Iam fragor armorum trepidantes personat aures, et Libyae cerno tua, Nile, gementia claustra, Actiacosque sinus et Apollinis arma timentes Pande, age, terrarum sitientia regna tuarumatque animas accerse novas Vix navita Porthmeus sufficiet simulacra virum traducere cumba; classe opus est Tuque ingenti satiare ruina, pallida Tisiphone, concisaque vulnera mande: ad Stygios manes laceratus ducitur orbis' [CXXII] 'Vixdum finierat, cum fulgure rupta corusco intremuit nubes elisosque abscidit ignes Subsedit pater umbrarum, gremioque reducto,telluris pavitans fraternos palluit ictus Continuo clades hominum venturaque damnaauspiciis patuere deum Namque ore cruento deformis Titan vultum caligine texit: civiles acies iam tum spirare putares Parte alia plenos extinxit Cynthia vultus et lucem sceleri subduxit |
Già il fragore delle armi mi introna le orecchie ferventi e già vedo, o Nilo, risuonare la tua fortezza di Libia,e la punta di Azio e i guerrieri atterriti dalle frecce di Apollo Orsù, dunque, spalanca del tuo regno i confini assetatie anime nuove richiama A stento il nocchiero del fiume traghettare potrà sulla barca tutte le ombre dei morti: di una flotta avrebbe bisogno Ma tu saziati in tanta rovina, o Tisifone pallida, e lecca le aperte ferite: il mondo straziato tra i morti è sospinto allo Stige' 122 Aveva appena finito di parlare, che una nube squassata da un lampo corrusco tremò vomitando lingue di fuoco Il padre delle ombre si china, rinserra il grembo del suolo,e pallido in volto paventa le saette fraterne I presagi divini tosto annunciano stragi di umanie flagelli imminenti Sfigurato nel volto da macchie di sangue, il Titano si copre la faccia di nebbia: già da allora fiutare potevi l'orrore delle guerre civili Dal suo canto velandosi il candido volto, Cinzia nega luce allo scempio |
Rupta tonabant verticibus lapsis montis iuga, nec vaga passim flumina per notas ibant morientia ripas Armorum strepitu caelum furit et tuba Martemsideribus tremefacta ciet, iamque Aetna voraturignibus insolitis, et in aethera fulmina mittit Ecce inter tumulos atque ossa carentia bustisumbrarum facies diro stridore minantur Fax stellis comitata novis incendia ducit,sanguineoque recens descendit Iuppiter imbre Haec ostenta brevi soluit deus Exuit omnes quippe moras Caesar, vindictaeque actus amore Gallica proiecit, civilia sustulit arma 'Alpibus aeriis, ubi Graio numine pulsaedescendunt rupes et se patiuntur adiri,est locus Herculeis aris sacer: hunc nive duraclaudit hiemps canoque ad sidera vertice tollit |
Stroncate le cime dei monti franano tra strepiti, e i fiumi in un cieco vagare vanno verso la morte scorrendo tra rive non note Il cielo infuria per strepito d'armi e un tremulo squillo fra gli astri chiama Marte a battaglia, e già l'Etna divoranofiamme mai viste e al cielo arrivano i lampi Tra le tombe e le ossa dei morti insepolti,ecco falbe parvenze levano minacce con strida sinistre Sparge fiamme una cometa seguita da stelle inaudite,e Giove subito riversa sul mondo una pioggia di sangue Un dio scioglie rapido i presagi perché Cesare ha rotto gli indugi, e sospinto dall'ansia di vendetta, le armi galliche butta e brandisce spade civili Sulle altissime Alpi sconfitte dal Greco divino,dove i sassi si abbassano e cedono il passo a chi sale,lì c'è un luogo che a Eracle è sacro: dura neve lo copred'inverno e su fino al cielo lo innalza con bianca vetta |
