Livio, Ab urbe condita: Libro 30; 15 - 30, pag 3

Livio, Ab urbe condita: Libro 30; 15 - 30

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 30; 15 - 30

Raro quemquam alium patriam exsilii causa relinquentem tam maestum abisse ferunt quam Hannibalem hostium terra excedentem; respexisse saepe Italiae litora, et deos hominesque accusantem in se quoque ac suum ipsius caput exsecratum quod non cruentum ab Cannensi victoria militem Romam duxisset; Scipionem ire ad Carthaginem ausum qui consul hostem Poenum in Italia non vidisset: se, centum milibus armatorum ad Trasumennum ad Cannas caesis, circa Casilinum Cumasque et Nolam consenvisse

Haec accusans querensque ex diutina possessione Italiae est detractus

[21] Romam per eosdem dies et Magonem et Hannibalem profectos allatum est
Raramente qualcuno nel lasciare la patria per andare in esilio apparve mai tanto triste quanto si racconta sia stato Annibale nel partire abbandonando una terra nemica; si dice che spesso si sia voltato indietro a guardare le coste dell'Italia, accusando gli dei e gli uomini, invocando maledizioni sopra di sé e il proprio capo, per non aver condotto subito a Roma i suoi soldati ancora grondanti di sangue romano dopo la vittoria di Canne; Scipione aveva pur osato spingersi fin presso Cartagine, mentre da console non aveva mai visto in Italia il nemico cartaginese: egli, invece, era rimasto ad invecchiare nei dintorni di Casilino, di Cuma e di Nola dopo aver fatto strage di centomila Romani al Trasimeno e a Canne

In mezzo a queste recriminazioni e a questi lamenti, fu strappato a forza da quella terra italiana, della quale per così gran tempo era stato il padrone

[21] Pressappoco negli stessi giorni fu riferito a Roma che Annibale e Magone erano partiti
Cuius duplicis gratulationis minuit laetitiam et quod parum duces in retinendis iis, cum id mandatum ab senatu esset, aut animi aut virium habuisse videbantur et quod solliciti erant omni belli mole in unum exercitum ducemque inclinata quo evasura esset res

Per eosdem dies legati Saguntini venerunt comprensos cum pecunia adducentes Carthaginienses qui ad conducenda auxilia in Hispaniam traiecissent

Ducenta et quinquaginta auri, octingenta pondo argenti in vestibulo curiae posuerunt

Hominibus acceptis et in carcerem conditis auro argentoque reddito gratiae legatis actae, atque insuper munera data ac naves quibus in Hispaniam reverterentur
La gioia per questi due avvenimenti lieti fu diminuita non solo dall'impressione che i generali non avessero dimostrato né molto coraggio né molta energia nel trattenere i Cartaginesi in Italia come il senato aveva a loro raccomandato, ma anche dal fatto che tutti erano preoccupati dell'esito degli eventi, dal momento che l'intero peso della guerra sarebbe venuto ora a gravare sopra un solo esercito ed un solo comandante

Negli stessi giorni vennero a Roma dei messi dei Saguntini i quali portavano con sé dei Cartaginesi che erano passati in Spagna per arruolare soldati e che essi avevano catturato con somme di denaro

Furono deposte nel vestibolo del senato duecentocinquanta libbre d'oro e ottocento d'argento

Furono presi in consegna i Cartaginesi e cacciati in carcere l'oro e l'argento furono resi ai Sanguntini, che oltre a molti ringraziamenti ebbero anche doni e navi per ritornare in Spagna
Mentio deinde ab senioribus facta est segnius homines bona quam mala sentire; transitu in Italiam Hannibalis quantum terroris pavorisque esset meminisse; quas deinde clades, quos luctus incidisse

Visa castra hostium e muris urbis; quae vota singulorum universorumque fuisse

Quotiens in conciliis voces manus ad caelum porrigentium auditas en unquam ille dies futurus esset quo vacuam hostibus Italiam bona pace florentem visuri essent

