Hoc etiam in primis specimen verum esse videtur, quam celeri motu rerum simulacra ferantur, quod simul ac primum sub diu splendor aquai ponitur, extemplo caelo stellante serena sidera respondent in aqua radiantia mundi iamne vides igitur quam puncto tempore imago aetheris ex oris in terrarum accidat oras quare etiam atque etiam mitti fateare necessest corpora quae feriant oculos visumque lacessant perpetuoque fluunt certis ab rebus odores, frigus ut a fluviis, calor ab sole, aestus ab undis aequoris, exesor moerorum litora circum, nec variae cessant voces volitare per auras denique in os salsi venit umor saepe saporis, cum mare versamur propter, dilutaque contra cum tuimur misceri absinthia, tangit amaror |
Anche questa sembra essere una prova sopra tutte vera del celere moto con cui procedono i simulacri delle cose: appena si pone sotto il cielo sereno un'acqua limpida, sùbito, se il cielo è stellato, puri rispondono nell'acqua i raggianti astri del firmamento Non vedi, dunque, ormai come in un istante l'immagine cada dalle plaghe dell'etere nelle plaghe terrene Perciò, ancora e ancora, devi riconoscere che con mirabile rapidità sono emessi dalle cose corpi che feriscono gli occhi e provocano il vedere E continuamente fluiscono da certe cose gli odori; come il fresco dai fiumi, il calore dal sole, dalle onde del mare l'esalazione che corrode i muri intorno alle spiagge Né cessano varie voci di volteggiare per l'aria Ancora, spesso entra nella bocca un'umidità di sapore salmastro quando camminiamo lungo il mare; e d'altra parte, quando guardiamo mescolare un infuso d'assenzio, ci punge l'amaro |
usque adeo omnibus ab rebus res quaeque fluenter fertur et in cunctas dimittitur undique partis nec mora nec requies interdatur ulla fluendi, perpetuo quoniam sentimus et omnia semper cernere odorari licet et sentire sonare Praeterea quoniam manibus tractata figura in tenebris quaedam cognoscitur esse eadem quae cernitur in luce et claro candore, necessest consimili causa tactum visumque moveri nunc igitur si quadratum temptamus et id nos commovet in tenebris, in luci quae poterit res accidere ad speciem quadrata, nisi eius imago esse in imaginibus qua propter causa videtur cernundi neque posse sine his res ulla videri |
A tal punto è vero che da tutte le cose emanazioni d'ogni tipo fluendo si staccano e da ogni parte si diffondono in tutte le direzioni, né sosta né requie è mai dato frapporre al fluire, giacché di continuo i nostri sensi ne sono impressionati, e sempre possiamo vedere ogni cosa, percepirne odori e suoni Inoltre, giacché una forma palpata con le mani nelle tenebre si riconosce in certo modo uguale a quella che si discerne alla luce e nel luminoso fulgore, da una simile causa devono essere mossi il tatto e la vista Ora, dunque, se tastiamo un oggetto quadrato e di questo riceviamo l'impressione nelle tenebre, nella luce che cosa potrà offrirsi quadrata allo sguardo, se non la sua immagine quindi evidente che la causa del vedere sta nelle immagini e che senza di queste non può essere veduta cosa alcuna |
Nunc ea quae dico rerum simulacra feruntur undique et in cunctas iaciuntur didita partis; verum nos oculis quia solis cernere quimus, propterea fit uti, speciem quo vertimus, omnes res ibi eam contra feriant forma atque colore et quantum quaeque ab nobis res absit, imago efficit ut videamus et internoscere curat; nam cum mittitur, extemplo protrudit agitque aëra qui inter se cumque est oculosque locatus, isque ita per nostras acies perlabitur omnis et quasi perterget pupillas atque ita transit propterea fit uti videamus quam procul absit res quaeque et quanto plus aëris ante agitatur et nostros oculos perterget longior aura, tam procul esse magis res quaeque remota videtur scilicet haec summe celeri ratione geruntur, quale sit ut videamus, et una quam procul absit |
