Praeterea habere in Africa trecenties sestertium fundis nominibusque depositum; nam familiam quidem tam magnam per agros Numidiae esse sparsam, ut possit vel Carthaginem capere Secundum hanc formulam imperamus Eumolpo, ut plurimum tussiat, ut sit modo solutioris stomachi cibosque omnes palam damnet; loquatur aurum et argentum fundosque mendaces et perpetuam terrarum sterilitatem; sedeat praeterea quotidie ad rationes tabulasque testamenti omnibus renovet Et ne quid scaenae deesset, quotiescunque aliquem nostrum vocare temptasset, alium pro alio vocaret, ut facile appareret dominum etiam eorum meminisse, qui praesentes non essent His ita ordinatis, 'quod bene feliciterque eveniret ' precati deos viam ingredimur |
In Africa aveva però ancora un capitale di trenta milioni in terreni e in crediti, e un numero così elevato di schiavi, sparsi un po' in giro per le campagne della Numidia, che con loro avrebbe potuto conquistare perfino Cartagine In base a queste premesse di copione, suggeriamo a Eumolpo di tossire spesso, di far finta di avere la gastrite e proprio per questo di rifiutare, davanti agli altri, qualunque tipo di cibo; di parlare in continuazione di oro e d'argento, dei terreni che non rendono e della costante sterilità dei suoi sterminati possedimenti E poi di mostrarsi ogni giorno alle prese con conti vari e di cambiare testamento una volta al mese; Infine, perché non mancasse proprio nulla a quella sceneggiata, di confondere i vostri nomi ogni volta che ci chiamava, per dare così l'impressione di ricordarsi anche dei servi che non erano lì insieme a lui Dopo avere rifinito il nostro piano, preghiamo gli dèi che ce la mandino buona e poi ci rimettiamo per strada |
Sed neque Giton sub insolito fasce durabat, et mercennarius Corax, detractator ministerii, posita frequentius sarcina male dicebat properantibus, affirmabatque se aut proiecturum sarcinas aut cum onere fugiturum 'Quid vos, inquit, iumentum me putatis esse aut lapidariam navem Hominis operas locavi, non caballi Nec minus liber sum quam vos, etiam si pauperem pater me reliquit' Nec contentus maledictis tollebat subinde altius pedem, et strepitu obsceno simul atque odore viam implebat Ridebat contumaciam Giton et singulos crepitus eius pari clamore prosequebatur [CXVIII] EVMOLPVS : 'Multos, inquit Eumolpus, o iuvenes, carmen decepit Nam ut quisque versum pedibus instruxit sensumque teneriorem verborum ambitu intexuit, putavit se continuo in Heliconem venisse |
Ma Gitone non ce la faceva a portare quel carico cui non era abituato, e il servo Corace, imprecando contro il suo mestiere, a ogni passo appoggiava a terra il bagaglio, prendendosela con la nostra fretta e minacciandoci che avrebbe abbandonato lì ogni cosa, o che se la sarebbe svignata con tutta la nostra roba Ma cosa credete che sia sbottò poi, un mulo o una nave da carico Mi sono messo a disposizione per fare il lavoro di un uomo, non di un cavallo E non sono meno libero di voi, anche se mio padre mi ha lasciato povero Ma dare in escandescenze non gli bastava mica: ogni tanto alzava una gamba e riempiva la strada di rumori vergognosi corredati da adeguati profumini Queste bizze polemiche di Corace destavano il riso di Gitone, che a sua volta ne accompagnava ogni crepitio con un verso della bocca di uguale efficacia 118 EUMOLPO: Cari ragazzi miei, non sapete quanti la poesia ne ha illusi Infatti basta che uno metta insieme un verso e rabberci qualche idea in una frase elegante, che subito si crede d'essere arrivato in cima all'Elicona |
Sic forensibus ministeriis exercitati frequenter ad carminis tranquillitatem tanquam ad portum feliciorem refugerunt, credentes facilius poema extrui posse, quam controversiam sententiolis vibrantibus pictam Ceterum neque generosior spiritus vanitatem amat, neque concipere aut edere partum mens potest nisi intrenti flumine litterarum inundata Refugiendum est ab omni verborum, ut ita dicam, vilitate et sumendae voces a plebe summotae, ut fiat odi profanum vulgus et arceo Praeterea curandum est, ne sententiae emineant extra corpus orationis expressae, sed intexto vestibus colore niteant Homerus testis et lyrici, Romanusque Vergilius et Horatii curiosa felicitas Ceteri enim aut non viderunt viam qua iretur ad carmen, aut visam timuerunt calcare |
