Orazio, Satire: Libro 02, Satira 02

Orazio, Satire: Libro 02, Satira 02

Latino: dall'autore Orazio, opera Satire parte Libro 02, Satira 02
Quae virtus et quanta, boni, sit vivere parvo nec meus hic sermo est, sed quae praecepit Ofellus rusticus, abnormis sapiens crassaque Minerva, discite non inter lances mensasque nitentis, cum stupet insanis acies fulgoribus et cum   [5] adclinis falsis animus meliora recusat, verum hic inpransi mecum disquirite

cur hoc

dicam, si potero

male verum examinat omnis corruptus iudex

leporem sectatus equove lassus ab indomito vel, si Romana fatigat   [10] militia adsuetum graecari seu pila velox molliter austerum studio fallente laborem, seu te discus agit, pete cedentem aera disco: cum labor extuderit fastidia, siccus, inanis sperne cibum vilem; nisi Hymettia mella Falerno [15] ne biberis diluta
Quale e quanta virtù, amici miei, sia vivere di poco (e non è predica mia questa, ma precetti di Ofello, un contadino saggio, senza una scuola e di scarsa cultura), questo imparate, ma non tra piatti e mense sfavillanti, quando l'occhio è abbagliato da splendori insensati [5] e l'animo, incline a false attrattive, rifiuta ciò che conta: dunque digiuni, ragioniamone qui fra noi

Perché questo

Cercherò di spiegarmi

Nessun giudice, se ha la testa altrove, discerne bene il vero

Dopo aver cacciato la lepre, esserti affaticato a domare un puledro; se gli esercizi marziali dei romani ti sfiniscono, [10] abituato come sei a vivere da greco; se con una passione che addolcisce l'asprezza dello sforzo, ti attira lo scambio veloce della palla o il disco, che lanci nello spazio a fendere l'aria; quando la stanchezza avrà smussato le tue fobie, assetato e affamato, disprezza, se ne sei capace, un cibo a buon mercato, rifiutati di bere un vino che non sia Falerno con miele dell'Imetto [15] diluito dentro
foris est promus, et atrum defendens piscis hiemat mare: cum sale panis latrantem stomachum bene leniet

unde putas aut qui partum

non in caro nidore voluptas summa, sed in te ipso est tu pulmentaria quaere  [20] sudando: pinguem vitiis albumque neque ostrea nec scarus aut poterit peregrina iuvare lagois

vix tamen eripiam, posito pavone velis quin hoc potius quam gallina tergere palatum, corruptus vanis rerum, quia veneat auro  [25] rara avis et picta pandat spectacula cauda: tamquam ad rem attineat quidquam

num vesceris ista, quam laudas, pluma

cocto num adest honor idem

carne tamen quamvis distat nil, hac magis illam inparibus formis deceptum te petere esto:       [30] unde datum sentis, lupus hic Tiberinus an alto captus hiet

pontisne inter iactatus an amnis ostia sub Tusci
Il dispensiere è fuori, un cupo mare in burrasca protegge i pesci ad alleviare i morsi della fame bastano pane e sale

Da cosa credi che dipenda

Non è nel profumo di cibi impareggiabili che risiede l'essenza del piacere, ma in te stesso Procurati il companatico [20] sudando: chi è flaccido e sbiancato dai vizi non troverà ostrica, scaro o francolino di passo che riesca più a gustare

Farei però fatica, se a tavola ti fosse imbandito un pavone, a impedirti, per solleticare il palato, di preferirlo a una gallina, sedotto come sei dalle apparenze, perché è un uccello raro che si vende a peso d'oro[25] e spiega una coda variopinta che è uno spettacolo

Come se ciò avesse a che fare con la sostanza Queste piume che esalti te le mangi forse

E quando è cotto mantiene la sua magnificenza

Anche se come carne non c'è una gran differenza, ti concedo che tu lo preferisca, ingannato dal suo diverso aspetto:[30] ma da cosa capisci se quel branzino a bocca aperta è stato pescato nel Tevere o in alto mare

se guizzava fra i ponti o alla foce del fiume etrusco
laudas, insane, trilibrem mullum, in singula quem minuas pulmenta necesse est

ducit te species, video: quo pertinet ergo   [35] proceros odisse lupos

quia scilicet illis maiorem natura modum dedit, his breve pondus: ieiunus raro stomachus volgaria temnit

