Cicerone, De legibus: Libro 02, Par 01 -30, pag 2

Cicerone, De legibus: Libro 02, Par 01 -30

Latino: dall'autore Cicerone, opera De legibus parte Libro 02, Par 01 -30
Quam ob rem lex vera atque princeps, apta ad iubendum et ad vetandum, ratio est recta summi Iovis

[11] Quintus Adsentior frater, ut quod est rectum verumque, sit, neque cum litteris quibus scita scribuntur aut oriatur aut occidat

Marcus: Ergo ut illa divina mens summa lex est, item quom in homine est perfecta in mente sapientis

Quae sunt autem varie et ad tempus descriptae populis, favore magis quam re legum nomen tenent

Omnem enim legem, quae quidem recte lex appellari possit, esse laudabilem quidam talibus argumentis docent
Motivo per cui la prima e vera legge, efficace nel comandare e nel proibire, è la retta ragione del sommo Giove

[11] Quinto: - Sono d'accordo, fratello, che quanto è giusto e vero debba essere [anche etemo], e non debba sorgere o perire con i segni, con cui si scrivono i decreti

Marco: - Dunque, come quella mente divina è la legge suprema, allo stesso modo, quando è portata alla perfezione nell'uomo, [risiede] nella mente del saggio

Ma quelle che variamente e secondo l'occasione vengono sancite per i popoli, assumono il nome di leggi più per un privilegio che per la sostanza

Alcuni esperti insegnano infatti, con una serie di argomentazioni simili, che ogni legge che veramente si possa chiamare legge, è degna di lode
Constare profecto ad salutem civium civitatumque incolumitatem vitamque hominum quietam et beatam inventas esse leges, eosque qui primum eiusmodi scita sanxerint, populis ostendisse ea se scripturos atque laturos, quibus illi adscitis susceptisque honeste beateque viverent, quaeque ita conposita sanctaque essent, eas leges videlicet nominarent

Ex quo intellegi par est, eos qui perniciosa et iniusta populis iussa descripserint, quom contra fecerint quam polliciti professique sint, quidvis potius tulisse quam leges, ut perspicuum esse possit, in ipso nomine legis interpretando inesse vim et sententiam iusti et veri legendi

[12] Quaero igitur a te Quinte, sicut illi solent: quo si civitas careat ob eam ipsam causam quod eo careat pro nihilo habenda sit, id estne numerandum in bonis
E' noto a tutti che le leggi furono elaborate per la salvezza dei cittadini e l'incolumità degli Stati, nonché per una vita tranquilla e felice dell'umanità; e quelli che per primi stabilirono norme del genere, dimostrarono ai popoli che essi avrebbero scritto e proposto norme che, se riconosciute ed accettate, avrebbero loro permesso di vivere rettamente e felicemente Tutte le norme a tal fine composte e promulgate le chiamarono leggi

Dal che è facilmente comprensibile che, coloro i quali prescrissero ai loro popoli regolamenti dannosi ed ingiusti, e avendo fatto l'opposto di quanto avevano promesso e dichiarato, promulgarono qualunque cosa, ma non delle vere leggi, quindi è chiaro che nella stessa interpretazione del nome di legge è insita la sostanza ed il criterio della scelta del giusto e del vero

[12 ] Perciò, nello stesso modo in cui ancora si comportano di solito quegli studiosi, ti chiedo, Quinto, è forse da annoverarsi tra i beni quell'elemento che, se mancasse ad uno Stato, proprio per fatto che manchi dovrebbe essere considerato come per nulla esistente
Quintus Ac maxumis quidem

Marcus Lege autem carens civitas estne ob ipsum habenda nullo loco

Quintus Dici aliter non potest

Marcus Necesse est igitur legem haberi in rebus optimis

Quintus Prorsus adsentior

[13] Marcus Quid quod multa perniciose, multa pestifere sciscuntur in populis, quae non magis legis nomen adtingunt, quam si latrones aliqua consensu suo sanxerint

Nam neque medicorum praecepta dici vere possunt, si quae inscii inperitique pro salutaribus mortifera conscripserint, neque in populo lex, cuicuimodi fuerit illa, etiam si perniciosum aliquid populus acceperit
Quinto: - Sì, e tra i più importanti

Marco: -Ed uno Stato che sia privo di legge non è forse proprio per questo motivo da considerarsi come inesistente

