Cicerone, De Natura deorum: Libro 03; 01-05

Cicerone, De Natura deorum: Libro 03; 01-05

Latino: dall'autore Cicerone, opera De Natura deorum parte Libro 03; 01-05
I [1] Quae cum Balbus dixisset, tum adridens Cotta "Sero", inquit, "mihi, Balbe, praecipis, quid defendam

Ego enim te disputante, quid contra dicerem, mecum ipse meditabar neque tam refellendi tui causa quam ea, quae minus intellegebam, requirendi

Cum autem suo cuique iudicio sit utendum, difficile factu est me id sentire, quod tu velis

[2] Hic Velleius "Nescis", inquit, "quanta cum expectatione, Cotta, sim te auditurus

Iucundus enim Balbo nostro sermo tuus contra Epicurum fuit; praebebo igitur ego me tibi vicissim attentum contra Stoicos auditorem

Spero enim te, ut soles, bene paratum venire

[3] Tum Cotta "Sic mehercule", inquit, "Vellei; neque enim mihi par ratio cum Lucilio est, ac tecum fuit"

"Qui tandem

inquit ille
I [1] Avendo Balbo pronunciato queste parole , Cotta sorrise e disse " troppo tardi, o Balbo, mi suggerisci una tesi da sostenere

Già durante la tua esposizione consideravo fra me le possibili obiezioni, non tanto per confutarti quanto per chiarire meglio i punti che mi riuscivano oscuri

D'altra parte poiché ciascuno ha il diritto di pensarla a modo suo è difficile che io posso fare mio il tuo stesso pensiero "

[2] Al che Velleio: " Non immagini neppure, Cotta, con quanto desiderio mi disponga ad ascoltarti

Infatti il tuo discorso contro Epicuro è stato piacevole al nostro Balbo; da parte mia presterò la massima attenzione a ciò che dirai contro gli Stoici

Spero che anche questa volta tu sii come sempre bene agguerrito "

[3] Cotta allora: " Proprio così, caro Velleio, disse, ma la mia polemica con Lucilio non è la stessa che con te "

"In che senso

" chiese quello
"Quia mihi videtur Epicurus vester de dis immortalibus non magnopere pugnare: tantummodo negare deos esse non audet, ne quid invidiae subeat aut criminis; cum vero deos nihil agere, nihil curare confirmat membrisque humanis esse praeditos, sed eorum membrorum usum nullum habere, ludere videtur satisque putare, si dixerit esse quandam beatam naruram et aeternam

[4] A Balbo autem animadvertisti, credo, quam multa dicta sint quamque, etiamsi minus vera, tamen apta inter se et cohaerentia

Itaque cogito, ut dixi, non tam refellere eius orationem quam ea, quae minus intellexi, requirere

Quare, Balbe, tibi permitto, responderene mihi malis de singulis rebus quaerenti ex te ea, quae parum accepi, an universam audire orationem meam"
" Nel senso che il vostro Epicuro non mi sembra si prenda molta cura degli dèi immortali: gli manca solo il coraggio di negarne l'esistenza per sfuggire all'impopolarità od alla taccia di ateismo, ma quando sostiene che gli dèi non fanno nulla, non si curano di nulla e che, benché forniti di membra umane, non ne fanno alcun uso, pare proprio che scherzi o che, comunque, creda sufficiente affermare che esiste un essere eterno e felice

[4] Hai sentito invece quale ricchezza di argomentazioni ha saputo addurre Balbo e con quanta proprietà e coerenza, anche se non con altrettanta verità

Perciò, come ho già detto, la mia intenzione non è tanto di confutare la sua esposizione quanto di chiarire i punti per me meno chiari

Ed ora a te, Balbo, do la scelta, se preferisci rispondere punto per punto ai miei quesiti ed ai miei dubbi o vuoi ascoltare prima tutta la mia esposizione
Tum Balbus: "Ego vero, si quid explanari tibi voles, respondere malo; sin me interrogare non tam intellegendi causa quam refellendi, utrum voles, faciam, vel ad singula, quae requires, statim respondebo vel, cum peroraris, ad omnia

[5] Tum Cotta "Optime", inquit; "quam ob rem sic agamus, ut nos ipsa ducit oratio

II Sed antequam de re, pauca de me

Non enim mediocriter moveor auctoritate tua, Balbe, orationeque ea, quae me in perorando cohortabatur, ut meminissem me et Cottam esse et pontificem; quod eo, credo, valebat, ut opiniones, quas a maioribus accepimus de dis immortalibus, sacra, caerimonias religionesque defenderem