'porrectum magno magnum spectare catino vellem' ait Harpyiis gula digna rapacibus

at vos   [40] praesentes, Austri, coquite horum obsonia

Quamquam putet aper rhombusque recens, mala copia quando aegrum sollicitat stomachum, cum rapula plenus atque acidas mavolt inulas

necdum omnis abacta pauperies epulis regum: nam vilibus ovis    [45] nigrisque est oleis hodie locus

haud ita pridem Galloni praeconis erat acipensere mensa infamis

quid tunc rhombos minus aequor alebat
Come uno sciocco decanti una triglia di tre libbre, che poi devi dividere in tante porzioni

Ti attrae l'apparenza, vedo: ma allora che senso ha [35] disprezzare i branzini che sono lunghi

Evidentemente perché a questi la natura ha dato dimensioni maggiori e alle triglie peso leggero: uno stomaco che non è avvezzo ai digiuni, spregia i cibi comuni

'Come vorrei ammirarne una enorme lunga distesa in un enorme piatto', dice la gola, una gola degna delle rapaci Arpie

[40] E voi, venti di scirocco, soffiate, soffiate a imputridire simili ghiottonerie

Per quanto anche il cinghiale e il rombo fresco sembra che puzzino, quando una pienezza fastidiosa fa soffrire lo stomaco in subbuglio e lui strapieno preferisce ravanelli ed erba sotto aceto

Non è che la cucina povera sia del tutto bandita dai banchetti: ancora oggi su tavole regali trovano posto uova [45] e olive nere, cibi di poco costo

Non è passato molto tempo in fondo che uno storione sulla mensa di un banditore, come Gallonio fosse oggetto di scandalo

Forse che allora il mare nutriva meno rombi

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Orazio, Satire: Libro 01, Satira 1

Latino: dall'autore Orazio, opera Satire parte Libro 01, Satira 1

tutus erat rhombus tutoque ciconia nido, donec vos auctor docuit praetorius

ergo      [50] siquis nunc mergos suavis edixerit assos, parebit pravi docilis Romana iuventus

sordidus a tenui victu distabit Ofello iudice: nam frustra vitium vitaveris illud, si te alio pravum detorseris

Avidienus,    [55] cui Canis ex vero dictum cognomen adhaeret, quinquennis oleas est et silvestria corna ac nisi mutatum parcit defundere vinum et cuius odorem olei nequeas perferre, licebit ille repotia, natalis aliosve dierum   [60] festos albatus celebret, cornu ipse bilibri caulibus instillat, veteris non parcus aceti

quali igitur victu sapiens utetur et horum utrum imitabitur

hac urget lupus, hac canis, aiunt

mundus erit, qua non offendat sordibus atque   [65] in neutram partem cultus miser
No, viveva sicuro il rombo, sicura nel suo nido la cicogna, finché un mezzo pretore non vi fece da maestro e modello

[50] Così se ora qualcuno proclamasse squisiti i volatili arrosto, la gioventù romana, sempre pronta alle storture, l'approverebbe

Ma c'è distinzione fra la grettezza e una vita frugale, a giudizio di Ofello: è inutile evitare un vizio per incorrere in un'altra stortura

Avidieno, [55] a cui fu giustamente affibbiato il nomignolo Cane, mangia solo olive di cinque anni e corniole selvatiche, non vuol saperne di versare un vino che non sia inacidito; il suo olio poi ha un odore insopportabile, anche quando festeggia, con tanto di toga bianca, nozze, compleanni, o qualche altra solennità, [60] e ne versa qualche goccia sui cavoli da un orcio di due libbre, mentre abbonda con l'aceto svanito

