Svetonio, Vite dei dodici cesari: Libro 07, Parte 02, pag 5

Svetonio, Vite dei dodici cesari: Libro 07, Parte 02

Latino: dall'autore Svetonio, opera Vite dei dodici cesari parte Libro 07, Parte 02
Tum faeneratorum et stipulatorum publicanorumque, qui umquam se aut Romae debitum aut in via portorium flagitassent, vix ulli pepercit; ex quibus quendam in ipsa salutatione supplicio traditum statimque revocatum, cunctis clementiam laudantibus, coram interfici iussit, velle se dicens pascere oculos; alterius poenae duos filios adiecit deprecari pro patre conatos

Sed et equitem R proclamantem, cum raperetur ad poenam: Heres meus es, exhibere testamenti tabulas coegit, utque legit coheredem sibi libertum eius ascriptum, iugulari cum liberto imperavit

Quosdam et de plebe ob id ipsum, quod Venetae factioni clare male dixerant, interemit, contemptu sui et nova spe id ausos opinatus
Quanto agli usurai, ai creditori, ai funzionari dello Stato che, in un momento qualsiasi, avevano reclamato sia il pagamento di un debito a Roma, sia un diritto di pedaggio per i suoi spostamenti, è già molto se ne risparmiò uno solo, Mandò uno di loro al supplizio nel momento stesso in cui qvello veniva a salutarlo, poi lo fece subito rilasciare e già tutti esaltavano la sua clemenza, quando diede ordine di giustiziarlo in sua presenza dicendo che 'voleva rallegrare i propri occhi'; quando i due figli di un altro si sforzarono di ottenere la sua grazia, li sottopose alla stessa pena

Inoltre quando un cavaliere romano gridò, mentre lo portavano al supplizio: 'Tu sei mio erede' egli lo costrinse ad esibirgli il suo testamento poi, avendo letto che un liberto di qvel cavaliere era coerede, ordinò di sgozzarli tutti e due

Fece anche giustiziare semplici plebei solo perché avevano fatto ad alta voce una manifestazione contro la squadra degli Azzurri, pensando che essi avevano osato tanto per disprezzo verso di lui e nella speranza di una rivoluzione
Nullis tamen infensior quam vernaculis et mathematicis, ut quisque deferretur, inauditum capite puniebat exacerbatus, quod post edictum suum, quo iubebat intra Kal Oct urbe Italiaque mathematici excederent, statim libellus propositus est, et Chaldaeos edicere, bonum factum, ne Vitellius Germanicus intra eundem Kalendarum diem usquam esset

Suspectus et in morte matris fuit, quasi aegrae praeberi cibum prohibuisset, vaticinante Chatta muliere, cui velut oraculo adquiescebat, ita demum firmiter ac diutissime imperaturum, si superstes parenti extitisset

Alii tradunt ipsam taedio praesentium et imminentium metu venenum a filio impetrasse, haud sane difficulter
Ma era particolarmente spietato con i buffoni e con gli astrologhi e quando uno di loro gli veniva denunciato, lo condannava a morte senza nemmeno ascoltarlo; in realtà lo aveva esasperato il fatto che subito dopo un suo editto in cui si ordinava agli astrologhi di lasciare Roma e l'Italia prima delle calende di ottobre, era stato attaccato un manifesto con queste parole: 'Anche i Caldei intimano a Vitellio Germanico di non farsi trovare da nessuna parte dopo lo stesso giorno delle calende, con tanti saluti a tutti

Si sospettò anche che avesse provocato la morte di sua madre, vietando di nutrirla durante una sua malattia, perché una donna di Catta, cui prestava fede come ad un oracolo, aveva predetto che egli avrebbe avuto un potere solido e assai duraturo solo se fosse sopravvissuto a sua madre

Altri dicono che fu lei stessa che, disgustata per la situazione in cui si trovava e timorosa di un avvenire oscuro, si fece dare del veleno da suo figlio, senza per altro incontrare molte resistenze
XV Octavo imperii mense desciverunt ab eo exercitus Moesiarum atque Pannoniae, item ex transmarinis Iudaicus et Syriaticus, ac pars in absentis, pars in praesentis Vespasiani verba iurarunt

Ad retinendum ergo ceterorum hominum studium ac favorem, nihil non publice privatimque nullo adhibito modo largitus est

Delectum quoque ea condicione in urbe egit, ut voluntatis non modo missionem post victoriam, sed etiam veteranorum iustaque militiae commoda polliceretur
15 Nell'ottavo mese del suo principato, le armate della Mesia e della Pannonia, insieme con qvelle d'oltremare, della Giudea e della Siria, fecero defezione e giurarono fedeltà a Vespasiano, le une in sua assenza, le altre davanti a lui

