Cicerone, De legibus: Libro 02, Par 01 -30

Cicerone, De legibus: Libro 02, Par 01 -30

Latino: dall'autore Cicerone, opera De legibus parte Libro 02, Par 01 -30
[1] Atticus Sed visne, quoniam et satis iam ambulatum est, et tibi aliud dicendi initium sumendum est, locum mutemus et in insula quae est in Fibreno -- nam opinor illi alteri flumini nomen est -- sermoni reliquo demus operam sedentes

Marcus Sane quidem Nam illo loco libentissime soleo uti, sive quid mecum ipse cogito, sive aliquid scribo aut lego

[2] Atticus Equidem, qui nunc potissimum huc venerim, satiari non queo, magnificasque villas et pavimenta marmorea et laqueata tecta contemno

Ductus vero aquarum, quos isti Nilos et Euripos vocant, quis non cum haec videat inriserit

Itaque ut tu paulo ante de lege et de iure disserens ad naturam referebas omnia, sic in his ipsis rebus, quae ad requietem animi delectationemque quaeruntur, natura dominatur
[1] Attico: - Dal momento che già abbiamo passeggiato abbastanza e tu devi iniziare un altro discorso, vuoi che cambiamo posto e nell'isola che è nel Fibreno - credo sia questo il nome di quell'altro braccio del fiume - proseguiamo la conversazione, mettendoci a sedere

Marco: - Certamente; molto volentieri infatti io mi fermo in quel posto, sia quando sono intento ad elaborare qualche progetto solo con me stesso, sia quando scrivo o leggo qualcosa

[2] Attico: - Quanto a me, che sono venuto qui proprio in questa stagione, non sono stanco di saziarmene, ed al confronto mi sembrano un nulla le magnificenze delle ville ed i pavimenti di marmo ed i soffitti a cassettoni, come pure quei canali d'acqua che questa gente chiama Nili ed Euripi

Chi non sorriderebbe soddisfatto dopo aver visto questo paesaggio

Come tu poco fa discutendo di legge e di diritto riconducevi tutto alla natura, così anche in queste cose, che sono apprezzate per la distensione ed la gioia dell'animo, quella che domina è la natura
Quare antea mirabar -- nihil enim his in locis nisi saxa et montis cogitabam, itaque ut facerem et narrationibus inducebar tuis et versibus -- , sed mirabar ut dixi, te tam valde hoc loco delectari

Nunc contra miror te cum Roma absis usquam potius esse

[3] Marcus Ego veto, cum licet pluris dies abesse, praesertim hoc tempore anni, et amoenitatem et salubritatem hanc sequor; raro autem licet

Sed nimirum me alia quoque causa delectat, quae te non attingit Tite

Atticus Quae tandem ista causa est

Marcus Quia si verum dicimus, haec est mea et huius fratris mei germana patria Hic enim orti stirpe antiquissima sumus, hic sacra, hic genus, hic maiorum multa vestigia

Quid plura
Per questo io prima mi stupivo, pensando che in questi luoghi non vi fossero altro che rocce e montagne, ed a ciò mi spingevano le tue orazioni ed i tuoi versi

Mi stupivo, come ho detto, che tu provassi tanto godimento in questi luoghi; ora invece mi stupisco che durante le tue assenze da Roma tu possa stare in qualche altra località

[3] Marco: - Ma io, quando posso assentarmi per parecchi giorni, specialmente in questa stagione, vengo sempre a cercare l'amenità e la salubrità di questi posti, e purtroppo ciò mi è consentito molto raramente

Comunque mi dà motivo di allegria un'altra ragione ancora, che non ti riguarda da vicino, Tito

Attico: - E qual è mai questa ragione

Marco: - A dire il vero, questa è la patria comune mia e di mio fratello; infatti noi qui discendiamo da un antichissimo ceppo, sono qui le tradizioni religiose, qui la stirpe, qui molte tracce dei nostri antenati

Cos'altro
Hanc vides villam, ut nunc quidem est, lautius aedificatam patris nostri studio, qui cum esset infirma valetudine, hic fere aetatem egit in litteris

Sed hoc ipso in loco, cum avos viveret et antiquo more parva esset villa, ut illa Curiana in Sabinis, me scito esse natum

Qua re inest nescio quid et latet in animo ac sensu meo, quo me plus hic locus fortasse delectet, si quidem etiam ille sapientissimus vir Ithacam ut videret inmortalitatem scribitur repudiasse

[4] Atticus Ego vero tibi istam iustam causam puto, cur huc libentius venias atque hunc locum diligas Quin ipse, vere dicam, sum illi villae amicior modo factus atque huic omni solo, in quo tu ortus et procreatus es