Dedisse id deos tandem sexto decimo demum anno, nec esse qui dis grates agendas censeat; adeo ne advenientem quidem gratiam homines benigne accipere, nedum ut praeteritae satis memores sint
Alcuni fra i più anziani osservarono allora che gli uomini reagiscono con minor forza al bene che al male; ricordavano quanto terrore e quanto panico aveva diffuso la notizia del passaggio di Annibale in Italia; quante sconfitte e quanti lutti erano poi piombati addosso

Dalle mura di Roma era stato visto il campo del nemico; quanti voti erano stati innalzati agli dei da singoli cittadini e dall'intera cittadinanza

Quante volte si erano udite nelle assemblee le grida di coloro che alzavano le mani al cielo, invocando se mai avrebbero visto un giorno l'Italia libera da nemici invasori e fiorente di pace

Gli dei finalmente avevano concesso ciò sedici anni dopo, eppure non v'era nessuno che pensasse di offrire ringraziamenti agli dei; a tal punto gli uomini non solo non accolgono con animo grato il bene che vien loro fatto, ma tanto meno sono giustamente memori dei benefici ottenuti nel passato

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Livio, Ab urbe condita: Libro 34; 45 - 49
Livio, Ab urbe condita: Libro 34; 45 - 49

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 34; 45 - 49

Conclamatum deinde ex omni parte curiae est uti referret P Aelius praetor; decretumque ut quinque dies circa omnia pulvinaria supplicaretur victimaeque maiores immolarentur centum viginti

Iam dimisso Laelio legatisque Masinissae cum Carthaginiensium legatos de pace ad senatum venientes Puteolis visos inde terra venturos allatum esset, revocari C Laelium placuit ut coram eo de pace ageretur

Q Fulvius Gillo legatus Scipionis Carthaginienses Romam adduxit; quibus vetitis ingredi urbem hospitium in villa publica, senatus ad aedem Bellonae datus est
Fu allora da ogni parte della curia richiesto a gran voce che il pretore P Elio facesse la proposta di un pubblico ringraziamento; fu poi deliberato che si facessero per cinque giorni pubbliche cerimonie religiose presso tutti i letti degli dei nei templi e si sacrificassero centoventi vittime adulte

Era già stato congedato Lelio con gli ambasciatori di Massinissa, quando si venne a sapere che gli ambasciatori cartaginesi, che venivano per trattare in senato le condizioni di pace, erano stati visti a Pozzuoli e che di là sarebbero arrivati per terra; allora si decise di richiamare Lelio per condurre le trattative in sua presenza

Il luogotenente di Scipione Q Fulvio Gillone guidò a Roma gli ambasciatori cartaginesi; poiché ad essi fu vietato l'ingresso nella città, furono ospitati nella villa pubblica e fu loro concessa udienza in senato nel tempio della dea Bellona
[22] Orationem eandem ferme quam apud Scipionem habuerunt, culpam omnem belli a publico consilio in Hannibalem vertentes: eum iniussu senatus non Alpes modo sed Hiberum quoque transgressum, nec Romanis solum sed ante etiam Saguntinis privato consilio bellum intulisse; senatui ac populo Carthaginiensi, si quis vere aestimet, foedus ad eam diem inviolatum esse cum Romanis; itaque nihil aliud sibi mandatum esse uti peterent quam ut in ea pace quae postremo cum C Lutatio facta esset manere liceret [22] Gli ambasciatori cartaginesi tennero in senato pressappoco lo stesso discorso che avevano fatto a Scipione, sgravando i pubblici poteri da ogni colpa per aver scatenato la guerra e riversandola tutta sopra Annibale: affermarono che questi aveva non solo attraversato le Alpi, ma anche il fiume Ebro contro la volontà del senato e che aveva deliberato per conto suo di dichiarare guerra non solo ai Romani, ma anche ai Saguntini; da parte del senato e del popolo cartaginese, se qualcuno giudicasse i fatti nella loro realtà, il patto coi Romani restava tuttora valido; pertanto, essi nessun altro incarico avevano avuto se non quello di chiedere che fosse permesso ai Cartaginesi mantenere le stesse condizioni di pace contenute nell'ultimo trattato concluso col console Lutazio