Ed è per questo che moltissimi avvocati, sfiniti dal lavoro in tribunale, si rifugiano nella serenità della poesia come se fosse un porto più tranquillo, convinti che sia più facile mettere insieme dei versi che un'arringa traboccante di pensierini vigorosi Ma uno spirito eletto disprezza la superficialità, e la mente non è in grado di concepire o di creare nulla di buono, se non è per così dire inondata dal grande fiume della cultura obbligatorio evitare le trivialità del lessico, e usare parole sconosciute alla massa, in modo da mettere in pratica il famoso principio'odio il volgo profano e ne giro alla larga' Bisogna poi evitare che i concetti esulino troppo dal contesto generale: devono invece venir inseriti armonicamente, in modo da risplendere come i colori di un tessuto Prova ne siano Omero e i lirici, o il romano Virgilio e Orazio che è così felice nella descrizione dei particolari Quanto agli altri, o non sono riusciti a imboccare la strada giusta che porta alla poesia o, se l'hanno imboccata, non hanno avuto il coraggio di percorrerla fino in fondo |
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Ecce belli civilis ingens opus quisquis attigerit nisi plenus litteris, sub onere labetur Non enim res gestae versibus comprehendendae sunt, quod longe melius historici faciunt, sed per ambages deorumque ministeria et fabulosum sententiarum tormentum praecipitandus est liber spiritus, ut potius furentis animi vaticinatio appareat quam religiosae orationis sub testibus fides Tanquam si placet hic impetus, etiam si nondum recepit ultimam manum [CXIX] 'Orbem iam totum victor Romanus habebat, qua mare, qua terrae, qua sidus currit utrumque; nec satiatus erat Gravidis freta pulsa carinis iam peragebantur; si quis sinus abditus ultra, si qua foret tellus, quae fuluum mitteret aurum, hostis erat, fatisque in tristia bella paratis quaerebantur opes |
Per esempio, prendete un po' un soggetto stupendo come la guerra civile: se qualcuno volesse affrontarlo senza però essere sorretto da un'adeguata mole di studi, rimarrebbe schiacciato dal peso Il problema infatti non è tanto quello di trattare in versi una successione di eventi (campo questo in cui gli storici riescono di gran lunga meglio), quanto piuttosto quello di avventurarsi con la fantasia attraverso peripezie e interventi di divinità, vicende reali e inventate, in modo che il risultato finale sembri più il fervore di una mente davvero ispirata che non il racconto scrupoloso basato su testimonianze certe Tipo questa mia improvvisazione, se vi va di sentirla, anche se non ha ancora ricevuto l'ultima mano 119 I Romani regnavano signori vittoriosi del mondo,per terra e per mare, là dove corrono entrambi i soli,eppure non erano sazi E ancora solcavano i flutti battuti da grosse carene; Se un golfo s'apriva nascosto, o qualche terra che l'oro brillante esportasse, lì c'era il nemico e, pronti alla triste guerra i destini, ne predavano i beni |
Non vulgo nota placebant gaudia, non usu plebeio trita voluptas Aes Ephyreiacum laudabat miles in unda;quaesitus tellure nitor certaverat ostro;Hinc Numidae accusant, illinc nova vellera Seres atque Arabum populus sua despoliaverat arva Ecce aliae clades et laesae vulnera pacis Quaeritur in silvis auro fera, et ultimus HammonAfrorum excutitur, ne desit belua dentead mortes pretiosa; fame premit advena classes, tigris et aurata gradiens vectatur in aula, ut bibat humanum populo plaudente cruorem Heu, pudet effari perituraque prodere fata,Persarum ritu male pubescentibus annissurripuere viros, exsectaque viscera ferroin venerem fregere, atque ut fuga mobilis aevicircumscripta mora properantes differat annos,quaerit se natura nec invenit |
Non piacevano più i piaceri di un tempo, non le gioie travolte dall'uso comune Lodavano il bronzo corinzio i soldati, si cercavanel cuor della terra una luce più viva dell'ostro,tessuti mai visti ne traevano Numidi e Seri,e i popoli d'Arabia avevano spogliato i propri campi Ecco nuove stragi e ferite inferte alla pace Si acquistano con l'oro le belve nei boschi, si scovanoai limiti dell'africo Ammone, che non manchi la belvadai denti preziosi per la morte; una fame straniera colpisce le navi, e pace non trova la tigre tradotta con gabbia dorata, a bere il sangue dell'uomo dinanzi a una folla festante Ahi, che vergogna svelare l'amaro destino che incalza; Come fanno i Persiani, rapiscono i giovani nel fiore degli anni, e il membro gli troncano col ferro, perché ignorino il sesso, e ritardino il corso del tempo che vola e la fuga degli anni, mentre cerca se stessa natura e non sa ritrovarsi |