Ego vero eas defendam semper semperque defendi nec me ex ea opinione, quam a maioribus accepi de cultu deorum inmortalium, ullius umquam oratio aut docti aut indocti movebit
Al che Balbo: "Se si tratta solo di qualche chiarimento preferisco darlo senz'altro; se invece è tua intenzione farmi delle domande non tanto per capire, quanto per confutare, farò come tu vorrai: risponderò subito ai singoli quesiti o a tutti i punti insieme una volta terminato il discorso"

[5] Cotta allora: "Benissimo, concluse, procediamo pure in base al filo stesso del discorso

II Ma prima di affrontare l'argomento, parliamo un poco di me

Non poco peso hanno per me la tua autorità e le parole con le quali, nella tua perorazione, mi hai esortato a ricordarmi del mio nome e della mia carica di pontefice io penso, significa che sarebbe mio dovere difendere le credenze tradizionali sugli dèì immortali, le pratiche reli giose, le cerimonie, i riti

Ci tengo a dire che le difenderò sempre come sempre le ho difese e non c'è discorso di sapiente o di ignorante che possa distogliermi dalla mia fede nel culto tradizionale degli dèì che gli avi ci hanno trasmesso

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Latino: dall'autore Cicerone, opera De Natura deorum parte Libro 02; 06-10

Sed cum de religione agitur, Ti Coruncanium, P Scipionem, P Scaevolam pontifices maximos, non Zenonem aut Cleanthen aut Chrysippum sequor habeoque C Laelium augurem eundemque sapientem, quem potius audiam dicentem de religione in illa oratione nobili quam quemquam principem Stoicorum

Cumque omnis populi Romani religio in sacra et in auspicia divisa sit, tertium adiunctum sit, si quid praedictionis causa ex portentis et monstris Sibyllae interpretes haruspicesve monuerunt, harum ego religionum nullam umquam contemnendam putavi mihique ita persuasi, Romulum auspiciis, Numam sacris constitutis fundamenta iecisse nostrae civitatis, quae numquam profecto sine summa placatione deorum inmortalium tanta esse potuisset
In fatto di religione seguo i pontefici massimi Tiberio Coruncanio Publio Scipione e Pubilo Scevola non già Zenone, o Cleante, o Crisippo e preferisco sentir parlare di questioni religiose Gaio Lelio, augure e filosofo ad un tempo, nella sua famosa orazione piuttosto che qualsiasi sommo rappresentante della scuola stoica

Essendo tutto il rituale religioso dei Romani diviso tra le cerimonie sacre ed gli auspici, a questi si potrebbe aggiungere un terzo elemento se gli interpreti della Sibilla e gli aruspici, per predire il futuro, hanno ricavato qualche ammonimeto dai portenti e dai prodigi,ma nessuno di questi riti ho mai pensato che si dovesse trascurare e sono convinto che Romolo e Numa Pompilio gettarono le fondamenta della nostra città il primo ricorrendo agli auspici ed il secondo creando il rituale religioso, che essa(Roma) non avrebbe potuto essere così grande senza un particolare favore degli dèi immortali
[6] Habes, Balbe, quid Cotta, quid pontifex sentiat; fac nunc ego intellegam, tu quid sentias; a te enim philosopho rationem accipere debeo religionis, maioribus autem nostris etiam nulla ratione reddita credere

III " Tum Balbus "Quam igitur a me rationem", inquit, "Cotta, desideras

Et ille "Quadripertita", inquit, "fuit divisio tua, primum ut velles docere deos esse, deinde quales essent, tum ab is mundum regi, postremo consulere eos rebus humanis

Haec, si recte memini, partitio fuit

"Rectissume", inquit Balbus; "sed expecto, quid requiras
[6] Ora, Balbo, sai che cosa io pensi come Cotta e come pontefice: spetta a te, quindi, espormi la tua opinione; da te, un filosofo, io debbo ricevere una giustificazione razionale delle credenze religiose, ma e mio dovere credereai nostri maggiori anche senza nessuna prova

III Chiese allora Balbo: E quale è la giustificazione razionale che tu desideri da me

" E Cotta: " Tu avevi distinto nella trattazione di questo problema quattro momenti consistenti, rispettivamente, nell'affermazione che gli dèi esistono,nella illustrazione della loro natura, nella dimostrazione che sono essi a governare il mondo e, infine, nelladimostrazione che essi si occupano delle cose degli uomini