Che tenore di vita adotterà dunque il saggio, quale di questi opposti seguirà

Da una parte l'incalza un lupo, dall'altra un cane, così dicono

Sarà allora decoroso quel tanto da non urtare con la sua grettezza, [65] senza cadere in eccessi nell'uno e l'altro senso
hic neque servis, Albuci senis exemplo, dum munia didit, saevus erit, nec sic ut simplex Naevius unctam convivis praebebit aquam: vitium hoc quoque magnum

accipe nunc, victus tenuis quae quantaque secum  [70] adferat in primis valeas bene; nam variae res ut noceant homini credas, memor illius escae, quae simplex olim tibi sederit

at simul assis miscueris elixa, simul conchylia turdis, dulcia se in bilem vertent stomachoque tumultum [75] lenta feret pitvita, vides, ut pallidus omnis cena desurgat dubia

quin corpus onustum hesternis vitiis animum quoque praegravat una atque adfigit humo divinae particulam aurae

alter ubi dicto citius curata sopori  [80] membra dedit, vegetus praescripta ad munia surgit
Non sarà spietato coi servi nell'assegnare i compiti, sull'esempio del vecchio Albucio; ma nemmeno farà come quel villano di Nevio, che offre agli invitati acqua sporca di grasso: e non è difetto da poco

Ora ascolta quali e quanti vantaggi arrechi la frugalità [70] Prima di tutto una buona salute: come sia nociva all'uomo la varietà dei cibi puoi capirlo se ti ricordi il giorno in cui hai digerito bene un alimento semplice; se invece mescoli bollito e arrosto, frutti di mare e tordi, queste delizie si mutano in fiele e il blocco della digestione ti porta lo scompiglio nello stomaco

[75] Non vedi come ognuno s'alza pallido da una cena con l'imbarazzo della scelta

In più un corpo appesantito dagli stravizi del giorno passato deprime con sé anche l'anima e inchioda a terra quella sua particella di soffio divino

L'altro invece, dopo aver ristorato velocemente le membra e averle abbandonate al sonno, [80] si alza in forma per i compiti che lo attendono

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Orazio, Satire: Libro 01, Satira 2

Latino: dall'autore Orazio, opera Satire parte Libro 01, Satira 2

hic tamen ad melius poterit transcurrere quondam, sive diem festum rediens advexerit annus, seu recreare volet tenuatum corpus, ubique accedent anni, tractari mollius aetas   [85] imbecilla volet: tibi quidnam accedet ad istam quam puer et validus praesumis mollitiem, seu dura valetudo inciderit seu tarda senectus

rancidum aprum antiqui laudabant, non quia nasus illis nullus erat, sed, credo, hac mente, quod hospes  [90] tardius adveniens vitiatum commodius quam integrum edax dominus consumeret

hos utinam inter heroas natum tellus me prima tulisset

das aliquid famae, quae carmine gratior aurem occupet humanam

grandes rhombi patinaeque  [95] grande ferunt una cum damno dedecus

adde iratum patruum, vicinos, te tibi iniquum et frustra mortis cupidum, cum deerit egenti as, laquei pretium
Nessuno vieta poi che qualche volta possa darsi buon tempo, se nel corso dell'anno torna un giorno festivo o vuol ritemprare un corpo troppo infiacchito, soprattutto quando, trascorsi gli anni, l'età malferma chiede maggiori riguardi: [85] ma tu, quando ti coglierà spietata una malattia o la vecchiaia coi suoi acciacchi, quali delicatezze aggiungerai a quelle, che ancora giovane e robusto anzitempo ti gusti

I nostri vecchi vantavano il cinghiale stantio, non perché non avessero odorato, ma forse con l'idea che un ospite, [90] arrivando in ritardo, l'avrebbe mangiato, anche se un po' frollato, con più gusto, che non il padrone ingordo quand'era fresco

Magari la terra nei suoi primordi m'avesse generato fra tale tempra d'eroi

Vuoi dar peso alla fama, che più ambita di un canto riempie l'orecchio dei mortali

Rombi e piatti enormi, [95] col danno, recano altrettanto disonore

Seguono le sfuriate dello zio, dei vicini, mentre tu in odio a te stesso desideri la morte invano, perché ridotto al lastrico non hai un soldo per comprarti il laccio
'iure' inquit 'Trausius istis iurgatur verbis: ego vectigalia magna  [100] divitiasque habeo tribus amplas regibus

