Petronio, Satyricon: 111-131, pag 3

Petronio, Satyricon: 111-131

Latino: dall'autore Petronio, opera Satyricon parte 111-131

Praeterea habere in Africa trecenties sestertium fundis nominibusque depositum; nam familiam quidem tam magnam per agros Numidiae esse sparsam, ut possit vel Carthaginem capere

Secundum hanc formulam imperamus Eumolpo, ut plurimum tussiat, ut sit modo solutioris stomachi cibosque omnes palam damnet; loquatur aurum et argentum fundosque mendaces et perpetuam terrarum sterilitatem; sedeat praeterea quotidie ad rationes tabulasque testamenti omnibus renovet

Et ne quid scaenae deesset, quotiescunque aliquem nostrum vocare temptasset, alium pro alio vocaret, ut facile appareret dominum etiam eorum meminisse, qui praesentes non essent

His ita ordinatis, 'quod bene feliciterque eveniret ' precati deos viam ingredimur
In Africa aveva però ancora un capitale di trenta milioni in terreni e in crediti, e un numero così elevato di schiavi, sparsi un po' in giro per le campagne della Numidia, che con loro avrebbe potuto conquistare perfino Cartagine

In base a queste premesse di copione, suggeriamo a Eumolpo di tossire spesso, di far finta di avere la gastrite e proprio per questo di rifiutare, davanti agli altri, qualunque tipo di cibo; di parlare in continuazione di oro e d'argento, dei terreni che non rendono e della costante sterilità dei suoi sterminati possedimenti

E poi di mostrarsi ogni giorno alle prese con conti vari e di cambiare testamento una volta al mese; Infine, perché non mancasse proprio nulla a quella sceneggiata, di confondere i vostri nomi ogni volta che ci chiamava, per dare così l'impressione di ricordarsi anche dei servi che non erano lì insieme a lui

Dopo avere rifinito il nostro piano, preghiamo gli dèi che ce la mandino buona e poi ci rimettiamo per strada
Sed neque Giton sub insolito fasce durabat, et mercennarius Corax, detractator ministerii, posita frequentius sarcina male dicebat properantibus, affirmabatque se aut proiecturum sarcinas aut cum onere fugiturum

'Quid vos, inquit, iumentum me putatis esse aut lapidariam navem

Hominis operas locavi, non caballi

Nec minus liber sum quam vos, etiam si pauperem pater me reliquit'

Nec contentus maledictis tollebat subinde altius pedem, et strepitu obsceno simul atque odore viam implebat

Ridebat contumaciam Giton et singulos crepitus eius pari clamore prosequebatur

[CXVIII] EVMOLPVS : 'Multos, inquit Eumolpus, o iuvenes, carmen decepit

Nam ut quisque versum pedibus instruxit sensumque teneriorem verborum ambitu intexuit, putavit se continuo in Heliconem venisse
Ma Gitone non ce la faceva a portare quel carico cui non era abituato, e il servo Corace, imprecando contro il suo mestiere, a ogni passo appoggiava a terra il bagaglio, prendendosela con la nostra fretta e minacciandoci che avrebbe abbandonato lì ogni cosa, o che se la sarebbe svignata con tutta la nostra roba

Ma cosa credete che sia sbottò poi, un mulo o una nave da carico

Mi sono messo a disposizione per fare il lavoro di un uomo, non di un cavallo

E non sono meno libero di voi, anche se mio padre mi ha lasciato povero

Ma dare in escandescenze non gli bastava mica: ogni tanto alzava una gamba e riempiva la strada di rumori vergognosi corredati da adeguati profumini

Queste bizze polemiche di Corace destavano il riso di Gitone, che a sua volta ne accompagnava ogni crepitio con un verso della bocca di uguale efficacia

118 EUMOLPO: Cari ragazzi miei, non sapete quanti la poesia ne ha illusi

Infatti basta che uno metta insieme un verso e rabberci qualche idea in una frase elegante, che subito si crede d'essere arrivato in cima all'Elicona
Sic forensibus ministeriis exercitati frequenter ad carminis tranquillitatem tanquam ad portum feliciorem refugerunt, credentes facilius poema extrui posse, quam controversiam sententiolis vibrantibus pictam