Questa, se ben ricordo, è stata la tua partizione deiproblema "

" Proprio così, rispose Balbo, ma tu dimmi che cosa vuoi sapere "

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Latino: dall'autore Cicerone, opera De Natura deorum parte Libro 01; 01-05

[7] Tum Cotta "Primum quidque videamus", inquit, "et si id est primum, quod inter omnis nisi admodum impios convenit, mihi quidem ex animo exuri non potest, esse deos, id tamen ipsum, quod mihi persuasum est auctoritate maiorum, cur ita sit, nihil tu me doces

"Quid est", inquit Balbus, "si tibi persuasum est, cur a me velis discere

Tum Cotta "Quia sic adgredior", inquit, "ad hanc disputationem, quasi nihil umquam audierim de dis immortalibus, nihil cogitaverim; rudem me et integrum discipulum accipe et ea, quae requiro, doce

[8]"Dic igitur", inquit, "quid requiras
[7] E Cotta: " Consideriamo, disse, il primo punto e se è vero che la prima affermazione, quella relativa alla esistenza degli dèi, trova tutti d'accordo, a meno che non si tratti di atei incalliti nell'empietà, e non c'è fuoco che riuscirebbe a cancellarla dalla mia mente, tu però non mi dimostri per quale ragione questa verità, di cui io sono fermamente convinto sulla base dell'autorità dei nostri antenati, sia veramente tale "

" Ma se tu ne sei convinto -soggiunse allora Balbo - che motivo c'è che io te la dimostri

" E Cotta: "Perchè io voglio accingermi a questa discussione immaginando di non saper nulla degli dèi e di non aver mai riflettuto su questo problema; tu accoglimi come un discepolo digiuno di scienza ed ancora da formare e insegnami ciò che desidero conoscere "

[8] " Dimmi dunque ciò che desideri sapere "
"Egone, primum illud, cur, quom istam partem ne egere quidem oratione dixisses, quod esset perspicuum et inter omnis constaret deos esse, de eo ipso tam multa dixeris

"Quia te quoque", inquit, "animadverti, Cotta, saepe, cum in foro diceres, quam plurimis posses argumentis onerare iudicem, si modo eam facultatem tibi daret causa

Atque hoc idem et philosophi faciunt et ego, ut potui, feci

Tu autem quod quaeris, similiter facis, ac si me roges, cur te duobus contuear oculis et non altero coniveam, cum idem uno adsequi possim

IV [9] Tum Cotta "Quam simile istud sit", inquit, "tu videris
" Spiegami anzitutto perché hai speso tante parole per chiarire una verità tanto evidente a proposito della quale visto che sull'esistenza degli dèi non ci sono dubbi e sono tutti d'accordo - tu stesso avevi riconosciuto che non c'era neppure bisogno che se ne parlasse "

" Per la stessa ragione per la quale, Cotta, nei tuoi discorsi forensi so che ti sforzi di sommergere il giudice coi maggior numero di argomenti possibile, per poco che la causa ti fornisca tale opportunità

E' lo stesso metodo seguito dai filosofi ed anch'io mi sono sforzato di imitarlo

Facendomi quella domanda è come se tu mi chiedessi perché mai tu guardi con ambedue gli occhi e non ne chiuda uno pur potendo realizzare lo stesso scopo con un occhio solo "

IV [9] E Cotta: " Tu giudicherai fino a che punto sia valido il paragone

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Nam ego neque in causis, si quid est evidens, de quo inter omnis conveniat, argumentari soleo perspicuitas enim argumentatione elevatur nec, si id facerem in causis forensibus, idem facerem in hac suptilitate sermonis

Cur coniveres autem altero oculo, causa non esset, cum idem optutus esset amborum et cum rerum natura, quam tu sapientem esse vis, duo lumina ab animo ad oculos perforata nos habere voluisset

Sed quia non confidebas tam esse id perspicuum, quam tu velis, propterea multis argumentis deos esse docere voluisti

Mihi enim unum sat erat, ita nobis maioris nostros tradidisse

Sed tu auctoritates contemnis, ratione pugnas;[10] patere igitur rationem meam cum tua ratione contendere
Per quanto mi concerne non è mia abitudine accumulare prove per dimostrare una verità evidente sulla quale tutti convengono (la chiarezza si offusca col troppo argomentare) e anche nel caso che mi comportassi cosi nelle cause forensi, mi guarderei bene dal fare altrettanto in una questione così delicata

