Tacito, Annales: Libro 03 - Parte 02, pag 2

Tacito, Annales: Libro 03 - Parte 02

Latino: dall'autore Tacito, opera Annales parte Libro 03 - Parte 02
Tiberium quoque Rhodi agentem coluerat: quod tunc patefecit in senatu, laudatis in se officiis et incusato M Lollio, quem auctorem Gaio Caesari pravitatis et discordiarum arguebat

sed ceteris haud laeta memoria Quirini erat ob intenta, ut memoravi, Lepidae pericula sordidamque et praepotentem senectam

[49] Fine anni Clutorium Priscum equitem Romanum, post celebre carmen quo Germanici suprema defleverat, pecunia donatum a Caesare, corripuit delator, obiectans aegro Druso composuisse quod, si extinctus foret, maiore praemio vulgaretur

id Clutorius in domo P Petronii socru eius Vitellia coram multisque inlustribus feminis per vaniloquentiam legerat

ut delator extitit, ceteris ad dicendum testimonium exterritis, sola Vitellia nihil se audivisse adseveravit
Questo allora Tiberio rammentò in senato, con parole di lode per le cortesie ricevute e con espressioni di rimprovero per Marco Lollio, al quale imputava di aver suscitato la discordia e l'avversione di Gaio Cesare nei suoi confronti

Ma il ricordo di Quirinio era tutt'altro che gradito agli altri per l'azione intentata, come già ricordato, contro Lepida e per la sua vecchiaia sordida e prepotente

49 Sul finire dell'anno, un delatore travolse il cavaliere romano Clutorio Prisco, già beneficiato da Tiberio con una somma di denaro per un carme famoso, in cui piangeva la morte di Germanico; l'accusa era di aver composto, durante una malattia di Druso, un altro carme che, pubblicato in caso di morte, gli avrebbe assicurato un premio ancora più grande

Clutorio l'aveva recitato in casa di Publio Petronio, alla presenza della suocera di questi, Vitellia, e di molte donne della nobiltà, per vanità di scrittore

Di fronte al delatore, mentre le altre, indotte dalla paura, confermarono i fatti con la loro testimonianza, solo Vitellia affermò di non aver udito nulla
sed arguentibus ad perniciem plus fidei fuit, sententiaque Haterii Agrippae consulis designati indictum reo ultimum supplicium

[50] Contra M Lepidus in hunc modum exorsus est: 'si, patres conscripti, unum id spectamus, quam nefaria voce Clutorius Priscus mentem suam et auris hominum polluerit, neque carcer neque laqueus, ne serviles quidem cruciatus in eum suffecerint

sin flagitia et facinora sine modo sunt, suppliciis ac remediis principis moderatio maiorumque et vestra exempla temperat et vana a scelestis, dicta a maleficiis differunt, est locus sententiae per quam neque huic delictum impune sit et nos clementiae simul ac severitatis non paeniteat

saepe audivi principem nostrum conquerentem si quis sumpta morte misericordiam eius praevenisset
Ebbero, però, maggior credito le accuse di chi gli preparava la rovina e, su proposta del console designato Aterio Agrippa, venne richiesta per l'accusato la pena di morte

50 Si oppose Marco Lepido in questi termini: Se consideriamo, o senatori, solo un fatto, e cioè come Clutorio Prisco abbia, con quelle parole rivoltanti, contaminato il suo pensiero e le orecchie di altre persone, non basterebbero contro di lui né il carcere né il capestro e neppure le torture inflitte agli schiavi

Se la bassezza del crimine è senza limiti, il senso della misura del principe e gli esempi degli antenati e i vostri stessi impongono un giusto equilibrio tra pena e rimedi; del resto, c'è differenza tra boria e scelleratezza, tra parole e fatti colpevoli; C'è spazio per una sentenza, in base alla quale il delitto di costui non resti impunito e noi non dobbiamo pentirci per un eccesso né di clemenza né di severità

Spesso ho sentito il nostro principe esprimere rammarico che qualcuno abbia prevenuto col suicidio un suo atto di clemenza
vita Clutorii in integro est, qui neque servatus in periculum rei publicae neque interfectus in exemplum ibit

studia illi ut plena vaecordiae, ita inania et fluxa sunt; nec quicquam grave ac serium ex eo metuas qui suorum ipse flagitiorum proditor non virorum animis sed muliercularum adrepit

cedat tamen urbe et bonis amissis aqua et igni arceatur: quod perinde censeo ac si lege maiestatis teneretur'