Ceterum neque generosior spiritus vanitatem amat, neque concipere aut edere partum mens potest nisi intrenti flumine litterarum inundata

Refugiendum est ab omni verborum, ut ita dicam, vilitate et sumendae voces a plebe summotae, ut fiat odi profanum vulgus et arceo

Praeterea curandum est, ne sententiae emineant extra corpus orationis expressae, sed intexto vestibus colore niteant

Homerus testis et lyrici, Romanusque Vergilius et Horatii curiosa felicitas

Ceteri enim aut non viderunt viam qua iretur ad carmen, aut visam timuerunt calcare
Ed è per questo che moltissimi avvocati, sfiniti dal lavoro in tribunale, si rifugiano nella serenità della poesia come se fosse un porto più tranquillo, convinti che sia più facile mettere insieme dei versi che un'arringa traboccante di pensierini vigorosi

Ma uno spirito eletto disprezza la superficialità, e la mente non è in grado di concepire o di creare nulla di buono, se non è per così dire inondata dal grande fiume della cultura

obbligatorio evitare le trivialità del lessico, e usare parole sconosciute alla massa, in modo da mettere in pratica il famoso principio'odio il volgo profano e ne giro alla larga'

Bisogna poi evitare che i concetti esulino troppo dal contesto generale: devono invece venir inseriti armonicamente, in modo da risplendere come i colori di un tessuto

Prova ne siano Omero e i lirici, o il romano Virgilio e Orazio che è così felice nella descrizione dei particolari

Quanto agli altri, o non sono riusciti a imboccare la strada giusta che porta alla poesia o, se l'hanno imboccata, non hanno avuto il coraggio di percorrerla fino in fondo

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Petronio, Satyricon: 61-75
Petronio, Satyricon: 61-75

Latino: dall'autore Petronio, opera Satyricon parte 61-75

Ecce belli civilis ingens opus quisquis attigerit nisi plenus litteris, sub onere labetur

Non enim res gestae versibus comprehendendae sunt, quod longe melius historici faciunt, sed per ambages deorumque ministeria et fabulosum sententiarum tormentum praecipitandus est liber spiritus, ut potius furentis animi vaticinatio appareat quam religiosae orationis sub testibus fides

Tanquam si placet hic impetus, etiam si nondum recepit ultimam manum

[CXIX] 'Orbem iam totum victor Romanus habebat, qua mare, qua terrae, qua sidus currit utrumque; nec satiatus erat

Gravidis freta pulsa carinis iam peragebantur; si quis sinus abditus ultra, si qua foret tellus, quae fuluum mitteret aurum, hostis erat, fatisque in tristia bella paratis quaerebantur opes
Per esempio, prendete un po' un soggetto stupendo come la guerra civile: se qualcuno volesse affrontarlo senza però essere sorretto da un'adeguata mole di studi, rimarrebbe schiacciato dal peso

Il problema infatti non è tanto quello di trattare in versi una successione di eventi (campo questo in cui gli storici riescono di gran lunga meglio), quanto piuttosto quello di avventurarsi con la fantasia attraverso peripezie e interventi di divinità, vicende reali e inventate, in modo che il risultato finale sembri più il fervore di una mente davvero ispirata che non il racconto scrupoloso basato su testimonianze certe

Tipo questa mia improvvisazione, se vi va di sentirla, anche se non ha ancora ricevuto l'ultima mano

119 I Romani regnavano signori vittoriosi del mondo,per terra e per mare, là dove corrono entrambi i soli,eppure non erano sazi

E ancora solcavano i flutti battuti da grosse carene; Se un golfo s'apriva nascosto, o qualche terra che l'oro brillante esportasse, lì c'era il nemico e, pronti alla triste guerra i destini, ne predavano i beni
Non vulgo nota placebant gaudia, non usu plebeio trita voluptas