Caelum illinc cecidisse putes: non solis adultimansuescit radiis, non verni temporis aura,sed glacie concreta rigent hiemisque pruinis:totum ferre potest umeris minitantibus orbem Haec ubi calcavit Caesar iuga milite laetooptavitque locum, summo de vertice montisHesperiae campos late prospexit, et ambasintentans cum voce manus ad sidera dixit:'Iuppiter omnipotens, et tu, Saturnia tellus,armis laeta meis olimque onerata triumphis,testor ad has acies invitum arcessere Martem,invitas me ferre manus Sed vulnere cogor, pulsus ab urbe mea, dum Rhenum sanguine tingo, dnm Gallos iterum Capitolia nostra petentes Alpibus excludo, vincendo certior exul Sanguine Germano sexagintaque triumphisesse nocens coepi Quamquam quos gloria terret,aut qui sunt qui bella vident Mercedibus emptae ac viles operae, quorum est mea Roma noverca |
Lì diresti che il cielo è crollato: quel luogo non si stempera ai raggi del sole cocente, né alla brezza della nuova stagione, ma tutto congelano il ghiaccio e la brina invernale; tutto il mondo potrebbe sorreggere col suo dorso minaccioso Come Cesare il passo calcò coi soldati festanti,e scelse un punto di sosta, dalla cima più alta del monteabbracciò con lo sguardo le vaste terre d'Esperia,e levando le mani alle stelle e insieme la voce, così disse:'Onnipotente Giove, o terra saturnia un tempofelice delle mie gesta e greve di tanti trionfi,è a voi che m'appello: mio malgrado qui Marte risveglio a battaglia, mio malgrado riporto la guerra Grave offesa mi spinge, cacciato dalla mia terra, mentre il Reno coloro di sangue, mentre ancora respingo i Galli che di nuovo si spingono dalle Alpi a assediare la rocca, io ne vengo bandito sebbene in trionfo Dopo il sangue germano e sessanta vittorie,mi si dice sei reo A chi fa paura la mia gloria, Chi sono quelli che vogliono la guerra Solo masse assoldate da vile mercede, per le quali la mia Roma è matrigna |
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At reor, haud impune, nec hanc sine vindice dextram vinciet ignavus Victores ite furentes, ite mei comites, et causam dicite ferro Iamque omnes unum crimen vocat, omnibus unaimpendet clades Reddenda est gratia vobis, non solus vici Quare, quia poena tropaeis imminet, et sordes meruit victoria nostra, iudice Fortuna cadat alea Sumite bellum et temptate manus Certe mea causa peracta est: inter tot fortes armatus nescio vinci' Haec ubi personuit, de caelo Delphicus alesomina laeta dedit pepulitque meatibus auras Nec non horrendi nemoris de parte sinistrainsolitae voces flamma sonuere sequenti Ipse nitor Phoebi vulgato laetior orbecrevit, et aurato praecinxit fulgure vultus [CXXIII] 'Fortior ominibus movit Mavortia signaCaesar, et insolitos gressu prior occupat ausus |
Ma non senza vendetta, credo, né senza castigo, un codardo legherà questa mia destra Correte furenti alla vittoria, correte, compagni, e la causa col ferro trattate Una per tutti è l'accusa e tutti sovrasta un'unica strage Voglio rendervi grazie, non ho vinto da solo Ma se sono colpa i trofei e infamia le nostre vittorie,il dado sia tratto e giudice sia la Fortuna Guerra portate, date prova di voi nello scontro Certo la causa per me è risolta: tra tanti guerrieri armato, non so cosa sia la sconfitta' Dopo aver tuonato così, dal cielo l'uccello d'Apollodiede fausti presagi muovendosi in volo per aria A sinistra si udirono poi da una selva paurosavoci strane seguite da bagliori di fiamma Anche il disco di Febo si fece più vivo e più grandedi sempre, e il volto si cinse di un raggio di oro splendente 123 Rincuorato da tali presagi, le insegne di guerraCesare innalza e solo al comando affronta imprese mai viste |
