Era chiaro quale fosse la considerazione che gli scrittori avevano dell'omosessualità, quando vi facevano cenno; scriverne in maniera diversa avrebbe significato essere derisi e disprezzati. Gli omosessuali quindi, che ovviamente continuavano a esistere, erano attenti più che nei secoli precedenti a non far trapelare il loro orientamento.
Così, a leggere le opere dell'Ottocento, sembra quasi che tutti gli scrittori siano stati eterosessuali, e il personaggio dell'omosessuale sparisce dalle opere letterarie. Eppure delle tracce si trovano. L'attrazione e il sentimento d'amore sono delle esperienze insopprimibili nella vita di un individuo, e per quanto possano essere osteggiate dalla società o dall'individuo stesso, prima o poi riemergono sempre, soprattutto se ci si dedica a un'arte come quella letteraria, che lavora proprio sul recupero del rimosso e sulla forza dell'immaginazione, in un richiamo costante alla propria esperienza di vita personale.
Giacomo Leopardi è uno di questi. Se ci fermiamo infatti alla sua produzione poetica, risulta essere un autore controllato, che seleziona con una certa coerenza gli argomenti da trattare e quelli da non trattare.
Dalle sue lettere, poi, viene fuori un altro Leopardi ancora, che si lascia andare in maniera piuttosto esplicita ad alcune esternazioni. Le lettere di cui parliamo sono quelle che scrive ad Antonio Ranieri, che gli fu accanto in tutto l'ultimo periodo della sua vita, fino alla morte nel 1837.
I due si incontrano la prima volta a Firenze nel giugno del 1827 tramite Alessandro Poerio. Leopardi ha 29 anni, Ranieri di anni ne ha 21, è un bellissimo giovane di Napoli, alto e biondo. Ostile al Regno Borbonico. E' stato a Roma, Bologna e ora a Firenze, dove continua i suoi studi.
I due si rincontrano, sempre a Firenze nel 1830, quando Ranieri è rientrato da un viaggio in Francia, Germania, Svizzera; inizia un sodalizio che durerà fino alla morte del poeta. I due sodali affrontano gravi difficoltà economiche, ma mentre Leopardi può contare su un assegno mensile che gli viene inviato ogni mese dal padre, a Ranieri vengono interrotti i finanziamenti paterni.
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A Napoli Leopardi e Ranieri arrivano nell'ottobre del 1833. La prima impressione del poeta è favorevole. Dopo poco però la situazione cambia. La coppia cambia spesso casa, da via San Mattia, a pochi passi da Toledo si trasferisce in via Santa Maria di Ognibene. Nel maggio successivo si trasferiscono in un appartamento tanto agognato da Ranieri a Capodimonte, ma anche qui i due non stanno bene. Leopardi scrive al padre che vuole lasciare Napoli per fuggire "da questi Lazzaroni e Pulcinelli Nobili e plebei, tutti ladri e degnissimi mdi Spagnuoli e di forche".