Movemur enim nescio quo pacto locis ipsis, in quibus eorum quos diligimus aut admiramur adsunt vestigia
Ebbene, guarda questa villa, così com'è adesso, ristrutturata più riccamente per l'interessamento di nostro padre, ìl quale, a causa della salute malferma, qui trascorse quasi tutta la sua vita nelle occupazioni letterarie

Sappi che io sono nato proprio qui, quando era ancora in vita mio nonno e la villa era piuttosto piccola, secondo l'usanza antica, come quella di Curio in Sabina

Per questo c'è, nascosto nel profondo del mio animo e dei miei sentimenti, qualcosa di indefinibile, per cui questo luogo mi è ancora più caro, se è vero che anche quel famoso eroe molto saggio, per rivedere Itaca, è scritto che abbia rinunziato all'immortalità

[4] Attico: - Io prendo per buono questo motivo, perché tu vieni qui più volentieri e prediligi questi posti; anzi, a dirti la verità, anch'io ora sono diventato più affezionato a quella villa e a tutta questa terra, in cui tu sei stato procreato e sei venuto alla luce

Noi infatti, non so perché, siamo commossi da quei luoghi, i quali conservano le tracce di coloro che amiamo o ammiriamo

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Latino: dall'autore Cicerone, opera De legibus parte Libro 01, Par 31 - 50

Me quidem ipsae illae nostrae Athenae non tam operibus magnificis exquisitisque antiquorum artibus delectant, quam recordatione summorum virorum, ubi quisque habitare, ubi sedere, ubi disputare sit solitus, studioseque eorum etiam sepulcra contemplor

Quare istum ubi tu es natus plus amabo posthac locum

Marcus Gaudeo igitur me incunabula paene mea tibi ostendisse

[5] Atticus Equidem me cognosse admodum gaudeo

Sed illud tamen quale est quod paulo ante dixisti, hunc locum -- id enim ego te accipio dicere Arpinum -- germanam patriam esse vestram

Numquid duas habetis patrias, an est una illa patria communis

Nisi forte sapienti illi Catoni fuit patria non Roma sed Tusculum
Quella nostra stessa Atene ci allieta non tanto per le opere magnifiche e deliziose degli antichi quanto per il ricordo di grandissimi personaggi, e del luogo dove ciascuno era solito abitare, soffermarsi, discutere; con grande affetto io ne contemplo anche i sepolcri

Perciò d'ora in poi amerò ancora di più questo luogo dove sei nato

Marco: - Sono lieto di averti mostrato quella che è quasi la mia culla

[5] Attico: - Ed io sono molto contento di averne fatta la conoscenza

Ma come sta tuttavia il fatto, cui accennavi poco fa, cioè che questo luogo, Arpino, sarebbe la vostra patria naturale

Forse ne avete due, di patrie o è quella sola la patria comune

A meno che quel saggio Catone non abbia avuto come patria non Roma, ma Tuscolo
Marcus Ego mehercule et illi et omnibus municipibus duas esse censeo patrias, unam naturae, alteram civitatis: ut ille Cato, quom esset Tusculi natus, in populi Romani civitatem susceptus est, ita quom ortu Tusculanus esset, civitate Romanus, habuit alteram loci patriam, alteram iuris; ut vestri Attici, priusquam Theseus eos demigrare ex agris et in astu quod appellatur omnis conferre se iussit, et sui erant idem et Attici, sic nos et eam patriam dicimus ubi nati, et illam qua excepti sumus

Sed necesse est caritate eam praestare qua rei publicae nomen universae civitati est, pro qua mori et cui nos totos dedere et in qua nostra omnia ponere et quasi consecrare debemus

Dulcis autem non multo secus est ea quae genuit quam illa quae excepit
Marco: - Per Ercole, io penso che tanto egli come tutti i municipali abbiano due patrie, una quella naturale, l'altra quella giuridica; e come quel famoso Catone, pur essendo nato a Tuscolo, fu accolto nella cittadinanza romana, così, essendo Tuscolano di nascita, e Romano per diritto di cittadinanza, ebbe l'una come patria naturale, l'altra di diritto E per quanto riguarda i vostri Attici, prima che Teseo li costringesse a trasferirsi dai campi ed a riunirsi tutti in quella che si chiama città, essi erano nello stesso tempo ciascuno cittadino del proprio borgo ed anche Attici, così noi consideriamo patria sia quella in cui siamo nati, sia quella da cui fummo accolti

Ma è necessario dedicare il proprio amore soprattutto a quella, in virtù della quale il nome dello Stato è comune a tutti i cittadini, per la quale dobbiamo morire ed alla quale dedicarci interamente ed in cui riporre tutti i nostri interessi e quasi consacrarveli

Ma quella che ci ha generato è poi cara in misura non molto diversa da quella che ci ha accolto