Prima quidem glacies et cana vincta pruinanon pugnavit humus mitique horrore quievit Sed postquam turmae nimbos fregere ligatoset pavidus quadrupes undarum vincula rupit,incalvere nives Mox flumina montibus altis undabant modo nata, sed haec quoque -- iussa putares -- stabant, et vincta fluctus stupuere ruina,et paulo ante lues iam concidenda iacebat Tum vero male fida prius vestigia lusitdecepitque pedes; pariter turmaeque viriquearmaque congesta strue deplorata iacebant Ecce etiam rigido concussae flamine nubesexonerabantur, nec rupti turbine ventiderant, aut tumida confractum grandine caelum Ipsae iam nubes ruptae super arma cadebant,et concreta gelu ponti velut unda ruebat |
Per prima la terra coperta di ghiaccio e di candide brinenon gli si oppone, restando immobile nel suo orrore Ma quando le schiere spezzarono la nebbia compattae il cavallo impaurito ruppe le croste gelate dell'acqua,le nevi si sciolsero Un attimo e fiumi creati dal nulla sgorgarono dai monti, ma come a un ordine dato si bloccavano anch'essi, con il flutto stupito di fronte all'arresto, e ciò che prima era liquido, adesso era lastra da taglio Illuse allora i passi la crosta sempre malfida,e i piedi sorprese: e insieme le schiere e i guerriericon le armi giacevano perduti in un mucchio confuso Ecco pure le nubi colpite da gelidi soffirovesciare il carico, e i venti irrompere a turbine,e la grandine turgida scrosciava dal cielo sventrato Ormai le nubi stesse crollavano sfatte sulle schiere,cozzando col ghiaccio come onde sul mare |
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Victa erat ingenti tellus nive victaque caelisidera, victa suis haerentia flumina ripis:nondum Caesar erat; sed magnam nixus in hastam horrida securis frangebat gressibus arva, qualis Caucasea decurrens arduus arceAmphitryoniades, aut torvo Iuppiter ore,cum se verticibus magni demisit Olympiet periturorum deiecit tela Gigantum 'Dum Caesar tumidas iratus deprimit arces,interea volucer molis conterrita pinnisFama volat summique petit iuga celsa Palati,atque hoc Romano tonitru ferit omnia signa:iam classes fluitare mari totasque per Alpesfervere Germano perfusas sanguine turmas Arma, cruor, caedes, incendia totaque bellaante oculos volitant Ergo pulsata tumultu pectora perque duas scinduntur territa causas Huic fuga per terras, illi magis unda probatur,et patria pontus iam tutior Est magis arma qui temptare velit fatisque iubentibus uti Quantum quisque timet, tantum fugit |
Vinta era la terra dal gelo, vinte anche le stelle,e vinte le correnti che immobili tacevano a riva; Ma non Cesare ancora, che appoggiato all'asta possentecol suo passo sicuro violava quegli orridi campi,quale l'Anfitrioniade scese altero dal Caucaso,o Giove cupo in volto calò dalle vette d'Olimpo,quando respinse i dardi dei Giganti al tramonto Mentre Cesare irato sconfigge quelle rocche superbe,con un battito d'ali fremente la Fama veloce s'invola,e del Palatino il punto più alto raggiunge,ogni statua rimbomba di quel rombo romano:navi corrono il mare e a ogni giogo delle Alpisi addensano squadre coperte di sangue germano Armi, sangue, massacri, incendi e rovine di guerradinanzi agli occhi sfilano Allora i cuori sconvolti in tumulto dal panico sono scissi in due schiere Scappa questo per terra, confida quello nel mare,della patria adesso più sicuro Qualcuno vuole invece la strada delle armi tentare e il fato seguire imperioso Quanto grande il terrore, tanto rapida è la fuga |