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Cum more tradito [a] patribus potestatem interrogandi, si quis quid vellet, legatos praetor fecisset, senioresque qui foederibus interfuerant alia alii interrogarent, nec meminisse se per aetatemetenim omnes ferme iuvenes erant dicerent legati, conclamatum ex omni parte curiae est Punica fraude electos qui veterem pacem repeterent cuius ipsi non meminissent

[23] Emotis deinde curia legatis sententiae interrogari coeptae

M Livius C Servilium consulem qui propior esset arcessendum ut coram eo de pace ageretur censebat; cum de re maiore quam quanta ea esset consultatio incidere non posset, non videri sibi absente consulum altero ambobusve eam rem agi satis ex dignitate populi Romani esse
Poiché il pretore, secondo l'antico costume, diede ai senatori la facoltà di interrogare gli ambasciatori, se qualcuno volesse chiarimenti, i più anziani che avevano partecipato a quelle trattative di pace interrogarono i messi chiedendo chi una cosa chi l'altra, ma i Cartaginesi rispondevano che - a causa della loro giovane età - non potevano ricordarsi di nulla, allora da ogni settore della curia i senatori a gran voce dichiararono che era un segno della malafede cartaginese l'aver scelto come ambasciatori, con l'incarico di restaurare l'antico trattato di pace, uomini che non ne avevano il più piccolo ricordo

[23] Allontanati quindi i messi dalla curia, il pretore cominciò a chiedere a ciascuno il suo parere

M Livio espresse l'opinione che si dovesse far venire il console C Servilio, che era di stanza più vicino a Roma, per poter discutere della pace alla sua presenza, poiché non era conforme alla dignità del popolo romano iniziare la discussione su di un argomento di maggior importanza di quello che era all'ordine del giorno, mentre non solo uno, ma ambedue i consoli erano assenti
Q Metellus, qui triennio ante consul dictatorque fuerat: cum P Scipio caedendo exercitus agros populando in eam necessitatem hostes compulisset ut supplices pacem peterent, et nemo omnium verius existimare posset qua mente ea pax peteretur quam qui ante portas Carthaginis bellum gereret, nullius alterius consilio quam Scipionis accipiendam abnuendamve pacem esse

M Valerius Laevinus, qui bis consul fuerat, speculatores non legatos venisse arguebat, iubendosque Italia excedere et custodes cum iis usque ad naves mittendos, Scipionique scribendum ne bellum remitteret
Q Metello, che era stato console e dittatore nel triennio precedente, dichiarò che poiché Scipione, facendo strage degli eserciti cartaginesi e devastando i loro campi, aveva costretto i nemici alla necessità di venire a supplicare la pace, nessuno meglio di lui poteva giudicare con quali intenzioni quella pace era richiesta, come colui che stava combattendo alle porte di Cartagine, perciò la pace non si doveva né accettare né rifiutare per consiglio di nessun altro, se non per consiglio di Scipione

M Valerio Levino che era stato console due volte dimostrava che a Roma erano venute delle spie, non degli ambasciatori e che era necessario che i messi dei cartaginesi fossero fatti uscire dall'Italia e che fossero accompagnati fino alle navi dalle guardie, era poi opportuno scrivere a Scipione che non rallentasse le operazioni militari

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Laelius Fulviusque adiecerunt et Scipionem in eo positam habuisse spem pacis si Hannibal et Mago ex Italia non revocarentur; ceterum omnia simulaturos Carthaginienses, duces eos exercitusque exspectantes; deinde quamvis recentium foederum et deorum omnium oblitos bellum gesturos

Eo magis in Laevini sententiam discessum

Legati pace infecta ac prope sine responso dimissi

[24] Per eos dies Cn Servilius consul, haud dubius quin pacatae Italiae penes se gloria esset, velut pulsum ab se Hannibalem persequens, in Siciliam, inde in Africam transiturus, traiecit
Lelio e Fulvio aggiunsero che anche Scipione aveva posto la speranza di poter concludere la pace, solo nel fatto che Annibale e Magone non fossero richiamati dall'Italia; affermarono, inoltre, che i Cartaginesi avevano organizzato tutta quella finzione in attesa che giungessero i loro generali con gli eserciti; avrebbero poi ripresa la guerra dimenticandosi dei patti per quanto recenti e di tutti quanti gli dei