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Itaque ego hanc meam esse patriam prorsus numquam negabo, dum illa sit maior, haec in ea contineatur duas habet civitatis, sed unam illas civitatem putat

[6] Atticus Recte igitur Magnus ille noster me audiente posuit in iudicio, quom pro Ampio tecum simul diceret, rem publicam nostram iustissimas huic municipio gratias agere posse, quod ex eo duo sui conservatores exstitissent, ut iam videar adduci, hanc quoque quae te procrearit esse patriam tuam

Sed ventum in insulam est

Hac vero nihil est amoenius

Etenim hoc quasi rostro finditur Fibrenus, et divisus aequaliter in duas partes latera haec adluit, rapideque dilapsus cito in unum confluit, et tantum conplectitur quod satis sit modicae palaestrae loci
Perciò io non negherò mai che questa è davvero la mia patria, pur essendo maggiore di essa quell'altra, e questa sia compresa in quell'altra [dalla quale ciascun municipale riceve il diritto] di una seconda cittadinanza e che considera l'unica patria

[6] Attico: - Aveva ragione allora quel nostro Magno, quando affermò in tribunale, e lo sentii anch'io con le mie orecchie, mentre insieme a te difendeva Ampio, che il nostro Stato poteva essere assai riconoscente a questo municipio, perché da esso erano venuti fuori i suoi due salvatori, tanto che già mi sembra di essere convinto che anche questa che ti ha generato sia una tua patria

Ma siamo arrivati all'isola

Davvero nulla vi potrebbe essere di più ameno

Infatti il Fibreno è tagliato quasi come da un rostro e, diviso in due rami eguali, lambisce questi fianchi e scorrendo velocemente in un attimo confluisce in un unico braccio, abbracciando tanto di quel terreno che sarebbe sufficiente per una palestra di medie dimensioni
Quo effecto, tamquam id habuerit operis ac muneris, ut hanc nobis efficeret sedem ad disputandum, statim praecipitat in Lirem, et quasi in familiam patriciam venerit, amittit nomen obscurius, Liremque multo gelidiorem facit

Nec enim ullum hoc frigidius flumen attigi, cum ad multa accesserim, ut vix pede temptare id possim, quod in Phaedro Platonis facit Socrates

[7] Marcus Est vero ita Sed tamen huic amoenitate, quem ex Quinto saepe audio, Thyamis Epirotes tuus ille nihil opinor concesserit

Quintus Est ita ut dicis Cave enim putes Attici nostri Amalthio platanisque illis quicquam esse praeclarius

Sed si videtur considamus hic in umbra, atque ad eam partem sermonis ex qua egressi sumus revertamur

Marcus Praeclare exigis Quinte -- at ego effugisse arbitrabar -- , et tibi horum nihil deberi potest
Subito dopo, come se questo fosse suo compito e dovere, di costruirci cioè un posto per la nostra discussione, si getta nel Liri, e, quasi come se fosse entrato in una famiglia patrizia, abbandona il suo nome piuttosto oscuro, e rende il Liri molto più fresco

Infatti io non ho mai toccato acqua più fresca di questa, pur avendone provate molte, al punto che a mala pena posso provarla col piede, come fa Socrate nel Fedro di Platone

[7] Marco: - E' proprio così; eppure quel tuo Thyami in Epiro, come spesso sento dire da Quinto, non avrebbe nulla da invidiare all'amenità di questo luogo

Quinto: - Sì; ma guardati bene dal credere che vi possa essere qualcosa di meglio della tenuta di Amalthio e di quei platani del nostro Attico

Ma, se così pare, sediamoci qui all'ombra, e ritorniamo a quella parte della discussione, da cui abbiamo divagato

Marco: - La tua richiesta è giusta, Quinto - ma io già pensavo d'essermela cavata -, e nessuno di questi tuoi desideri può restare insoddisfatto

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Quintus Ordire igitur, nam hunc tibi totum dicamus diem

Marcus 'A Iove Musarum primordia', sicut in Aratio carmine orsi sumus

Quintus Quorsum istuc

Marcus Quia nunc item ab eodem et a ceteris diis immortalibus sunt nobis agendi capienda primordia

[8] Quintus Optime vero frater, et fieri sic decet

Marcus Videamus igitur rursus, priusquam adgrediamur ad leges singulas, vim naturamque legis, ne quom referenda sint ad eam nobis omnia, labamur interdum errore sermonis, ignoremusque vim rationis eius qua iura nobis definienda sint

Quintus Sane quidem hercle, et est ista recta docendi via

Marcus Hanc igitur video sapientissimorum fuisse sententiam, legem neque hominum ingeniis excogitatam, nec scitum aliquod esse populorum, sed aeternum quiddam, quod universum mundum regeret imperandi prohibendique sapientia
Quinto: - Allora incomincia; infatti ti stiamo dedicando tutta l'intera giornata

