[51] 'Contemnendae res humanae sunt, neglegenda mors est, patibiles et dolores et labores putandi' Haec cum constituta sunt iudicio atque sententia, tum est robusta illa et stabilis fortitudo, nisi forte, quae vehementer acriter animose fiunt iracunde fieri suspicamur Mihi ne Scipio quidem ille pontufex maxumus, qui hoc Stoicorum verum esse declaravit, numquam privatum esse sapientem, iratus videtur fuisse Ti Graccho tum, cum consulem languentem reliquit atque ipse privatus, ut si consul esset, qui rem publicam salvam esse vellent, se sequi iussit [52] Nescio ecquid ipsi nos fortiter in re p fecerimus: si quid fecimus, certe irati non fecimus An est quicquam similius insaniae quam ira quam bene Ennius 'initium' dixit 'insaniae |
[51] Bisogna disprezzare le contingenze umane, trascurare la morte, considerare tollerabili sia i dolori sia le fatiche Quando sono state stabilite per convinzione e definizione queste cose, allora diventa forte e stabile quella forza, se non ipotizziamo che le cose che accadono in maniera intensa, sentita, veemente accadano per caso in maniera irosa Mi sembra che neppure quel famoso pontefice massimo, Scipione, che dimostrò che è vera questa sentenza degli storici, che il sapiente non è mai un privato cittadino, si arrabbiò con Tiberio Gracco, quando, pur essendo lui stesso privo di cariche pubbliche, lasciò il console che stava inoperoso, come se il console fosse lui e ordinò che lo seguisse chiunque volesse che lo stato fosse salvo [52] Non so se mai noi stessi abbiamo fatto qualcosa di deciso per la patria: se abbiamo fatto qualcosa, certo non labbiamo fatto arrabbiati E cè qualcosa di più simile alla follia dellira Ed Ennio la definì bene inizio della follia |
' Color, vox, oculi, spiritus, inpotentia dictorum ac factorum quam partem habent sanitatis Quid Achille Homerico foedius, quid Agamemnone in iurgio Nam Aiacem quidem ira ad furorem mortemque perduxit Non igitur desiderat fortitudo advocatam iracundiam; satis est instructa parata armata per sese Nam isto quidem modo licet dicere utilem vinulentiam ad fortitudinem, utilem etiam dementiam, quod et insani et ebrii multa faciunt saepe vehementÏus Semper Aiax fortis, fortissimus tamen in furore; nam Facinus fecit maximum, cum Danais inclinantibus Summam rem perfecit manu [XXIV] [53] Proelium restituit insaniens: dicamus igitur utilem insaniam Tracta definitiones fortitudinis: intelleges eam stomacho non egere |
Il colorito, la voce, gli occhi, le emozioni, lincapacità di parlare e agire, che cosa hanno di sano Che cosè più turpe dellAchille omerico, che cosa più di Agamennone in lite Infatti di cero lira condusse Aiace al furore e alla morte La forza non desidera dunque di essere chiamata collera; già di per sé è stata preparata, strutturata ed equipaggiata Infatti a questo modo sarebbe giusto dire che lubriachezza sia utile al coraggio e anche la pazzia sia utile perché sia i pazzi sia gli ubriachi fanno spesso molte cose in maniera piuttosto violenta Aiace fu sempre forte, ma nella pazzia divenne fortissimo; infatti Fece la più grande impresa quando risolse la questione di sua mano, mentre i Danai si ritiravano [XXIV] [53] Impazzendo cambio le sorti della battaglia: possiamo dunque definire utile linsania Considera le definizioni della forza: capirai che non hanno bisogno di bile |
Fortitudo est igitur 'adfectio animi legi summae in perpetiendis rebus obtemperans' vel 'conservatio stabilis iudicii in eis rebus quae formidolosae videntur subeundis et repellendis' vel 'scientia rerum formidolosarum contrariarumque aut omnino neglegendarum conservans earum rerum stabile iudicium' vel brevius, ut Chrysippus (nam superiores definitiones erant Sphaeri, hominis in primis bene definientis, ut putant Stoici; sunt enim omnino omnes fere similes, sed declarant communis notiones alia magis alia) - quo modo igitur Chrysippus 'Fortitudo est' inquit 'scientia rerum perferendarum vel adfectio animi in patiendo ac perferendo summae legi parens sine timore ' Quamvis licet insectemur istos, ut Carneades solebat, metuo ne soli philosophi sint Quae enim istarum definitionum non aperit notionem nostram, quam habemus omnes de fortitudine tectam atque involutam |