Non vi sarebbe alcuna vera ragione di chiudere un occhio dal momento che entrambi hanno lo stesso campo di visione e la natura, che tu consideri saggia, ha voluto che gli occhi fossero per l'anima come due finestre aperte

Sull'esistenza degli dèi invece tu hai accumulato prove su prove perché non eri ben convinto che questa verità fosse evidente come tu avresti voluto

Per me un unico argomento sarebbe stato sufficiente: la tradizione dei nostri padri

Ma tu disprezzi l'autorità e combatti le tue battaglie con la ragione;[10] permetti dunque che le mie argomentazioni vengano a contrasto con le tue
Adfers haec omnia argumenta, cur dii sint, remque mea sententia minime dubiam argumentando dubiam facis; mandavi enim memoriae non numerum solum, sed etiam ordinem argumentorum tuorum

Primum fuit, cum caelum suspexissemus, statim nos intellegere esse aliquod numen, quo haec regantur

Ex hoc illud etiam: 'Aspice hoc sublime candens, quem invocant omnes Iovem'

[11] Quasi vero quisquam nostrum istum potius quam Capitolinum Iovem appellet aut hoc perspicuum sit constetque inter omnes, eos esse deos, quos tibi Velleius multique praeterea ne animantis quidem esse concedant

Grave etiam argumentum tibi videbatur, quod opinio de dis inmortalibus et omnium esset et cottidie cresceret: placet igitur tantas res opinione stultorum iudicari, vobis praesertim, qui illos insanos esse dicatis
Adduci tutte queste prove per dimostrare che gli dèi esistono e, intanto, col tuo argomentare rendi dubbia una verità che, a mio parere, non lo è affatto;ho memorizzato non solo il numero ma anche la successione delle tue argomentazioni

La prima sarebbe che alla vista del firmamento subito comprendiamo che deve esistere una volontà suprema che governa i corpi celesti

Di qui anche la citazione del verso:"Contempla quell'essere che in alto risplende, che tutti invocano col nome di Giove "

[11] Come se qualcuno di noi desse il nome di Giove a quest'essere e non al nostro Giove Capitolino o come se fosse chiaro ed evidente a tutti che sono divini degli esseri cui Velleio ed altri ancora negano persino la vita

Altra importante prova era per te il fatto che la credenza negli dèi è generale e si estende sempre più: ma come potete voi giudicare questioni di tanta importanza fondandovi sull'opinione della massa ignorante, soprattutto voi che considerate questa massa in preda alla follia

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V 'At enim praesentis videmus deos, ut apud Regillum Postumius, in Salaria Vatinius' nescio quid etiam de Locrorum apud Sagram proelio

Quos igitur tu Tyndaridas appellabas, id est homines homine natos, et quos Homerus, qui recens ab illorum aetate fuit, sepultos esse dicit Lacedaemone, eos tu cum cantheriis albis nullis calonibus obviam Vatinio venisse existimas et victoriam populi Romani Vatinio potius homini rustico quam M Catoni, qui tum erat princeps, nuntiavisse

Ergo et illud in silice, quod hodie apparet apud Regillum, tamquam vestigium ungulae Castoris equi credis esse

[12] Nonne mavis illud credere, quod probari potest, animos praeclarorum hominum, quales isti Tyndaridae fuerunt, divinos esse et aeternos quam eos, qui semel cremati essent, equitare et in acie pugnare potuisse
V A questo punto mi obietterai: ma a noi capita di vedere gli dèi di persona, come li vide Postumio presso il lago Regillo e Vatinio sulla via Salaria (per non parlare di certi racconti relativi alla battaglia combattuta dai Locresi presso il Sagra)

Ma credi davvero che quelli che tu hai chiamato Tindaridi, cioè uomini nati da uomini, e che Omero più vicino a loro nel tempo, dice sepolti a Sparta, si siano presentati per istrada a Vatinio senza seguito, su dei ronzini bianchi e abbiano scelto, per annunciare una vittoria nazionale, un uomo rozzo come Vatinio invece di Marco Catone che occupava allora la posizione più elevata

Pensi dunque che quella specie d'impronta di un piede equino che oggi si può vedere presso il lago Regillo appartenga al cavallo di Castore

[12] Forse non preferisci credere,il che può essere dimostrato, che le anime degli uomini illustri quali furono appunto i Tindaridi, abbiano natura divina ed eterna anziché immaginare che essi, benché bruciati sul rogo, abbiano potuto cavalcare e partecipare ad una battaglia

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