Marco: - Da Giove il principio delle Muse, come ho esordito nel carme arateo

Quinto: - E perché questo

Marco: - Perché nello stesso modo adesso bisogna dare inizio alla trattazione partendo dal medesimo e dagli dèi immortali

Quinto: - Benissimo, fratello, e ben conviene che così si faccia

[8] Marco: - Dunque, prima di passare alle singole leggi, vediamo di nuovo l'efficacia e la natura della legge, ad evitare che, dovendo riportare tutto ad essa, si scivoli talvolta in qualche errore di linguaggio e si trascuri l'importanza di quel metodo in base al quale dobbiamo definire i princìpi giuridici

Quinto: - Bene per Ercole, ed è questa la via giusta dell'insegnamento

Marco: - Vedo che questa fu l'opinione degli uomini più sapienti, cioè che la legge non è stata elaborata dagli umani intelletti, né essa sia un qualche decreto dei popoli, ma qualcosa di etemo, che governa l'universo con la saggezza nel comandare e nell'obbedire
Ita principem legem illam et ultimam mentem esse dicebant omnia ratione aut cogentis aut vetantis dei

Ex quo illa lex, quam di humano generi dederunt, recte est laudata: est enim ratio mensque sapientis ad iubendum et ad deterrendum idonea

[9] Quintus Aliquotiens iam iste iocus a te tactus est

Sed antequam ad populares leges venias, vim istius caelestis legis explana si placet, ne aestus nos consuetudinis absorbeat et ad sermonis morem usitati trahat

Marcus A parvis enim Quinte didicimus, 'si in ius vocat' atque alia eius modi leges nominare

Sed vero intellegi sic oportet, et hoc et alia iussa ac vetita populorum vim habere ad recte facta vocandi et a peccatis avocandi, quae vis non modo senior est quam aetas populorum et civitatium, sed aequalis illius caelum atque terras tuentis et regentis dei
Dicevano esattamente così, che prima e suprema legge era la mente del dio che tutto razionalmente o impone o vieta

Con tali presupposti fu esaltata quella legge che gli dèi diedero al genere umano; essa infatti è la ragione e la mente del saggio, atta a comandare e a distogliere

[9] Quinto: - Già più volte hai toccato questo argomento

Ma prima di venire alle leggi relative ai popoli, spiegaci, per favore, la natura di questa legge celeste, affinchè l'onda dell'abitudine non ci travolga e ci spinga sulla strada di una comune conversazione

Marco: - Fin da fanciulli, Quinto, ci è stato insegnato a chiamare leggi il Se chiama in giudizio ed altre espressioni di tal genere

Ma così occorre intendere, cioè che questi ed altri analoghi precetti e divieti dei popoli hanno la forza di invitare alle azioni corrette e di allontanare dalle colpe, forza che non soltanto è più antica dell'età stessa dei popoli e degli Stati, ma è coeva di quel dio che protegge e governa il cielo e le terre

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[10] Neque enim esse mens divina sine ratione potest, nec ratio divina non hanc vim in rectis pravisque sanciendis habere, nec quia nusquam erat scriptum, ut contra omnis hostium copias in ponte unus adsisteret, a tergoque pontem interscindi iuberet, idcirco minus Coclitem illum rem gessisse tantam fortitudinis lege atque imperio putabimus, nec si regnante Tarquinio nulla erat Romae scripta lex de stupris, idcirco non contra illam legem sempiternam Sex Tarquinius vim Lucretiae Tricipitini filiae attulit

Erat enim ratio, profecta a rerum natura, et ad recte faciendum inpellens et a delicto avocans, quae non tum denique incipit lex esse quom scripta est, sed tum quom orta est

Orta autem est simul cum mente divina
[10] Non può infatti esserci un intelletto divino senza raziocinio, né ragione divina che non abbia il potere di stabilire per legge il giusto e l'ingiusto; e poiché in nessun luogo stava scritto che egli da solo dovesse resistere a tutte le forze dei nemici su di un ponte, e dare ordine che il ponte venisse tagliato alle sue spalle, tanto meno per questo crederemo che quel Coclite abbia compiuto una impresa tanto grande sotto l'imperativo d'una legge; e neppure che, se sotto il regno di Tarquinio non vi era in Roma alcuna legge scritta circa la violenza carnale, in contrasto con quella legge etema, Sesto Tarquinio non abbia recato violenza a Lucrezia, figlia di Tricipitino

Vi era infatti una norma, derivata dalla stessa natura, che spinge al ben fare e tiene lontani dal delitto, la quale non incomincia ad essere legge solo nel momento in cui viene scritta, ma fin da quando è nata

E precisamente essa ebbe origine insieme all'intelletto divino

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