Quinto: - Non si potrebbe dire altrimenti

Marco: - Dunque la legge deve essere considerata tra le cose migliori

Quinto: - Sono ancora pienamente d'accordo

[13] Marco: - E che dire del fatto che vengono sancite molte disposizioni dannose nei confronti dei popoli, molte persino esiziali, ma ciò nonostante queste non portano il nome di legge, peggio che se dei furfanti le avessero stabilite nelle loro bande

Infatti non si possono chiamare realmente prescrizioni dei medici nel caso che essi, per ignoranza ed imperizia, abbiano prescritto sostanze letali in luogo di salutari, e nemmeno una legge relativa a un popolo, qualunque essa sia, può essere detta legge, posto che il popolo ne abbia ricevuto qualche danno

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Cicerone, De legibus: Libro 03, Par 01 - 20

Latino: dall'autore Cicerone, opera De legibus parte Libro 03, Par 01 - 20

Ergo est lex iustorum iniustorumque distinctio, ad illam antiquissimam et rerum omnium principem expressa naturam, ad quam leges hominum diriguntur, quae supplicio inprobos adficiunt, defendunt ac tuentur bonos

Quintus Praeclare intellego, nec vero iam aliam esse ullam legem puto non modo habendam sed ne appellandam quidem

[14] Marcus Igitur tu Titias et Apuleias leges nullas putas

Quintus Ego vero ne Livias quidem

Marcus Et recte, quae praesertim uno versiculo senatus puncto temporis sublatae sint

Lex autem illa, cuius vim explicavi, neque tolli neque abrogari potest

Quintus Eas tu igitur leges rogabis videlicet quae numquam abrogentur

Marcus Certe, si modo acceptae a duobus vobis erunt
La legge pertanto è la distinzione del giusto e dell'ingiusto manifestata in conformità alla natura, che è il più antico e principale di tutti gli elementi a cui fanno riferimento le leggi umane, che colpiscono con pene i malvagi, e difendono e proteggono gli onesti

Quinto: - Capisco perfettamente e penso che ormai non solo non si dovrebbe considerare tale alcuna altra legge, ma nemmeno denominarla così

[14] Marco: - Allora tu non consideri affatto leggi le Tizie e le Apuleie

Quinto: - Io francamente nemmeno le Livie

Marco: - Ed hai ragione, dal momento che esse furono abrogate in un solo istante e con un'unico tratto di penna del senato

Invece quella legge, di cui ho spiegato l'efficacia, non può essere soppressa né abrogata

Quinto: - Tu allora presenterai delle leggi tali, che non possano mai essere abrogate

Marco: - Certamente, purché vengano accettate da voi due
Sed ut vir doctissimus fecit Plato atque idem gravissimus philosophorum omnium, qui princeps de re publica conscripsit idemque separatim de legibus , id mihi credo esse faciundum, ut priusquam ipsam legem recitem, de eius legis laude dicam

Quod idem et Zaleucum et Charondam fecisse video, quom quidem illi non studii et delectationis sed rei publicae causa leges civitatibus suis scripserint

Quos imitatus Plato videlicet hoc quoque legis putavit esse, persuadere aliquid, non omnia vi ac minis cogere

[15] Quintus Quid quod Zaleucum istum negat ullum fuisse Timaeus

Marcus At Theophrastus, auctor haud deterior mea quidem sententia -- meliorem multi nominant -- , commemorant vero ipsius cives, nostri clientes, Locri
Ma come ha fatto il sapientissimo Platone, peraltro il più autorevole di tutti i filosofi, il quale per primo scrisse su lo Stato, e poi, a parte, sulle sue Leggi, credo che anch' io dovrò fare la stessa cosa, cioè, prima enunciare la legge, quindi farne le lodi

E questo, a quel che vedo, è quanto hanno fatto anche Zaleuco e Caronda, pur avendo essi scritto le loro leggi per le città non già per esercizio scolastico o per passatempo, ma per il bene del loro Stato

E dietro il loro esempio, Platone certamente ritenne che anche questa fosse una caratteristica specifica della legge, di convincere di qualche cosa, e non imporre tutto costringendo con le minacce e con la forza

[15] Quinto: - Ma che importanza ha questo, dal momento che Timeo afferma che codesto Zaleuco non è mai esistito

Marco: - Ma [lo afferma] invece Teofrasto, autore per nulla inferiore a mio parere - molti anzi lo dicono migliore- , e poi lo ricordano i suoi stessi concittadini, i miei clienti locresi

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Latino: dall'autore Cicerone, opera De legibus parte Libro 01, Par 31 - 50