La forza è infatti una disposizione dellanimo che ottempera ad una legge più alta nel sopportare le cose oppure la conservazione del trattenere o respingere un giudizio sicuro in quelle cose che sembrano terribili o ancora la scienza del trascurare le cose terribili o ostili conservando una idea sicura di quelle cose o più brevemente, come in Crisippo (infatti le definizioni precedenti erano di Sfero, uomo che fra i primi ben strutturava le definizioni, come credono gli Stoici; sono infatti tutte del tutto simili fra loro, ma sottolinea nozioni comuni una diversa dallaltra)- come dice Crisippo La forza è dice la scienza di sopportare le situazioni o lattitudine dellanimo a sopportare e patire obbedendo senza timore a una legge superiore E sia lecito anche criticarli, come era solito fare Carneade temo che questi siano i soli filosofi Quale infatti di queste definizioni non apre la nostra opinione che tutti abbiamo oscura e nascosta della forza |
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Cicerone, Tuscolanae Disputationes: Libro 05; 01-10
Latino: dall'autore Cicerone, opera Tuscolanae Disputationes parte Libro 05; 01-10
Qua aperta quis est qui aut bellatori aut imperatori aut oratori quaerat aliquid neque eos existumet sine rabie quicquam fortiter facere posse [54] Quid Stoici, qui omnes insipientes insanos esse dicunt, nonne ista conligunt Remove perturbationes maxumeque iracundiam: iam videbuntur monstra dicere Nunc autem ita disserunt, sic se dicere omnes stultos insanire, ut male olere omne caenum 'At non semper ' Commove: senties Sic iracundus non semper iratus est; lacesse: iam videbis furentem Quid ista bellatrix iracundia, cum domum rediit, qualis est cum uxore, cum liberis, cum familia an tum quoque est utilis Est igitur aliquid quod perturbata mens melius possit facere quam constans an quisquam potest sine perturbatione mentis irasci |
E, chiarita questa, chi è quello che chiederà qualcosaltro a un combattente o a un imperatore o a un oratore e crederà che quelli non possano fare qualcosa di forte senza rabbia [54] E che Gli stoici, che tutti gli stolti definiscono matti, non raccolgono queste cose Togli le alterazioni e soprattutto lira: sembrerà allora che dicano cose terribili Ora infatti sono daccordo nel dire che tutti gli stolti impazziscono come ogni melma puzza Ma non sempre Muovila: sentirai Così liracondo non è sempre arrabbiato; colpiscilo: allora lo vedrai furente E che Questa ira bellicosa, quando si rivolse alle faccende domestiche, come è con la moglie con i figli con la servitù E anche utile talvolta Cè dunque qualcosa che una mente annebbiata possa far meglio di una tranquilla O chiunque può arrabbiarsi senza una confusione della mente |
Bene igitur nostri, cum omnia essent in moribus vitia, quod nullum erat iracundia foedius, iracundos solos morosos nominaverunt [XXV] [55] Oratorem vero irasci minime decet, simulare non decet An tibi irasci tum videmur, cum quid in causis acrius et vehementius dicimus Quid cum iam rebus transactis et praeteritis orationes scribimus, num irati scribimus 'Ecquis hoc animadvertit vincite ' Num aut egisse umquam iratum Aesopum aut scripsisse existimas iratum Accium Aguntur ista praeclare et ab oratore quidem melius, si modo est orator, quam ab ullo histrione, sed aguntur leniter et mente tranquilla Libidinem vero laudare cuius est libidinis Themistoclem mihi et Demosthenen profertis, additis Pithagoran Democritum Platonem Quid vos studia libidinem vocatis |
Dunque a ragione i nostri antenati, pur essendoci nei caratteri tutti i vizi, poiché niente era più turpe dellira, chiamarono solamente gli iracondi caratteriali Certo alloratore non conviene per niente adirarsi, ma non disturba il simularlo O forse ti sembra che ci arrabbiamo quando nelle cause diciamo qualcosa di troppo aspro e veemente E che E quando, chiuse ed archiviate le cause, scriviamo le orazioni, forse le scriviamo arrabbiati E chi si accorge di questo Legatelo Infatti credi che Esopo abbia mai fatto qualcosa da arrabbiato che Accio abbia scritto irato Queste cose sono fatte ad arte, e certo meglio da un oratore, se solo è un oratore, che da qualunque attore, ma sono fatte con calma e a mentre tranquilla Infatti di che passionalità è lodare la passionalità Prendete Temistocle e Demostene, aggiungete Pitagora, Democrito e Platone E che Voi chiamate passionalità gli studi |
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Cicerone, Tuscolanae Disputationes: Libro 01; 429-501
Latino: dall'autore Cicerone, opera Tuscolanae Disputationes parte Libro 01; 429-501