Allora, per conservare la simpatia e il favore delle truppe che gli restavano, non vi furono elargizioni pubbliche e private cui non ricorresse, senza badare a limitazioni

Fece anche un reclutamento in città, promettendo ai volontari non soltanto di congedarli dopo la vittoria, ma anche di ricompensarli come veterani che avevano prestato normale servizio

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Svetonio, Vite dei dodici cesari: Libro 08, Parte 02

Latino: dall'autore Svetonio, opera Vite dei dodici cesari parte Libro 08, Parte 02

Vrgenti deinde terra marique hosti hinc fratrem cum classe ac tironibus et gladiatorum manu opposuit, hinc Betriacenses copias et duces; atque ubique aut superatus aut proditus, salutem sibi et milites sestertium a Flavio Sabino Vespasiani fratre pepigit; statimque pro gradibus Palati apud frequentes milites, cedere se imperio quod invitus recepisset professus, cunctis reclamantibus rem distulit ac nocte interposita primo diluculo sordidatus descendit ad rostra multisque cum lacrimis eadem illa, verum e libello testatus est In seguito, stretto dal nemico per terra e per mare, da una parte gli oppose suo fratello con una flotta, con giovani reclute e con una truppa di gladiatori, dall'altra i generali e i soldati che avevano vinto a Bedriaco; sconfitto, però, o tradito da tutte le parti, si fece garantire la salvezza e cento milioni di sesterzi da Flavio Sabino, fratello di Vespasiano; subito dopo, davanti alla scalinata del Palatino proclamò ad una folla di soldati che rinunciava all'Impero, che aveva ricevuto controvoglia, ma poiché tutti protestavano gridando, rimandò la decisione e lasciò passare la notte; allo spuntar del giorno, vestito miseramente, discese verso i rostri e, piangendo fece la stessa dichiarazione, però leggendola
Rursus interpellante milite ac populo et ne deficeret hortante omnesque operam suam certatim pollicente, animum resumpsit Sabinumque et reliquos Flavianos nihil iam metuentis vi subita in Capitolium compulit, succensoque templo Iovis Optimi Maximi oppressit, cum et proelium et incendium e Tiberiana prospiceret domo inter epulas

Non multo post paenitens facti et in alios culpam conferens, vocata contione iuravit coegitque iurare et ceteros, nihil sibi antiquius quiete publica fore

Tunc solutum a latere pugionem consuli primum, deinde illo recusante magistratibus ac mox senatoribus singulis porrigens, nullo recipiente, quasi in aede Concordiae positurus abscessit
I soldati e il popolo di nuovo protestarono, esortandolo a non lasciarsi abbattere e promettendo che, a gara, avrebbero fatto di tutto per aiutarlo; allora riprese coraggio e approfittando del fatto che Sabino e gli altri partigiani dei Flavi erano ormai senza sospetti, li fece improvvisamente attaccare e li costrinse ad asserragliarsi nel Campidoglio, dove furono soppressi incendiando il tempio di Giove Ottimo Massimo; lui stesso, dalla casa di Tiberio, contemplava sia il combattimento, sia l'incendio, mentre prendeva il suo pasto

Subito dopo, pentendosi del misfatto e cercando di far ricadere su altri la colpa, convocò l'assemblea, giurò e fece giurare a tutti di non avere niente di più caro della pubblica tranquillità

Allora, estratto il pugnale che portava al fianco, lo tese prima al console, poi, al suo rifiuto, ai magistrati, quindi a ciascun senatore e poiché nessuno lo accettava, si ritirò, spiegando di volere andare a depositarlo nel tempio della Concordia

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Latino: dall'autore Svetonio, opera Vite dei dodici cesari parte Libro 04, Par 24 - 33

Sed quibusdam adclamantibus ipsum esse Concordiam, rediit nec solum retinere se ferrum affirmavit, verum etiam Concordiae recipere cognomen; suasitque senatui, ut legatos cum virginibus Vestalibus mitterent pacem aut certe tempus ad consultandum petituros

XVI Postridie responsa opperienti nuntiatum est per exploratorem hostes appropinquare

Continuo igitur abstrusus gestatoria sella, duobus solis comitibus, pistore et coco, Aventinum et paternam domum clam petit, ut inde in Campaniam fugeret; mox levi rumore et incerto, tamquam pax impetrata esset, referri se in Palatium passus est

Vbi cum deserta omnia repperisset, dilabentibus et qui simul erant, zona se aureorum plena circumdedit confugitque in cellulam ianitoris, religato pro foribus cane lectoque et culcita obiectis
Ma, dal momento ché alcuni gli gridavano 'che lui era la Concordia', tornò indietro e disse non solo di conservare il suo pugnale, ma anche di accettare il soprannome di Concordia