Aes Ephyreiacum laudabat miles in unda;quaesitus tellure nitor certaverat ostro;Hinc Numidae accusant, illinc nova vellera Seres atque Arabum populus sua despoliaverat arva

Ecce aliae clades et laesae vulnera pacis

Quaeritur in silvis auro fera, et ultimus HammonAfrorum excutitur, ne desit belua dentead mortes pretiosa; fame premit advena classes, tigris et aurata gradiens vectatur in aula, ut bibat humanum populo plaudente cruorem

Heu, pudet effari perituraque prodere fata,Persarum ritu male pubescentibus annissurripuere viros, exsectaque viscera ferroin venerem fregere, atque ut fuga mobilis aevicircumscripta mora properantes differat annos,quaerit se natura nec invenit
Non piacevano più i piaceri di un tempo, non le gioie travolte dall'uso comune

Lodavano il bronzo corinzio i soldati, si cercavanel cuor della terra una luce più viva dell'ostro,tessuti mai visti ne traevano Numidi e Seri,e i popoli d'Arabia avevano spogliato i propri campi

Ecco nuove stragi e ferite inferte alla pace

Si acquistano con l'oro le belve nei boschi, si scovanoai limiti dell'africo Ammone, che non manchi la belvadai denti preziosi per la morte; una fame straniera colpisce le navi, e pace non trova la tigre tradotta con gabbia dorata, a bere il sangue dell'uomo dinanzi a una folla festante

Ahi, che vergogna svelare l'amaro destino che incalza; Come fanno i Persiani, rapiscono i giovani nel fiore degli anni, e il membro gli troncano col ferro, perché ignorino il sesso, e ritardino il corso del tempo che vola e la fuga degli anni, mentre cerca se stessa natura e non sa ritrovarsi

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Petronio, Satyricon: 132-141
Petronio, Satyricon: 132-141

Latino: dall'autore Petronio, opera Satyricon parte 132-141

Omnibus ergo scorta placent fractique enerui corpore gressus et laxi crines et tot nova nomina vestis, quaeque virum quaerunt

Ecce Afris eruta terris citrea mensa greges servorum ostrumque renidens, ponitur ac maculis imitatur vilius aurum quae sensum trahat

Hoc sterile ac male nobile lignum turba sepulta mero circum venit, omniaque orbis praemia correptis miles vagus esurit armis

Ingeniosa gula est

Siculo scarus aequore mersusad mensam vivus perducitur, atque Lucriniseruta litoribus vendunt conchylia cenas,ut renovent per damna famem

Iam Phasidos unda orbata est avibus, mutoque in litore tantum solae desertis adspirant frondibus aurae

Nec minor in Campo furor est, emptique Quirites ad praedam strepitumque lucri suffragia vertunt

Venalis populus, venalis curia patrum:est favor in pretio
Son le checche che piacciono a tutti coi loro flaccidi corpi,i capelli al vento, le mille novità della modae tutto ciò che eccita il maschio

Sradicata dall'Africa ecco una tavola in cedro che riverbera stuoli di schiavi e di porpore, screziata di macchie simili all'oro, che in bellezza lo vincono e attirano lo sguardo

Sepolta nel vino una folla circonda questa tavola sterilee a torto pregiata, e insegue errabondo il soldatola preda con in pugno le armi per le strade del mondo

Ingegnosa è la gola

Lo scaro che nuota nel mar di Sicilialo portano vivo alla mensa, e l'ostrica colta sui lidi lucrinila vendono per cene sontuose, come stimolo subdoloalla fame

Già le acque del Fasi son deserte d'uccelli, e nel vuoto fogliame resta solo il sospiro dell'aria

Stessa folle demenza nel Campo e si svendono i Quiriti,e rivolgono i voti al sonante denaro e al profitto

Una merce è la massa, una merce è la Curia dei padri,e il favore è in vetrina col prezzo
Senibus quoque libera virtus exciderat, sparsisque opibus conversa potestas ipsaque maiestas auro corrupta iacebat