Sed sive fuit sive non fuit, nihil ad rem: loquimur quod traditum est

Sit igitur hoc iam a principio persuasum civibus, dominos esse omnium rerum ac moderatores deos, eaque quae gerantur eorum geri iudicio ac numine, eosdemque optime de genere hominum mereri, et qualis quisque sit, quid agat, quid in se admittat, qua mente, qua pietate colat religiones, intueri, piorumque et impiorum habere rationem conprehendantur, ratione nulla

[16] His enim rebus inbutae mentes haud sane abhorrebunt ab utili aut a vera sententia

Quid est enim verius quam neminem esse oportere tam stulte adrogantem, ut in se rationem et mentem putet inesse, in caelo mundoque non putet

Aut ut ea quae vix summa ingenii ratione moveri putet
Ma che egli sia esistito oppure no, non importa per il nostro tema: noi riferiamo ciò che è stato tramandato

Sia dunque chiaro ai cittadini questo fin dall'inizio, che gli dèi sono padroni e reggitori di tutto l'universo, e che tutto quello che viene compiuto, è compiuto con il loro giudizio e la loro volontà, e che essi medesimi sono i maggiori benefattori del genere umano Essi scorgono quale ciascun uomo sia, che cosa faccia, che cosa abbia nel suo intimo, con quale animo e quale pietà coltivi la religione, e inoltre essi tengono conto dei pii e degli empi

[16] e se gli animi assorbiranno questi principii, è certo che non si allontaneranno mai da idee valide e veraci

Cosa vi è infatti di più vero del fatto che nessuno debba essere superbo in una forma tanto sciocca, da credere di avere dentro di sé intelletto e ragione, e negarlo nel cielo e nel mondo

O da pensare che [nessuna] mente governi il movimento di quegli oggetti che a mala pena [possono essere conosciuti da una mente] sia pure di grandissima capacità
Quem vero astrorum ordines, quem dierum noctiumque vicissitudines, quem mensum temperatio, quemque ea quae gignuntur nobis ad fruendum, non gratum esse cogunt, hunc hominem omnino numerari qui decet

Quomque omnia quae rationem habent praestent iis quae sint rationis expertia, nefasque sit dicere ullam rem praestare naturae omnium rerum, rationem inesse in ea confitendum est

Utilis esse autem has opiniones quis neget, quom intellegat quam multa firmentur iure iurando, quantae saluti sint foederum religiones, quam multos divini supplicii metus a scelere revocarit, quamque sancta sit societas civium inter ipsos, diis inmortalibus interpositis tum iudicibus testibus

Habes legis prooemium; sic enim haec appellat Plato
Perché mai conviene includere tra gli uomini uno che non si senta costretto alla gratitudine dall'ordine degli astri, dall'altemarsi dei giorni e delle notti, dal variare della temperatura e da tutto ciò che nasce per il nostro vantaggio

In fondo, poiché tutto ciò che è fornito di ragione è superiore a ciò che è privo della ragione, e non è lecito affermare che una singola individualità sia superiore all'universale, si dovrebbe aver fiducia che esista in questa universale natura l'esistenza di una ragione

E chi negherebbe che queste idee siano valide, se ci rendiamo conto di quanti patti si rafforzano con un giuramento, quanto vantaggio apportino gli accordi solenni, quanti siano quelli allontanatisi dalla colpa per il timore della punizione divina, e quanto sia sacra l'unione dei cittadini, quando fra di loro si inseriscono gli stessi dèi immortali, talora come giudici, talora come testimoni

Ecco qui il fondamento della legge; così infatti lo definisce Platone

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[17] Quintus Habeo vero frater, et in hoc admodum delector quod in aliis rebus aliisque sententiis versaris atque ille

Nihil enim tam dissimile quam vel ea quae ante dixisti, vel hoc ipsum de deis exordium Unum illud mihi videris imitari, orationis genus

Marcus Velle fortasse: quis enim id potest aut umquam poterit imitari

Nam sententias interpretari perfacile est, quod quidem ego facerem, nisi plane esse vellem meus

Quid enim negotii est eadem prope verbis isdem conversa dicere

Quintus Prorsus adsentior Verum ut modo tute dixisti, te esse malo tuum

Sed iam exprome si placet istas leges de religione

[18] Marcus Expromam equidem ut potero, et quoniam et locus et sermo familiaris est, legum leges voce proponam

Quintus Quidnam id est
[17] Quinto: - Giusto, fratello, e mi rallegro moltissimo che tu segua argomenti e concetti diversi dai suoi

Non vi è nulla infatti di tanto diverso da quanto hai detto o dalla stessa introduzione sulle divinità; questo soltanto mi sembra che tu voglia imitare, cioè il genere del discorso