' ergo, quod superat non est melius quo insumere possis

cur eget indignus quisquam te divite

quare templa ruunt antiqua deum

cur, inprobe, carae non aliquid patriae tanto emetiris acervo

 [105] uni nimirum recte tibi semper erunt res, o magnus posthac inimicis risus

uterne ad casus dubios fidet sibi certius

hic qui pluribus adsuerit mentem corpusque superbum, an qui contentus parvo metuensque futuri  [110] in pace, ut sapiens, aptarit idonea bello

quo magis his credas, puer hunc ego parvus Ofellum integris opibus novi non latius usum quam nunc accisis
'Queste rampogne', dice, 'vanno bene per Trausio: io ho entrate e ricchezze [100] tali che basterebbero a tre re

' Non c'è davvero il modo d'impiegarlo meglio, ciò che t'avanza

Perché chi non lo merita vive in miseria, mentre tu sei ricco sfondato

Perché per il tempo vanno in rovina i templi degli dei

Perché, svergognato, da un mucchio così grande non togli qualcosa per l'adorata patria

[105] Sta a vedere che solo a te le cose andranno sempre bene: oh, che risate si faranno un giorno i tuoi nemici

Chi dei due, in situazioni difficili, potrà contare con più forza su sé stesso

questo che con superbia all'abbondanza ha coltivato corpo e mente o quello che, soddisfatto del poco e timoroso del futuro, [110] in pace ha preparato, saggio com'è, ciò che serve alla guerra

Vuoi convincerti meglio sappi che io, ancora fanciullo, conobbi Ofello, quando aveva le sue sostanze intatte e non se ne serviva con maggior larghezza di oggi, dopo i tagli che ha subito

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Orazio, Satire: Libro 02, Satira 04

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videas metato in agello cum pecore et gnatis fortem mercede colonum  [115] 'non ego' narrantem 'temere edi luce profesta quicquam praeter holus fumosae cum pede pernae

ac mihi seu longum post tempus venerat hospes sive operum vacuo gratus conviva per imbrem vicinus, bene erat non piscibus urbe petitis,  [120] sed pullo atque haedo; tum pensilis uva secundas et nux ornabat mensas cum duplice ficu

post hoc ludus erat culpa potare magistra ac venerata Ceres, ita culmo surgeret alto, explicuit vino contractae seria frontis

  [125] saeviat atque novos moveat Fortuna tumultus: quantum hinc inminuet

quanto aut ego parcius aut vos, o pueri, nituistis, ut huc novus incola venit
Ora, diventato fittavolo, puoi vederlo insieme ai figlioli e al gregge lavorare imperterrito il campicello confiscato, [115] mentre racconta: 'Nei giorni di lavoro io non ho mai mangiato, senza motivo, altro che legumi e zampa di porco affumicata

E se una volta tanto da me veniva un ospite o, in una giornata di pioggia, quando non si lavora, un vicino simpatico a cenare, era uno spasso, non con i pesci che si comprano in città, [120] ma con pollo e capretto; poi uva passa, noci e fichi secchi per finire allietavano la mensa

L'ultimo gioco era quello di bere pagando penitenza e Cerere, invocata perché alti facesse crescere gli steli, spianava col vino i pensieri sulla fronte accigliata

[125] Incrudelisca pure la fortuna e provochi nuovi tumulti: che cosa può togliermi ancora

di quanto s'è ridotto il mio benessere o il vostro, figlioli, da quando qui è arrivato il nuovo inquilino
nam propriae telluris erum natura nec illum nec me nec quemquam statuit: nos expulit ille,  [130] illum aut nequities aut vafri inscitia iuris, postremum expellet certe vivacior heres

nunc ager Umbreni sub nomine, nuper Ofelli dictus, erit nulli proprius, sed cedet in usum nunc mihi, nunc alii

quocirca vivite fortes   [135] fortiaque adversis opponite pectora rebus

'
Padrone della propria terra la natura non ha destinato nessuno, né lui, né me: [130] lui ci ha cacciati, e lui dalla dissipazione, dall'inesperienza nei cavilli giuridici sarà cacciato o infine da un erede, questo è certo, che piú di lui vivrà

Il campo ora a nome di Umbreno, prima detto di Ofello, non sarà mai proprietà di nessuno, ma ceduto in uso oggi a me, domani a un altro

[135] Allora fatevi coraggio e alle avversità opponete un animo saldo'

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