Ocior ipse hos inter motus populus, miserable visu, quo mens icta iubet, deserta ducitur urbe Gaudet Roma fuga, debellatique Quiritesrumoris sonitu maerentia tecta relinquunt Ille manu pavida natos tenet, ille penatesoccultat gremio deploratumque relinquitlimen, et absentem votis interficit hostem Sunt qui coniugibus maerentia pectora iungant,grandaevosque patres onerisque ignara iuventus Id pro quo metuit, tantum trahit Omnia secumhic vehit imprudens praedamque in proelia ducit:ac velut ex alto cum magnus inhorruit austeret pulsas evertit aquas, non arma ministris,non regumen prodest, ligat alter pondera pinus,alter tuta sinus tranquillaque litora quaerit:hic dat vela fugae Fortunaeque omnia credit Quid tam parva queror |
Ma ancora più in fretta, - vista questa miseranda - nel pieno del caos lascia il popolo la sua città deserta e va dove il cuore lo spinge Roma vuole fuggire, e i Quiriti sbaragliati a un semplice suono di voce le case si lasciano dietro nel lutto Chi con mano tremante i figli sostiene, chi in senoi Penati nasconde e piangendo varca per l'ultima volta la soglia, e il nemico assente consacra nel voto alla morte Alcuni si stringono al petto angosciati le spose,e i genitori anziani, mentre i giovani inadatti agli sforzisalvano solo quel che han di più caro Chi incauto trascina con sé tutto quanto possiede, il bottino trasporta ai nemici come quando l'Austro si leva imperioso dal largo,e gonfia di colpi le onde, che allora alla ciurmanon serve più remo o timone, ma all'albero lega uno il suo peso, mentre un altro cerca spiagge sicure in fondo a un golfo, e un altro ancora spiega le vele e in tutto alla sorte si affida Ma questo è ancora poco |
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Gemino cum consule Magnus ille tremor Ponti saevique repertor Hydaspis et piratarum scopulus, modo quem ter ovantem Iuppiter horruerat, quem tracto gurgite Pontuset veneratus erat submissa Bosporos unda,pro pudor imperii deserto nomine fugit,ut Fortuna levis Magni quoque terga videret [CXXIV] 'Ergo tanta lues divum quoque numina vidit onsensitque fugae caeli timor Ecce per orbem mitis turba deum terras exosa furentes deserit, atque hominum damnatum avertitur agmen Pax prima ante alias niveos pulsata lacertosabscondit galea victum caput, atque relictoorbe fugax Ditis petit implacabile regnum Huic comes it submissa Fides, et crine solutoIustitia, ac maerens lacera Concordia palla |
Insieme ai due consoli il Grande, lui terrore del Ponto, lui che è giunto all'Idaspe selvaggio, lui flagello dei pirati, che portato tre volte in trionfo, Giove stesso aveva temuto, cui il Ponto dal vortice infranto e il Bosforo dall'onda mansueta si erano inchinati, lui - vergogna - fuggiva gettando il suo nome di capo, così che la Sorte bizzarra vedesse la schiena anche del Grande 124 Allora l'immane contagio colpisce anche gli dèi e il cielo stesso fugge impaurito Ed ecco che la mite schiera dei numi abbandona sdegnata la terra impazzita, lasciandosi dietro le spalle la folla dannata dei mortali Agitando le sue candide braccia, prima fra tutti la Pacenasconde nell'elmo il capo sconfitto, e in fuga abbandonala terra, riparando nel regno implacabile di Dite L'accompagna dimessa la Fede e sciolte le chiomela Giustizia, e in lacrime la Concordia col mantello a brani |