quae vel optimarum rerum, ut ea sunt quae profertis, sedata tamen et tranquilla esse debent Iam aegritudinem laudare, unam rem maxime detestabilem, quorum est tandem philosophorum At commode dixit Afranius: 'Dum modo doleat aliquid, doleat quidlibet ' Dixit enim de adolescente perdito ac dissoluto, nos autem de constanti viro ac sapienti quaerimus Et quidem ipsam illam iram centurio habeat aut signifer vel ceteri, de quibus dici non necesse est, ne rhetorum aperiamus mysteria; utile est enim uti motu animi, qui uti ratione non potest: nos autem, ut testificor saepe, de sapiente quaerimus [XXVI] [56] At etiam aemulari utile est, obtrectare, misereri Cur misereare potius quam feras opem, si id facere possis an sine misericordia liberales esse non possumus |
Anche fra le cose migliori, come sono quelle che presentate, esse devono essere tuttavia calme e tranquille Di quali filosofi infine è compito lodare la tristezza, la sola cosa davvero detestabile Ma a ragione Afranio scrisse: Basta che si dolga di qualcosa, si dolga di quel che vuole Infatti lo disse di un giovane debosciato e dissoluto, noi invece lo chiediamo di un uomo costante e saggio Abbia questo tipo di ira un centurione o un portasigilli o altri di cui non è necessario che si parli per non svelare i misteri dei retori; è utile, infatti utilizzare un movimento dellanimo che non può usare la razionalità: noi invece, come attesto sempre, parliamo del sapiente [XXVI] [56] E infatti utile emulare, essere geloso, essere pietoso Perché devi aver pietà piuttosto che portare aiuto, se puoi fare ciò O non possiamo essere generosi senza misericordia |
Non enim suscipere ipsi aegritudines propter alios debemus, sed alios, si possumus, levare aegritudine Obtrectare vero alteri aut illa vitiosa aemulatione, quae rivalitati similis est, aemulari quid habet utilitatis, cum sit aemulantis angi alieno bono quod ipse non habeat, obtrectantis autem angi alieno bono, quod id etiam alius habeat Qui id adprobari possit, aegritudinem suscipere pro experientia, si quid habere velis nam solum habere velle summa dementia est [57] Mediocritates autem malorum quis laudare recte possit Quis enim potest, in quo libido cupiditasve sit, non libidinosus et cupidus esse in quo ira, non iracundus in quo angor, non anxius in quo timor, non timidus Libidinosum igitur et iracundum et anxium et timidum censemus esse sapientem |
Infatti non dobbiamo subire noi stessi amarezze a causa di altri, ma sollevare gli altri dallafflizione, se possiamo Quale utilità poi hai invidiare un altro o emularlo di quella patologica emulazione che è simile alla rivalità, dato che è proprio dellemulatore soffrire di un bene altrui che lui non ha e di un invidioso soffrire di un bene altrui, poiché anche un altro ha lo stesso Infatti chi può essere daccordo su questo, sul prendere dolore al posto che esempio, se vuoi avere qualcosa Infatti il voler avere da solo è la massima sciocchezza [57] Ma chi può lodare a ragione la mediocrità dei mali Chi infatti può non essere passionale e voglioso, se in lui ci sono passione e voglia Non iracondo se cè ira Non ansioso se cè ansia Non timoroso se cè timore E pensiamo che un sapiente sia libidinoso ed iracondo e ansioso e timido |
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Cicerone, Tuscolanae Disputationes: Libro 01; 188-229
Latino: dall'autore Cicerone, opera Tuscolanae Disputationes parte Libro 01; 188-229
De cuius excellentia multa quidem dici quamvis fuse lateque possunt, sed brevissime illo modo, sapientiam esse rerum divinarum et humanarum scientiam cognitionemque, quae cuiusque rei causa sit; ex quo efficitur, ut divina imitetur, humana omnia inferiore virtute ducat In hanc tu igitur tamquam in mare, quod est ventis subiectum perturbationem cadere tibi dixisti videri Quid est quod tantam gravitatem constantiamque perturbet an improvisum aliquid aut repentinum Quid potest accidere tale ei, cui nihil, quod homini evenire possit, Nam quod aiunt nimia resecari oportere, naturale relinqui, quid tandem potest esse naturale, quod idem nimium esse possit Sunt enim omnia ista ex errorum orta radicibus, quae evellenda et extrahenda penitus, non circumcidenda nec amputanda sunt |