Poiché l'opinione di Levino venne così confermata, fu approvata la sua proposta

Gli ambasciatori furono congedati senza che la pace fosse conclusa e, si può dire, senza ottenere alcuna risposta

[24] In quegli stessi giorni il console Cn Servilio, nella certezza che fosse gloria sua l'aver portato la pace in Italia, come se Annibale fosse stato cacciato da lui ed egli dovesse inseguirlo, si trasferì in Sicilia per passare poi in Africa
Quod ubi Romae volgatum est, primo censuerant patres ut praetor scriberet consuli senatum aequum censere in Italiam reverti eum; dein, cum praetor spreturum eum litteras suas diceret, dictator ad id ipsum creatus P Sulpicius pro iure maioris imperii consulem in Italiam revocavit

Reliquum anni cum M Servilio magistro equitum circumeundis in Italia urbibus quae bello alienatae fuerant noscendisque singularum causis consumpsit

Per indutiarum tempus ex Sardinia a P Lentulo praetore centum onerariae naves cum commeatu viginti rostratarum praesidio, et ab hoste et ab tempestatibus mari tuto, in Africam transmiserunt

Cn Octavio ducentis onerariis triginta longis navibus ex Sicilia traicienti non eadem fortuna fuit
Allorché la notizia si diffuse a Roma, per prima cosa i senatori deliberarono che il pretore scrivesse al console per avvertirlo che il senato riteneva opportuno che egli ritornasse in Italia; avendo poi il pretore dichiarato che Servilio non avrebbe tenuto in nessun conto la sua lettera, per risolvere il caso fu creato dittatore P Sulpicio, il quale richiamò il console in virtù di quel diritto che gli veniva dalla superiorità della carica

Il resto dell'anno egli lo passò ad ispezionare col suo maestro della cavalleria M Servilio quelle città italiane che durante la guerra erano passate ai Cartaginesi, per conoscere le ragioni del comportamento di ciascuna

Nel periodo della tregua cento navi con un carico di vettovaglie, scortate da venti navi da guerra, condotte dalla Sardegna dal pretore Lentulo, passarono in Africa senza incontrare né burrasche né nemici

Non incontrò la stessa sorte Cn Ottavio` che portava dalla Sicilia duecento navi mercantili e trenta navi da guerra

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In conspectum ferme Africae prospero cursu vectum primo destituit ventus, deinde versus in Africum turbavit ac passim naves disiecit

Ipse cum rostratis per adversos fluctus ingenti remigum labore enisus Apollinis promunturium tenuit: onerariae pars maxima ad Aegimurum insulamea sinum ab alto claudit in quo sita Carthago est, triginta ferme milia ab urbe, aliae adversus urbem ipsam ad Calidas Aquas delatae sunt

Omnia in conspectu Carthaginis erant

Itaque ex tota urbe in forum concursum est; magistratus senatum vocare: populus in curiae vestibulo fremere ne tanta ex oculis manibusque amitteretur praeda
Giunto quasi in vista dell'Africa dopo aver felicemente navigato, prima ebbe a soffrire per la mancanza del vento, poi fu investito dal vento Africo che, soffiandogli contro, sconvolse la sua flotta e disperse qua e là le navi

Questi avendo tentato con le navi rostrate di fendere i flutti con immane sforzo dei rematori, approdò al promontorio di Apollo; le navi da carico in maggior parte andarono alla deriva nei pressi di Egimuro - l'isola che chiude dall'alto mare il golfo, nel quale è situata Cartagine a circa trenta miglia dalla città -, altre navi furono trascinate di fronte alla stessa città fino alle Acque Calde

Tutto questo avveniva di fronte a Cartagine

Pertanto, da tutta la città la folla accorse nel foro; i magistrati convocarono il senato, il popolo rumoreggiava nel vestibolo della curia, chiedendo che non si lasciasse sfuggire dalle mani e dagli occhi una così grossa preda

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