Ora, quei simulacri di cui parlo, procedono da ogni parte e si lanciano e diffondono in ogni direzione Ma, poiché noi possiamo vedere soltanto con gli occhi, perciò accade che, ove volgiamo lo sguardo, ivi tutte le cose gli si fanno incontro e lo colpiscono con la forma e il colore E quanto ogni cosa sia da noi distante, è l'immagine che ce lo fa vedere e procura che lo determiniamo Infatti, quando viene emessa, sùbito caccia innanzi e spinge l'aria, quale che sia, che si trova interposta fra essa e gli occhi, e così questa scorre tutta nel nostro sguardo e quasi asterge le pupille, e così passa Perciò accade che vediamo quanto ogni cosa sia lontana E quanta più aria è agitata innanzi a noi e quanto più lungo è il soffio che asterge i nostri occhi, tanto più ogni cosa si vede remota nella lontananza Queste cose si svolgono, ben inteso, con celerità somma, sì che vediamo insieme quale sia ogni cosa e quanto disti |
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Illud in his rebus minime mirabile habendumst, cur, ea quae feriant oculos simulacra videri singula cum nequeant, res ipsae perspiciantur ventus enim quoque paulatim cum verberat et cum acre fluit frigus, non privam quamque solemus particulam venti sentire et frigoris eius, sed magis unorsum, fierique perinde videmus corpore tum plagas in nostro tam quam aliquae res verberet atque sui det sensum corporis extra praeterea lapidem digito cum tundimus, ipsum tangimus extremum saxi summumque colorem nec sentimus eum tactu, verum magis ipsam duritiem penitus saxi sentimus in alto Nunc age, cur ultra speculum videatur imago percipe: nam certe penitus remmota videtur |
In tale riguardo non dobbiamo affatto meravigliarci perché i simulacri che colpiscono gli occhi non possano essere veduti a uno a uno e invece le cose stesse sono scorte Giacché, anche quando il vento ci sferza a poco a poco e quando il freddo aspro s'insinua, non soliamo sentire ogni singola particella di quel vento e di quel freddo, bensì l'insieme, e vediamo allora che il nostro corpo subisce colpi proprio come se qualche cosa ci sferzasse e ci desse la sensazione del suo corpo dall'esterno Inoltre, quando picchiamo una pietra con un dito, tocchiamo solo la superficie del sasso e il colore esteriore, eppure non sentiamo questo col tatto, bensì sentiamo la durezza stessa del sasso nell'intima profondità Ora, suvvia, apprendi perché l'immagine si veda al di là dello specchio: giacché certo appare discosta nel fondo |
quod genus illa foris quae vere transpiciuntur, ianua cum per se transpectum praebet apertum, multa facitque foris ex aedibus ut videantur; is quoque enim duplici geminoque fit aëre visus primus enim citra postes tum cernitur aër, inde fores ipsae dextra laevaque secuntur, post extraria lux oculos perterget et aër alter, et illa foris quae vere transpiciuntur sic ubi se primum speculi proiecit imago, dum venit ad nostras acies, protrudit agitque aëra qui inter se cumquest oculosque locatus, et facit, ut prius hunc omnem sentire queamus quam speculum; sed ubi [in] speculum quoque sensimus ipsum, continuo a nobis in eum quae fertur imago pervenit, et nostros oculos reiecta revisit atque alium prae se propellens aëra volvit, et facit ut prius hunc quam se videamus, eoque distare ab speculo tantum semota videtur |
Così è delle cose che son vedute realmente fuori, attraverso una porta, quand'essa offre attraverso a sé una vista aperta, e molte cose fa sì che dalla casa siano vedute fuori Giacché anche questa visione si produce per una duplice aria Prima infatti si scorge in tal caso l'aria al di qua degli stipiti, seguono poi gli stessi battenti a destra e a sinistra, successivamente asterge gli occhi la luce di fuori, poi l'altra aria e quelle cose che sono vedute realmente fuori Così, appena l'immagine dello specchio si è lanciata avanti, mentre viene alle nostre pupille, caccia innanzi e spinge l'aria, quale che sia, che si trova interposta fra essa e gli occhi, e fa sì che possiamo sentire tutta questa prima che lo specchio Ma, quando abbiamo percepito anche lo specchio stesso, sùbito l'immagine che da noi procede perviene a questo, e riflessa ritorna verso i nostri occhi, e sospinge e fa scorrere innanzi a sé altra aria, e fa sì che vediamo questa prima di lei stessa, e per ciò sembra distare dallo specchio tanto discosta |