Marco: - Forse lo vorrei; ma chi potrebbe, o potrà mai imitarlo

Infatti è facilissimo tradurre i concetti; cosa che vorrei fare, se non preferissi essere del tutto originale

Quale difficoltà infatti vi sarebbe ad esprimere le stesse cose, tradotte pressoché con le stesse parole

Quinto: - Sono completamente d'accordo; però, come appunto tu hai affermato, preferisco che tu sia te stesso

Ma ormai, se ti fa piacere, esponi pure queste leggi sulla religione

[18] Marco: - Le esporrò certo, secondo le mie capacità, e dal momento che il luogo e la conversazione mi sono familiari, proporrò le leggi con la forma tipica delle leggi

Quinto: - Che significa questo
Marcus Sunt certa legum verba Quinte, neque ita prisca ut in veteribus XII sacratisque legibus, et tamen, quo plus auctoritatis habeant, paulo antiquiora quam hic sermo est

Eum morem igitur cum brevitate si potuero consequar

Leges autem a me edentur non perfectae -- nam esset infinitum -- , sed ipsae summae rerum atque sententiae

Quintus Ita vero necesse est Quare audiamus

[19] Marcus 'Ad divos adeunto caste, pietatem adhibento, opes amovento

Qui secus faxit, deus ipse vindex erit

' 'Separatim nemo habessit deos neve novos neve advenas nisi publice adscitos; privatim colunto quos rite a patribus
Marco: - Vi sono determinate espressioni legali, Quinto, non così antiquate come nelle vecchie XII tavole e nelle leggi sacrate, e pur tuttavia un po' più arcaicizzanti di questa nostra conversazione, tali da assumere una maggiore autorità

E, se mi sarà possibile, cercherò di accompagnare questo stile con la brevità

Infatti non riporterò delle leggi complete - cosa che andrebbe per le lunghe -, ma solo il sommario ed il contenuto dei vari paragrafi

Quinto: - E' necessario procedere così; e allora ascoltiamo

VIIl [19] Marco: - Si accostino castamente agli dèi, facciano uso della pietà, allontanino lo sfarzo

Se qualcuno agisse in maniera diversa, dio stesso lo punirà

- Nessuno abbia dèi particolari, né nuovi né forestieri, se non pubblicamente riconosciuti; in privato coltivino i [culti che ricevettero ] secondo il rito dei loro padri

- Vi siano templi [nelle città]; vi siano boschi sacri nelle campagne e sedi dei Lari

- Conservino i riti della famiglia e dei padri

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' 'Divos et eos qui caelestes semper habiti sunt colunto et ollos quos endo caelo merita locaverint, Herculem, Liberum, Aesculapium, Castorem, Pollucem, Quirinum, ast olla propter quae datur homini ascensus in caelum, Mentem, Virtutem, Pietatem, Fidem, earumque laudum delubra sunto, nec ulla vitiorum sacra sollemnia obeunto

' 'Feriis iurgia movento, easque in famulis operibus patratis habento, idque ut ita cadat in annuis anfractibus descriptum esto

' 'Certasque fruges certasque bacas sacerdotes publice libanto certis sacrificiis ac diebus

[20] itemque alios ad dies ubertatem lactis feturaeque servanto, idque ne omitti possit, ad eam rem rationem cursus annuos sacerdotes finiunto, quaeque quoique divo decorae grataeque sint hostiae, providento

' 'Divisque aliis sacerdotes, omnibus pontifices, singulis flamines sunto
- Onorino gli dèi, sia quelli da sempre ritenuti celesti, sia quelli che i loro meriti abbiano posti in cielo, Ercole, Libero, Esculapio, Castoro, Polluce, Quirino, cosi quelle Virtù, per cui è concesso all'uomo l'ascesa al cielo, Mente, Valore, Pietà filiale, Fede, e di queste virtù vi siano templi, nemmeno un'ombra dei vizi- Celebrino solenni sacrifici

- Dalle feste tengano lontani i litigi, e le osservino per i servi, una volta terminate i lavori, e sia stabilito in modo che ciò cada negli intervalli dell'anno

Determinati frutti e determinate messi, i sacerdoti le offrano pubblicamente Questo sia compiuto in sacrifici e giorni fissati

[20] e parimenti riservino ad altri giorni una quantità di latte e di animali appena nati; perché ciò non possa essere trascurato, i sacerdoti determinino norma e annue ricorrenze; e provvedano quelle vittime che siano a ogni dio belle e gradite

- Vi sia per ogni dio un sacerdote, per tutti il pontefice, ai singoli i flamini

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