Riguardo alleccezionalità di costui possono essere dette tante cose in maniera diffusa e ampia quanto vuoi, ma, in maniera brevissima, in questo modo, che la saggezza è la scienza e la comprensione delle cose divine ed umane, e quale sia la causa di ciascuna cosa; da ciò consegue che le cose divine siano imitate e considera inferiori per virtù tutte le cose umane Dicesti che ti sembra di cadere in questo turbamento come nel mare che è soggetto ai venti Che cosa cè che possa turbare tanta serietà ed equilibrio O che cosa cè improvviso o repentino Che cosa di simile può accadere a uno da cui niente di ciò che può accadere ad un uomo non sia stato preso in considerazione Infatti per il fatto stesso che dicono che bisogna sopprimere le cose eccessive e lasciare il naturale, che cosa infine può essere naturale, che possa essere esso stesso eccessivo Tutte queste cose nacquero dalle radici degli errori che devono essere sradicate ed estinte totalmente non circoscritte né amputate |
[XXVII] [58] Sed quoniam suspicor te non tam de sapiente quam de te ipso quaerere - illum enim putas omni perturbatione esse liberum, te vis -, videamus, quanta sint quae philosophia remedia morbis animorum adhibeantur Est enim quaedam medicina certe, nec tam fuit hominum generi infensa atque inimica natura, ut corporibus tot res salutaris, animis nullam invenerit; de quibus hoc etiam est merita melius, quod corporum adiumenta adhibentur extrinsecus, animorum salus inclusa in is ipsis est Sed quo maior est in eis praestantia et divinior, eo maiore indigent diligentia Itaque bene adhibita ratio cernit, quid optumum sit, neglecta multis implicatur erroribus [59] Ad te igitur mihi iam convertenda omnis oratio est; simulas enim quaerere te de sapiente, quaeris autem fortasse de te Earum igitur perturbationum, quas exposui, variae sunt curationes |
[XXVII] [58] Ma poiché sospetto che tu chiedi non tanto del sapiente quanto di te stesso (infatti ritieni che quello sia libero da ogni turbamento, tu vuoi esserlo) vediamo quanti siano i rimedi che dalla filosofia sono stati trovati alle malattie degli animi Infatti cè sicuramente una medicina e la natura non fu tanto ostile e nemica del genere umano da trovare tante cose salutari per i corpi e nessuna per gli animi; anzi, riguardo a questi ultimi meritò di più perché gli aiuti dei corpi si trovano allesterno, la salute degli animi è compresa in quegli stessi Ma tanto più grande e più sacra è in essi la forza, tanto più mancano di attenzione Così una razionalità bene addestrata capisce che cosa sia il meglio, una razionalità trascurata si impaccia in molti errori Dunque devo far convergere a te ogni discorso, infatti fingi di informarti sul sapiente, ma forse chiedi di te Diverse sono le cure di quei turbamenti che esposi |
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Cicerone, Tuscolanae Disputationes: Libro 03; 65-84
Latino: dall'autore Cicerone, opera Tuscolanae Disputationes parte Libro 03; 65-84
Nam neque omnis aegritudo, una ratione sedatur (alia est enim lugenti, alia miseranti aut invidendi adhibenda medicina); est etiam in omnibus quattuor perturbationibus illa distinctio, utrum ad universam perturbationem, quae est aspernatio rationis aut adpetitus vehementior, an ad singulas, ut ad metum lubidinem reliquas melius adhibeatur oratio, et utili illudne non videatur aegre ferundum, ex quo suscepta sit aegritudo, an omnium rerum tollenda omnino aegritudo, ut, si quis aegre ferat se pauperem esse, idne disputes, paupertatem malum non esse, an hominem aegre ferre nihil oportere Nimirum hoc melius, ne, si forte de paupertate non persuaseris, sit aegritudini concedendum; aegritudine autem sublata propriis rationibus, quibus heri usi sumus, quodam modo etiam paupertatis malum tollitur |
Infatti non tutte le malattie sono calmate da uno stessa terapia (una è la medicina da trovare per chi piange, un'altra per chi commisera o invidia); infatti cè in tutte e quattro le perturbazioni quella distinzione, se il discorso debba adattarsi meglio al turbamento in generale, che è il disprezzo della ragione o un desiderio troppo forte, o ai singoli, come al timore, la sessualità o le restanti altre, e se sembri utile o meno sopportare di malgrado ciò da cui scaturì la malattia o se debba essere totalmente cancellata la malattia di tutte le cose al punto che, se qualcuno sopporta a fatica di essere povero, bisogna decidere se la povertà non è un male o se bisogna che un uomo non sopporti nulla di mala voglia Sicuramente è meglio questo perchè non bisogni acconsentire alla tristezza se non lo avrai convinto riguardo alla povertà; tolta la tristezza per i motivi personali, che trattammo ieri, si toglie in un certo qual modo anche il male della povertà |