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quare etiam atque etiam minime mirarier est par illis quae reddunt speculorum ex aequore visum, aëribus binis quoniam res confit utraque Nunc ea quae nobis membrorum dextera pars est, in speculis fit ut in laeva videatur eo quod planitiem ad speculi veniens cum offendit imago, non convertitur incolumis, sed recta retrorsum sic eliditur, ut siquis, prius arida quam sit cretea persona, adlidat pilaeve trabive, atque ea continuo rectam si fronte figuram servet et elisam retro sese exprimat ipsa fiet ut, ante oculus fuerit qui dexter, ut idem nunc sit laevus et e laevo sit mutua dexter Fit quoque de speculo in speculum ut tradatur imago, quinque etiam [aut] sex ut fieri simulacra suërint |
Quindi, ancora e ancora, non è giusto che ci si meravigli che il medesimo fenomeno dell'apparire al di là, avvenga sia per le cose che si vedono attraverso la porta sia per quelle che rimandano dal piano degli specchi la visione, giacché da duplice aria è prodotta la cosa in ambo i casi Ora, quella che per noi è la parte destra delle membra, negli specchi accade che appaia a sinistra, perché l'immagine, quando arriva e urta contro il piano dello specchio, non si volta girando su sé stessa e restando inalterata, ma è rovesciata dritta, come se uno sbatta una maschera di creta, prima che sia asciutta, contro un pilastro o una trave, ed essa conservi immediatamente dritta di fronte la propria figura e riproduca sé stessa rovesciata indietro Accadrà che quell'occhio che prima era destro, ora sia sinistro, e reciprocamente il sinistro diventi destro Anche accade che da specchio a specchio si trasmetta l'immagine, sì che sogliono prodursi anche cinque o sei simulacri |
nam quae cumque retro parte interiore latebunt, inde tamen, quamvis torte penitusque remota, omnia per flexos aditus educta licebit pluribus haec speculis videantur in aedibus esse usque adeo speculo in speculum translucet imago, et cum laeva data est, fit rusum ut dextera fiat, inde retro rursum redit et convertit eodem Quin etiam quae cumque latuscula sunt speculorum adsimili lateris flexura praedita nostri, dextera ea propter nobis simulacra remittunt, aut quia de speculo in speculum transfertur imago, inde ad nos elisa bis advolat, aut etiam quod circum agitur, cum venit, imago propterea quod flexa figura docet speculi convertier ad nos |
Infatti quanti oggetti saranno nascosti là dietro, in una parte più interna, di lì, benché remoti in fondo ad un tortuoso andirivieni, sarà possibile tirarli fuori tutti per serpeggianti passaggi mediante più specchi e vedere che sono dentro la casa Tanto è vero che di specchio in specchio si riflette l'immagine e, quando è stata porta la sinistra, accade poi che si muti in destra, quindi ritorna di nuovo indietro e riprende la stessa posizione Anzi, tutti gli specchi che hanno facce laterali dotate di una curvatura simile a quella dei nostri fianchi, per questo ci rimandano i simulacri senza rivoltarli, o perché l'immagine è trasmessa da una parte all'altra dello specchio e di lì vola verso di noi rovesciata due volte, o anche perché l'immagine, quando è arrivata, fa un giro su sé stessa per questa cagione, che la curva forma dello specchio le insegna di volgersi in giro verso di noi |
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Indugredi porro pariter simulacra pedemque ponere nobiscum credas gestumque imitari propterea quia, de speculi qua parte recedas, continuo nequeunt illinc simulacra reverti; omnia quandoquidem cogit natura referri ac resilire ab rebus ad aequos reddita flexus Splendida porro oculi fugitant vitantque tueri sol etiam caecat, contra si tendere pergas, propterea quia vis magnast ipsius et alte aëra per purum simulacra feruntur et feriunt oculos turbantia composituras Praeterea splendor qui cumque est acer adurit saepe oculos ideo quod semina possidet ignis multa, dolorem oculis quae gignunt insinuando |