Pellitur a populo victus Cato; tristior ille est,qui vicit, fascesque pudet rapuisse Catoni

Namque -- hoc dedecoris populo morumque ruina -- non homo pulsus erat, sed in uno victa potestas Romanumque decus

Quare tam perdita Roma ipsa sui merces erat et sine vindice praeda

Praeterea gemino deprensam gurgite plebemfaenoris inluvies ususque exederat aeris

Nulla est certa domus, nullum sine pignore corpus, sed veluti tabes tacitis concepta medullis intra membra furens curis latrantibus errat

Arma placent miseris, detritaque commoda luxuvulneribus reparantur

Inops audacia tuta est

Hoc mersam caeno Romam somnoque iacentem quae poterant artes sana ratione movere, ni furor et bellum ferroque excita libido
Anche il libero cuore dei senatori è venuto meno, e dispersi gli averi il potere ad altri è passato; Giace guasta dall'oro anche la somma maestà

sconfitto e scacciato dal popolo Catone,ma più triste chi vinse, che a Catone i fasci ha strappato

E infatti - questa è l'onta del popolo e il crollodi tutti i principi - non fu l'uomo soltanto sconfitto,ma con lui si piegò in un tratto la potenza e l'onoredi Roma

A tal punto era Roma corrotta che vendeva se stessa e chiunque poteva predarla

Travolta nel mentre da duplice gorgo, la plebecedeva al diluvio d'usura e al debito fatto sistema

Non c'è casa sicura, non c'è corpo che pegno non abbia,come fosse una peste che nata nel cuore dei corpifuriosa dilani le membra tra spasimi atroci

Le armi piacciono ai miseri, perché i beni distrutti dal lusso,nel sangue ritrovano vita

Osa il povero che nulla rischia

Immersa in un fango così, prostrata in pieno letargo,che rimedi potevano scuotere Roma e sanarla,se non della guerra il furore e le brame eccitate dal ferro

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Petronio, Satyricon: 31-45
Petronio, Satyricon: 31-45

Latino: dall'autore Petronio, opera Satyricon parte 31-45

[CXX] 'Tres tulerat Fortuna duces, quos obruit omnes armorum strue diversa feralis Enyo

Crassum Parthus habet, Libyco iacet aequore Magnus, Iulius ingratam perfudit sanguine Romam, et quasi non posset tot tellus ferre sepulcra, divisit cineres

Hos gloria reddit honores

Est locus exciso penitus demersus hiatuParthenopen inter magnaeque Dicarchidos arva, Cocyti perfusus aqua; nam spiritus, extraqui furit effusus, funesto spargitur aestu

Non haec autumno tellus viret aut alit herbascaespite laetus ager, non verno persona cantumollia discordi strepitu virgulta locuntur,sed chaos et nigro squalentia pumice saxagaudent ferali circum tumulata cupressu
120 La sorte tre capi fornì, che tutti in regioni diversela mortifera Enio ha travolto in un cumulo d'armi

Crasso è preda dei Parti, giace il grande nel mare di Libia,Giulio Roma l'ingrata del suo sangue ha cosparso,e, quasi la terra non reggesse simili tombe,ne disperse le ceneri

Ecco gli onori che dà la gloria

Giace immerso nel mezzo di un'ampia voragine un luogotra Partenope e i campi dell'alta Dicarchi,che lo bagna il Cocito: e l'efflato che fuori ne spiratutto intorno si spande infuriando come vampa funesta

Non è questa una terra che verdeggi nel tempo d'autunno,non ne allietano il suolo le erbe, né dai molli virgultia primavera si leva il suono di voci tra loro discordi,ma caos informe soltanto e rocce di pomice neragodono dei cipressi che spuntano intorno funerei
Has inter sedes Ditis pater extulit orabustorum flammis et cana sparsa favilla,ac tali volucrem Fortunam voce lacessit:'Rerum humanarum divinarumque potestas,Fors, cui nulla placet nimium secura potestas,quae nova semper amas et mox possessa relinquis, ecquid Romano sentis te pondere victam, nec posse ulterius perituram extollere molem