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Omnibus ergo scorta placent fractique enerui corpore gressus et laxi crines et tot nova nomina vestis, quaeque virum quaerunt Ecce Afris eruta terris citrea mensa greges servorum ostrumque renidens, ponitur ac maculis imitatur vilius aurum quae sensum trahat Hoc sterile ac male nobile lignum turba sepulta mero circum venit, omniaque orbis praemia correptis miles vagus esurit armis Ingeniosa gula est Siculo scarus aequore mersusad mensam vivus perducitur, atque Lucriniseruta litoribus vendunt conchylia cenas,ut renovent per damna famem Iam Phasidos unda orbata est avibus, mutoque in litore tantum solae desertis adspirant frondibus aurae Nec minor in Campo furor est, emptique Quirites ad praedam strepitumque lucri suffragia vertunt Venalis populus, venalis curia patrum:est favor in pretio |
Son le checche che piacciono a tutti coi loro flaccidi corpi,i capelli al vento, le mille novità della modae tutto ciò che eccita il maschio Sradicata dall'Africa ecco una tavola in cedro che riverbera stuoli di schiavi e di porpore, screziata di macchie simili all'oro, che in bellezza lo vincono e attirano lo sguardo Sepolta nel vino una folla circonda questa tavola sterilee a torto pregiata, e insegue errabondo il soldatola preda con in pugno le armi per le strade del mondo Ingegnosa è la gola Lo scaro che nuota nel mar di Sicilialo portano vivo alla mensa, e l'ostrica colta sui lidi lucrinila vendono per cene sontuose, come stimolo subdoloalla fame Già le acque del Fasi son deserte d'uccelli, e nel vuoto fogliame resta solo il sospiro dell'aria Stessa folle demenza nel Campo e si svendono i Quiriti,e rivolgono i voti al sonante denaro e al profitto Una merce è la massa, una merce è la Curia dei padri,e il favore è in vetrina col prezzo |
Senibus quoque libera virtus exciderat, sparsisque opibus conversa potestas ipsaque maiestas auro corrupta iacebat Pellitur a populo victus Cato; tristior ille est,qui vicit, fascesque pudet rapuisse Catoni Namque -- hoc dedecoris populo morumque ruina -- non homo pulsus erat, sed in uno victa potestas Romanumque decus Quare tam perdita Roma ipsa sui merces erat et sine vindice praeda Praeterea gemino deprensam gurgite plebemfaenoris inluvies ususque exederat aeris Nulla est certa domus, nullum sine pignore corpus, sed veluti tabes tacitis concepta medullis intra membra furens curis latrantibus errat Arma placent miseris, detritaque commoda luxuvulneribus reparantur Inops audacia tuta est Hoc mersam caeno Romam somnoque iacentem quae poterant artes sana ratione movere, ni furor et bellum ferroque excita libido |
Anche il libero cuore dei senatori è venuto meno, e dispersi gli averi il potere ad altri è passato; Giace guasta dall'oro anche la somma maestà sconfitto e scacciato dal popolo Catone,ma più triste chi vinse, che a Catone i fasci ha strappato E infatti - questa è l'onta del popolo e il crollodi tutti i principi - non fu l'uomo soltanto sconfitto,ma con lui si piegò in un tratto la potenza e l'onoredi Roma A tal punto era Roma corrotta che vendeva se stessa e chiunque poteva predarla Travolta nel mentre da duplice gorgo, la plebecedeva al diluvio d'usura e al debito fatto sistema Non c'è casa sicura, non c'è corpo che pegno non abbia,come fosse una peste che nata nel cuore dei corpifuriosa dilani le membra tra spasimi atroci Le armi piacciono ai miseri, perché i beni distrutti dal lusso,nel sangue ritrovano vita Osa il povero che nulla rischia Immersa in un fango così, prostrata in pieno letargo,che rimedi potevano scuotere Roma e sanarla,se non della guerra il furore e le brame eccitate dal ferro |
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[CXX] 'Tres tulerat Fortuna duces, quos obruit omnes armorum strue diversa feralis Enyo Crassum Parthus habet, Libyco iacet aequore Magnus, Iulius ingratam perfudit sanguine Romam, et quasi non posset tot tellus ferre sepulcra, divisit cineres Hos gloria reddit honores Est locus exciso penitus demersus hiatuParthenopen inter magnaeque Dicarchidos arva, Cocyti perfusus aqua; nam spiritus, extraqui furit effusus, funesto spargitur aestu Non haec autumno tellus viret aut alit herbascaespite laetus ager, non verno persona cantumollia discordi strepitu virgulta locuntur,sed chaos et nigro squalentia pumice saxagaudent ferali circum tumulata cupressu |
