha preso sul tempo gli indugi del corpo; o forse, volendoti tutta godere, ho sprecato il piacere prima del tempo

Non riesco a capire che diamine ho combinato

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Petronio, Satyricon: 31-45
Petronio, Satyricon: 31-45

Latino: dall'autore Petronio, opera Satyricon parte 31-45

Paralysin tamen cavere iubes: tanquam iam maior fieri possit, quae abstulit mihi per quod etiam te habere potui

Summa tamen excusationis meae haec est: placebo tibi, si me culpam emendare permiseris'

Dimissa cum eiusmodi pollicitatione Chryside curavi diligentius noxiosissimum corpus, balneoque praeterito modica unctione usus, mox cibis validioribus pastus, id est bulbis cochlearumque sine iure cervicibus, hausi parcius merum

Hinc ante somnum levissima ambulatione compositus sine Gitone cubiculum intravi

Tanta erat placandi cura, ut timerem ne latus meum frater convelleret

[CXXXI] Postero die, cum sine offensa corporis animique consurrexissem, in eundem platanona descendi, etiam si locum inauspicatum timebam, coepique inter arbores ducem itineris expectare Chrysidem
Mi dici poi di stare attento alla paralisi: come se ce ne fosse una ancora peggiore di questa, che mi ha impedito di farti mia

Eccoti però il succo delle mie scuse: vedrai che saprò soddisfarti, se solo mi darai modo di rimediare alla mia colpa

Dopo aver congedato Criside con questa promessa, mi presi cura con ogni attenzione di quello sciagurato mio corpo, iniziando col ricorrere a un leggero massaggio, invece del solito bagno; poi buttai giù della roba afrodisiaca, cioè cipolle e teste di lumaca senza salsa, con meno vino del solito

Poi, dopo aver fatto due passi, mi infiliai a letto senza Gitone

La voglia di far pace con Circe era così forte, da temere che il fratellino mi sfiorasse anche solo col fianco

131 Il giorno dopo, essendomi alzato senza più alcun disturbo di natura fisica e psicologica, mi recai di nuovo in quello stesso viale coi platani, anche se ormai avevo il sospetto che si trattasse di un posto un po' iellato, e rimasi lì tra gli alberi ad aspettare Criside che mi indicasse la strada
Nec diu spatiatus consederam, ubi hesterno die fueram, cum illa intervenit comitem aniculam trahens

Atque ut me consalutavit: 'Quid est, inquit, fastose, ecquid bonam mentem habere coepisti'

Illa de sinu licium prolulit varii coloris filis intortum, cervicemque vinxit meam

Mox turbatum sputo pulverem medio sustulit digito, frontemque repugnantis signavit

Hoc peracto carmine ter me iussit expuere terque lapillos conicere in sinum, quos ipsa praecantatos purpura involuerat, admotisque manibus temptare coepit inguinum vires

Dicto citius nervi paruerunt imperio, manusque aniculae ingenti motu repleverunt

At illa gaudio exultans: 'Vides, inquit, Chrysis mea, vides, quod aliis leporem excitavi
Stanco di andare su e giù, mi ero seduto nel punto del giorno prima ed eccola arrivare in compagnia di una vecchietta

E dopo avermi salutato, mi disse: E allora, pagliaccio, oggi andiamo un po' meglio

La vecchia, intanto, tirò fuori dal grembo un cordoncino intrecciato con fili di diverso colore e me lo legò al collo

Poi raccolse col dito medio un po' di terriccio, ci sputò sopra e mi tracciò dei segni sulla fronte, anche se io cercavo di oppormi schifato

Dopo aver pronunciato questa formula magica, la vecchietta mi ordinò di sputare tre volte e di tirarmi per tre volte contro il petto dei sassolini incantati che aveva portato avvolti in uno straccetto di porpora

Poi, allungando le mani, cominciò a manipolarmi l'affare, che obbedì all'istante, gonfiandosi e indurendosi in maniera così spettacolare da riempire le mani della vecchia

E quella esultante esclamò: Guarda un pochino, Criside mia, che bel leprotto ti ho stanato perché un'altra se lo goda

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Petronio, Satyricon: 61-75
Petronio, Satyricon: 61-75

Latino: dall'autore Petronio, opera Satyricon parte 61-75

Mobilis aestivas platanus diffuderat umbraset bacis redimita Daphne tremulaeque cupressus et circum tonsae trepidanti vertice pinus

Has inter ludebat aquis errantibus amnisspumeus, et querulo vexabat rore lapillos

Dignus amore locus: testis silvestris aedonatque urbana Procne, quae circum gramina fusae et molles violas cantu sua rura colebant

Premebat illa resoluta marmoreis cervicibus aureum torum myrtoque florenti quietum verberabat

Itaque ut me vidit, paululum erubuit, hesternae scilicet iniuriae memor; deinde ut remotis omnibus secundum invitantem consedi, ramum super oculos meos posuit et quasi pariete interiecto audacior facta: 'Quid est, inquit, paralytice

Ecquid hodie totus venisti -- Rogas, inquam ego, potius quam temptas
Il platano mobile l'ombra estiva diffonde, e il tremulo cipresso, e Dafne coperta di bacche, e pini potati dalle cime ondeggianti

Lì in mezzo giocavano le acque errabonde di un rivospumoso, smeriglio dei ciottoli le querule onde

Un luogo degno d'amore: ne davano conferma l'aedo silvestre e Procne l'urbana, che a volo sui prati d'intornoe su tenere viole un inno levavano ai campi

Mollemente adagiata sul letto, lei poggiava il suo collo marmoreo su un cuscino dorato, e con un mirto in fiore si faceva vento lentamente

Appena mi vide, arrossì un pochino, memore forse del brutto scherzo che le avevo fatto il giorno prima; quando però tutti i presenti si ritirarono e mi invitò a sdraiarmi accanto a lei, mi coprì gli occhi con il rametto e, quasi resa più sbarazzina da quella specie di schermo tra di noi, disse: E allora, mio bel paralitico, oggi sei venuto tutto intero

Perché fai tante domande replicai io invece di toccare con mano
Totoque corpore in amplexum eius immissus non praecantatis usque ad satietatem osculis fruor

E abbandonatomi tutto nel suo abbraccio, ormai senza bisogno di incantesimi, andai avanti a baciarla fino a non poterne più

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