Ipsa suas vires odit Romana iuventuset quas struxit opes, male sustinet

Aspice late luxuriam spoliorum et censum in damna furentem

Aedificant auro sedesque ad sidera mittunt,expelluntur aquae saxis, mare nascitur arvis,et permutata rerum statione rebellant

En etiam mea regna petunt

Perfossa dehiscit molibus insanis tellus, iam montibus haustis antra gemunt, et dum vanos lapis invenit usus, inferni manes caelum sperare fatentur

Quare age, Fors, muta pacatum in proelia vultum, Romanosque cie, ac nostris da funera regnis
In quel luogo il padre Plutone solleva la testa,cosparsa di fiamme di roghi e di cenere bianca,e con tali parole eccita la Fortuna dal rapido volo:'Tu che reggi ogni cosa, umana o divina che sia,o Sorte, cui mai piacque troppo certa potenza,che sempre ami il nuovo e appena lo hai lo rigetti,non ti senti per caso schiacciata dal peso di Roma,né più puoi sollevare la mole già avviata allo sfascio

Le sue stesse forze dispregia la gioventù di Roma,e quanto ha creato sostiene a fatica

Guarda ovunque che sfarzo di prede e sostanze smaniose d'estinguersi

Costruiscono case dorate che toccano il cielo,con le rocce ricacciano l'acqua, fanno nascere il mare nei campi, e ribelli sconvolgono l'ordine dato alle cose

Ecco assaltano pure i miei regni

Solcata da macchine folli, la terra si squarcia, nei monti svuotati gemono gli antri, e mentre la pietra s'adatta a folli usi, i Mani infernali confessano di ambire al cielo

Per questo trasforma, o Sorte, in guerra il tuo volto pacato,e risveglia i Romani, fornisci di anime il mio regno

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Petronio, Satyricon: 76-90
Petronio, Satyricon: 76-90

Latino: dall'autore Petronio, opera Satyricon parte 76-90

Iam pridem nullo perfundimus ora cruore,nec mea Tisiphone sitientis perluit artus,ex quo Sullanus bibit ensis et horrida tellusextulit in lucem nutritas sanguine fruges'

[CXXI] 'Haec ubi dicta dedit, dextrae coniungere dextramconatus, rupto tellurem soluit hiatu

Tunc Fortuna levi defudit pectore voces:'O genitor, cui Cocyti penetralia parent,si modo vera mihi fas est impune profari,vota tibi cedent; nec enim minor ira rebellatpectore in hoc leviorque exurit flamma medullas

Omnia, quae tribui Romanis arcibus, odimuneribusque meis irascor

Destruet istas idem, qui posuit, moles deus

Et mihi cordi quippe cremare viros et sanguine pascere luxum

Cerno equidem gemina iam stratos morte Philippos Thessaliaeque rogos et funera gentis Hiberae
Da troppo non bagno le mie labbra nel sangue,né l'amata Tisifone v'intinge le membra assetate,dal giorno che il brando di Silla ne bevve a fiumi e diedela terra alla luce orride messi nutrite di sangue'

121 Disse così, e volendo alla destra unire la destra,col gesto squarciò la terra aprendovi un baratro enorme

Allora la sorte dal cuore volubile parlò queste parole:'O padre, cui ottemperano gli antri segreti del Cocito,se impunemente m'è dato svelare i destini veraci,i tuoi voti saranno esauditi; nel petto mi si agitaun'ira non minore, né fiamma più lieve le viscere m'arde

Tutto ciò che io ho dato alla rocca di Roma lo odio,e la rabbia mi rode a quei doni

Ma il dio che creò tale mole, la schianterà lui stesso

Perché anch'io sento in cuore la brama di cremare le salme e saziarmi di un'orgia di sangue

Già io vedo Filippi ricoperta due volte di morte,e le pire in Tessaglia e i lutti del popolo ispano

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