16 Consigliò poi al Senato di inviare una delegazione, accompagnata da Vestali, a chiedere la pace o almeno un po' di tempo per poter prendere una decisione

Il giorno dopo, mentre attendeva la risposta un esploratore gli annunciò che il nemico si avvicinava Subito si occultò in una lettiga, con due soli compagni, il suo pasticciere e il suo cuoco, si diresse segretamente verso l'Aventino e la sua casa paterna, da dove contava di fuggire in Campania; più tardi, credendo, da un vago ed incerto rumore, che la pace fosse stata accordata, si lasciò riportare al Palatino

Lo trovò completamente deserto e poiché anche qvelli che erano con lui se la filavano, si munì di una cintura foderata di pezzi d'oro e si rifugiò nella guardiola per portiere, dopo aver legato il cane davanti alla porta che barricò alla meglio con un letto e con materassi
XVII Irruperant iam agminis antecessores ac nemine obvio rimabantur, ut fit, singula 17 Le avanguardie nemiche avevano già fatto irruzione nel Palatino e, non trovando nessuno, si diedero a perquisire ogni cosa, come succede normalmente

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Ab is extractus e latebra, sciscitantes quis esset (nam ignorabatur) et ubi esset Vitellium sciret, mendacio elusit; deinde agnitus rogare non destitit, quasi quaedam de salute Vespasiani dicturus, ut custodiretur interim vel in carcere, donec religatis post terga manibus, iniecto cervicibus laqueo, veste discissa seminudus in forum tractus est inter magna rerum verborumque ludibria per totum viae Sacrae spatium, reducto coma capite, ceu noxii solent, atque etiam mento mucrone gladii subrecto, ut visendam praeberet faciem neve summitteret; quibusdam stercore et caeno incessentibus, aliis incendiarium et patinarium vociferantibus, parte vulgi etiam corporis vitia exprobrante; erat enim in eo enormis proceritas, facies rubida plerumque ex vinulentia, venter obesus, alterum ferum subdebile impulsu olim quadrigae, cum auriganti Gaio ministratore exhiberet Così essi lo tirarono fuori dal suo nascondiglio e, non conoscendolo, gli domandarono chi fosse e se sapeva dove si trovasse Vitellio; in un primo tempo si salvò con la menzogna, ma poi, riconosciuto, non la smise di pregare, con il pretesto che aveva da fare rivelazioni che riguardavano la vita di Vespasiano, di salvarlo provvisoriamente, magari anche in prigione; alla fine gli furono legate le mani dietro la schiena, gli fu messa una corda al collo, gli furono strappate le vesti e, seminudo, venne trascinato nel foro, in mezzo ad oltraggi e maltrattamenti di ogni genere, che si ripetevano per tutto il percorso della Via Sacra; la testa gli fu rovesciata indietro, prendendolo per i capelli, come si fa con i criminali e per di più con la punta di una spada gli si tenne sollevato il mento, perché facesse vedere la faccia e non potesse abbassare la testa: alcuni gli gettavano immondizie e lo bersagliavano con lo sterco, altri urlavano le accuse di incendiario e di ghiottone, una parte del popolo gli rimproverava i difetti del corpo; egli aveva, in realtà, una statura smisurata, il viso per lo più rosso a causa del troppo bere, un ventre prominente, una coscia un po' debole, da quando era stata urtata da una quadriga, al tempo in cui si esibiva come servitore di Gaio nelle corse dei carri
Tandem apud Gemonias minutissimis ictibus excarnificatus atque confectus et inde unco tractus in Tiberim

XVIII Periit cum fratre et filio anno vitae septimo quinquagesimo; nec fefellit coniectura eorum qui augurio, quod factum ei Viennae ostendimus, non aliud portendi praedixerant, quam venturum in alicuius Gallicani hominis potestatem; siqvidem ab Antonio Primo adversarum partium duce oppressus est, cum Tolosae nato cognomen in pveritia Becco fverat; id valet gallinacei rostrum
Finalmente, presso le Gemonie fu scorticato a piccoli colpi, e di là venne trascinato nel Tevere con un raffio

18 Morì, insieme con il fratello e con il figlio nel cinquantasettesimo anno della sua vita; risultò esatta l'interpretazione che alcuni diedero al presagio che lo riguardava a Vienne, che noi abbiamo indicato; secondo loro significava semplicemente che sarebbe caduto nelle mani di un Gallo; e fu ucciso appunto da Antonio Primo, capo del partito avversario, che era nato a Tolosa e, durante la sua infanzia, aveva portato il soprannome di Becco, che vuol dire rostro di gallo

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