At contra, sedes Erebi qua rupta dehiscit,emergit late Ditis chorus, horrida Erinys,et Bellona minax, facibusque armata Megaera,Letumque, Insidiaeque, et lurida Mortis imago Quas inter Furor, abruptis ceu liber habenis,sanguineum late tollit caput, oraque millevulneribus confossa cruenta casside velat;haeret detritus laevae Mavortius umboinnumerabilibus telis gravis, atque flagrantistipite dextra minax terris incendia portat Sentit terra deos, mutataque sidera pondusquaesivere suum; namque omnis regia caeliin partes diducta ruit Primumque Dione Caesaris acta sui ducit, comes additur illi Pallas, et ingentem quatiens Mavortius hastam Magnum cum Phoebo soror et Cyllenia prolesexcipit, ac totis similis Tirynthius actis Intremuere tubae, ac scisso Discordia crineextulit ad superos Stygium caput |
Ma là dove s'apre squarciata la sede dell'Erebo,sale in massa la schiera di Dite, l'orrida Erinni,l'inquietante Bellona, e Megera armata di faci,e Leto, e i Tradimenti e lo squallido fantasma della Morte In mezzo c'è il Furore che impazza con le redini infrante,e il capo cruento solleva, coprendo con l'elmo cruentoil viso scavato da mille ferite; nella sinistra reggeil logoro scudo di Marte, greve per gli infiniti dardi,e impugna la destra minacciosa un tronco in fiammea spargere incendi nel mondo Sente gli dèi la terra, e gli astri cercano il peso di un temponell'ordine sconvolto, perché tutta la reggia del cielosi affretta a spaccarsi in due parti Dione è la prima a sorreggere le armi di Cesare amato, e Pallade le è vicina, e insieme va Marte, che vibra l'immensa sua asta Con il Grande si schierano invece Febo e la sorellae la prole Cillenia, e il dio di Tirinto che in tutto l'eguaglia Squillarono le trombe e su dallo Stige Discordiacoi crini discinti alta levò la sua testa d'inferno |
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Huius in ore concretus sanguis, contusaque lumina flebant, stabant aerati scabra rubigine dentes, tabo lingua fluens, obsessa draconibus ora, atque inter torto laceratam pectore vestemsanguineam tremula quatiebat lampada dextra Haec ut Cocyti tenebras et Tartara liquit,alta petit gradiens iuga nobilis Appennini,unde omnes terras atque omnia litora possetaspicere ac toto fluitantes orbe catervas,atque has erumpit furibundo pectore voces:'Sumite nunc gentes accensis mentibus arma,sumite et in medias immittite lampadas urbes Vincetur, quicumque latet; non femina cesset,non puer aut aevo iam desolata senectus;ipsa tremat tellus lacerataque tecta rebellent Tu legem, Marcelle, tene Tu concute plebem, Curio Tu fortem ne supprime, Lentule, Martem Quid porro tu, dive, tuis cunctaris in armis,non frangis portas, non muris oppida solvisthesaurosque rapis |
In bocca il sangue è un grumo e piangono lividi gli occhi,i denti li incrostava una ruggine scabra, è marcia la lingua,avvolta di serpi la faccia, il petto stretto in una lacera veste,mentre la destra tremante brandiva una torcia con bagliori di sangue Com'ella lasciò il Tartaro e il Cocito avvolto nell'ombra,con passi possenti raggiunge i gioghi del fiero Appennino,di dove scrutare potesse tutte le terre e i lidie ovunque nel mondo brulicanti le caterve di armati,e cotali parole riversa dal petto in fermento:'Prendete o genti le armi, infiammatevi d'odioe gettate con forza le torce nel cuore delle città Chi si cela cadrà: non rifiuti lo scontro la donna,non fanciullo, non vecchio, se pure prostrato dagli anni,ma tremi la terra stessa e insorgano i tetti in rovina Tu Marcello difendi la legge Tu Curione aizza la plebe Non frenare, tu Lentulo, l'infuriare di Marte Ma perché dunque, tu figlio di dèi, tanto indugi nell'armi,e non schianti le porte e non spezzi i bastioni ai castelli,e tesori non strappi |