Può sembrarti, per di più, che i simulacri camminino di pari passo e posino il piede insieme con noi e imitino i nostri gesti, perché da quella parte dello specchio da cui ti ritiri, sùbito di lì non possono riflettersi i simulacri; giacché la natura costringe tutte le cose a riflettersi e rimbalzare dalle cose, rimandate indietro con angoli eguali Gli occhi, poi, rifuggono le cose splendenti e evitano di fissarle Il sole finanche acceca, se continui a tendere lo sguardo contro di esso, perché grande è la sua forza, e dall'alto attraverso l'aria pura pesantemente i simulacri piombano e feriscono gli occhi perturbandone le compagini Inoltre ogni splendore che è penetrante, sovente brucia gli occhi perché contiene molti semi di fuoco, che negli occhi producono dolore insinuandosi |
lurida praeterea fiunt quae cumque tuentur arquati, quia luroris de corpore eorum semina multa fluunt simulacris obvia rerum, multaque sunt oculis in eorum denique mixta, quae contage sua palloribus omnia pingunt E tenebris autem quae sunt in luce tuemur propterea quia, cum propior caliginis aër ater init oculos prior et possedit apertos, insequitur candens confestim lucidus aër, qui quasi purgat eos ac nigras discutit umbras aëris illius; nam multis partibus hic est mobilior multisque minutior et mage pollens qui simul atque vias oculorum luce replevit atque pate fecit, quas ante obsederat aër , continuo rerum simulacra secuntur, quae sita sunt in luce, lacessuntque ut videamus |
Giallastre inoltre diventano tutte le cose che fissano gli itterici, perché dal corpo di questi fluiscono molti semi di color giallastro e vanno a incontrare i simulacri delle cose, e molti sono per di più mescolati nei loro occhi e con il loro contatto dipingono ogni oggetto di pallore E dall'oscurità vediamo le cose che sono nella luce perché, quando la nera aria della caligine, che è più vicina, è entrata per prima negli occhi aperti e li ha occupati, la segue sùbito una raggiante aria luminosa che, per così dire, li purga e spazza via le nere ombre dell'altra aria; infatti quest'aria è molte volte più mobile e molte più minuta e più possente Appena essa ha riempito di luce le vie degli occhi e ha dischiuso quelle che prima aveva invase l'aria nera , senza indugio seguono i simulacri delle cose che si trovano nella luce e ci stimolano a vedere |
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quod contra facere in tenebris e luce nequimus propterea quia posterior caliginis aër crassior insequitur, qui cuncta foramina complet obsiditque vias oculorum, ne simulacra possint ullarum rerum coniecta moveri Quadratasque procul turris cum cernimus urbis, propterea fit uti videantur saepe rutundae, angulus optusus quia longe cernitur omnis sive etiam potius non cernitur ac perit eius plaga nec ad nostras acies perlabitur ictus, aëra per multum quia dum simulacra feruntur, cogit hebescere eum crebris offensibus aër hoc ubi suffugit sensum simul angulus omnis fit quasi ut ad turnum saxorum structa tuantur; non tamen ut coram quae sunt vereque rutunda, sed quasi adumbratim paulum simulata videntur |
Per contro non possiamo far ciò dalla luce nell'oscurità perché l'aria della caligine, che è più spessa, segue seconda ed empie tutti i canali e invade le vie degli occhi, sì che nessun simulacro delle cose può lanciarsi in essi e stimolarli E quando vediamo da lungi le quadrate torri d'una città, per ciò spesso avviene che sembrino rotonde, perché di lontano ogni angolo si vede ottuso o piuttosto non si vede affatto e se ne perde il colpo, né la percossa perviene alle nostre pupille, perché, mentre i simulacri viaggiano per molta aria, coi frequenti scontri l'aria la costringe ad ottundersi Quando perciò tutti gli angoli sono insieme sfuggiti al senso accade che le strutture di pietra appaiano come lavorate al tornio, non tuttavia come quelle che son davanti a noi e davvero rotonde, ma paiono un po' somiglianti come per vago adombramento |