Tra i due si interpone il nipote di Giulio II, Francesco Maria della Rovere, duca di Urbino e capitano generale della Chiesa; odia l'Alidosi e ritiene che sia di ostacolo per la sua affermazione. L'omosessualità o sodomia è considerata dalla Chiesa un peccato contro natura condannato da Dio nella Bibbia, ma papi, cardinali e sacerdoti l'hanno sempre praticata e la praticano.
Il duca di Urbino rompe ogni indugio per elimare Francesco Alidosi e il 7 ottobre 1510 lo arresta con l'accusa di intrattenere una corrispondenza con i francesi in guerra con il papa. Il papa interviene e impone al nipote di liberare il suo Francesco, assegnandogli anche la carica di vescovo di Bologna. Alidosi non è contento e chiede anche la signoria di Imola che gli viene però negata.
Poi i francesi entrano a Bologna e l'Alidosi scappa a Ravenna rifugiandosi dal papa, rovesciando sul nipote del papa la colpa della disfatta. Francesco Maria della Rovere ricambia le accuse contro il suo rivale. Il papa da ragione al suo favorito, travolgendo il nipote di improperi e minacce di confisca dei beni e lo caccia da palazzo. Il duca mentre si allontana, incontra per strada Alidosi a cavallo di una mula; lo sbalza di sella e lo uccide. Per Giulio II è una tragedia piange e urla il nome del suo favorito per ore e si vendica sul nipote. Francesco Maria della Rovere viene spogliato di tutte le cariche e concesso solo di abitare a Roma dietro il pagamento di una cauzione

la disputa del sacramento di Raffaello Sanzio
La scena è organizzata in due registri: chiesa trionfante e chiesa militante, e si ispira al 13° libro delle confessioni di sant'Agostino