120 La sorte tre capi fornì, che tutti in regioni diversela mortifera Enio ha travolto in un cumulo d'armi Crasso è preda dei Parti, giace il grande nel mare di Libia,Giulio Roma l'ingrata del suo sangue ha cosparso,e, quasi la terra non reggesse simili tombe,ne disperse le ceneri Ecco gli onori che dà la gloria Giace immerso nel mezzo di un'ampia voragine un luogotra Partenope e i campi dell'alta Dicarchi,che lo bagna il Cocito: e l'efflato che fuori ne spiratutto intorno si spande infuriando come vampa funesta Non è questa una terra che verdeggi nel tempo d'autunno,non ne allietano il suolo le erbe, né dai molli virgultia primavera si leva il suono di voci tra loro discordi,ma caos informe soltanto e rocce di pomice neragodono dei cipressi che spuntano intorno funerei |
Has inter sedes Ditis pater extulit orabustorum flammis et cana sparsa favilla,ac tali volucrem Fortunam voce lacessit:'Rerum humanarum divinarumque potestas,Fors, cui nulla placet nimium secura potestas,quae nova semper amas et mox possessa relinquis, ecquid Romano sentis te pondere victam, nec posse ulterius perituram extollere molem Ipsa suas vires odit Romana iuventuset quas struxit opes, male sustinet Aspice late luxuriam spoliorum et censum in damna furentem Aedificant auro sedesque ad sidera mittunt,expelluntur aquae saxis, mare nascitur arvis,et permutata rerum statione rebellant En etiam mea regna petunt Perfossa dehiscit molibus insanis tellus, iam montibus haustis antra gemunt, et dum vanos lapis invenit usus, inferni manes caelum sperare fatentur Quare age, Fors, muta pacatum in proelia vultum, Romanosque cie, ac nostris da funera regnis |
In quel luogo il padre Plutone solleva la testa,cosparsa di fiamme di roghi e di cenere bianca,e con tali parole eccita la Fortuna dal rapido volo:'Tu che reggi ogni cosa, umana o divina che sia,o Sorte, cui mai piacque troppo certa potenza,che sempre ami il nuovo e appena lo hai lo rigetti,non ti senti per caso schiacciata dal peso di Roma,né più puoi sollevare la mole già avviata allo sfascio Le sue stesse forze dispregia la gioventù di Roma,e quanto ha creato sostiene a fatica Guarda ovunque che sfarzo di prede e sostanze smaniose d'estinguersi Costruiscono case dorate che toccano il cielo,con le rocce ricacciano l'acqua, fanno nascere il mare nei campi, e ribelli sconvolgono l'ordine dato alle cose Ecco assaltano pure i miei regni Solcata da macchine folli, la terra si squarcia, nei monti svuotati gemono gli antri, e mentre la pietra s'adatta a folli usi, i Mani infernali confessano di ambire al cielo Per questo trasforma, o Sorte, in guerra il tuo volto pacato,e risveglia i Romani, fornisci di anime il mio regno |
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Iam pridem nullo perfundimus ora cruore,nec mea Tisiphone sitientis perluit artus,ex quo Sullanus bibit ensis et horrida tellusextulit in lucem nutritas sanguine fruges' [CXXI] 'Haec ubi dicta dedit, dextrae coniungere dextramconatus, rupto tellurem soluit hiatu Tunc Fortuna levi defudit pectore voces:'O genitor, cui Cocyti penetralia parent,si modo vera mihi fas est impune profari,vota tibi cedent; nec enim minor ira rebellatpectore in hoc leviorque exurit flamma medullas Omnia, quae tribui Romanis arcibus, odimuneribusque meis irascor Destruet istas idem, qui posuit, moles deus Et mihi cordi quippe cremare viros et sanguine pascere luxum Cerno equidem gemina iam stratos morte Philippos Thessaliaeque rogos et funera gentis Hiberae |
Da troppo non bagno le mie labbra nel sangue,né l'amata Tisifone v'intinge le membra assetate,dal giorno che il brando di Silla ne bevve a fiumi e diedela terra alla luce orride messi nutrite di sangue' 121 Disse così, e volendo alla destra unire la destra,col gesto squarciò la terra aprendovi un baratro enorme Allora la sorte dal cuore volubile parlò queste parole:'O padre, cui ottemperano gli antri segreti del Cocito,se impunemente m'è dato svelare i destini veraci,i tuoi voti saranno esauditi; nel petto mi si agitaun'ira non minore, né fiamma più lieve le viscere m'arde Tutto ciò che io ho dato alla rocca di Roma lo odio,e la rabbia mi rode a quei doni Ma il dio che creò tale mole, la schianterà lui stesso Perché anch'io sento in cuore la brama di cremare le salme e saziarmi di un'orgia di sangue Già io vedo Filippi ricoperta due volte di morte,e le pire in Tessaglia e i lutti del popolo ispano |