[51] Solus Lepido Rubellius Blandus e consularibus adsensit: ceteri sententiam Agrippae secuti, ductusque in carcerem Priscus ac statim exanimatus

id Tiberius solitis sibi ambagibus apud senatum incusavit, cum extolleret pietatem quamvis modicas principis iniurias acriter ulciscentium, deprecare tam praecipitis verborum poenas, laudaret Lepidum neque Agrippam argueret
Clutorio vive ancora: se salvo, non sarà un pericolo per lo stato, ma la sua morte non potrà costituire un esempio

I versi che compone sono pieni di follia e, per ciò appunto, vani e inconsistenti; impossibile temere qualcosa di grave e di serio da un uomo che, rivelando il segreto delle sue vergognose debolezze, non vuole far presa sull'animo di uomini, bensì insinuarsi in quello di donnette

Se ne vada pertanto da Roma e, confiscati i beni, gli sia inflitto l'esilio: Questo penso di proporre, come se il suo gesto dovesse ricadere sotto il delitto di lesa maestà

51 Solo Rubellio Blando, fra i consolari, assentì alla proposta di Lepido: gli altri si schierarono con Agrippa, e Prisco venne condotto in carcere e subito giustiziato

Tiberio, con l'abituale ambiguità, avanzò critiche al senato: mentre esaltava la devozione di chi puniva severamente le offese, anche modeste, recate al principe, deplorava che si punisse, con tanta avventatezza, per delle semplici parole; lodava Lepido, senza però biasimare Agrippa

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Latino: dall'autore Tacito, opera Annales parte Libro 13, 01-24

igitur factum senatus consultum ne decreta patrum ante diem [decimum] ad aerarium deferrentur idque vitae spatium damnatis prorogaretur

sed non senatui libertas ad paenitendum erat neque Tiberius interiectu temporis mitigabatur

[52] C Sulpicius D Haterius consules sequuntur, inturbidus externis rebus annus, domi suspecta severitate adversum luxum qui immensum proruperat ad cuncta quis pecunia prodigitur

sed alia sumptuum quamvis graviora dissimulatis plerumque pretiis occultabantur; ventris et ganeae paratus adsiduis sermonibus vulgati fecerant curam ne princeps antiquae parsimoniae durius adverteret
Si passò dunque ad approvare una delibera, secondo cui i decreti del senato non si sarebbero depositati all'erario che dopo dieci giorni, e così, per tale periodo, si prorogava la vita dei condannati

Il senato però non aveva facoltà di ricredersi e Tiberio, col passare del tempo, non mitigava certo il suo animo

52 Seguì il consolato di Gaio Sulpicio e Decimo Aterio, non segnato da rivolgimenti esterni, ma con l'incombente minaccia che fossero applicate, all'interno, le leggi contro il lusso, che aveva preso a dilagare senza misura per tutto ciò per cui si sperpera il denaro

E si cercava di nascondere altre spese, per quanto gli sprechi fossero maggiori, falsificando, in genere, i prezzi: ma lo sfarzo esibito in banchetti e gozzoviglie, di cui molto si parlava, avevano fatto nascere il timore che il principe, uomo di antica parsimonia, intervenisse con provvedimenti troppo severi
nam incipiente C Bibulo ceteri quoque aediles disseruerant, sperni sumptuariam legem vetitaque utensilium pretia augeri in dies nec mediocribus remediis sisti posse, et consulti patres integrum id negotium ad principem distulerant

sed Tiberius saepe apud se pensitato an coerceri tam profusae cupidines possent, num coercitio plus damni in rem publicam ferret, quam indecorum adtrectare quod non obtineret vel retentum ignominiam et infamiam virorum inlustrium posceret, postremo litteras ad senatum composuit quarum sententia in hunc modum fuit
Infatti, dopo l'iniziativa di Gaio Bibulo, anche gli altri edili prendevano posizione, constatando che la legge sul lusso non trovava applicazione e che i prezzi dei beni di prima necessità, pur calmierati, crescevano di giorno in giorno e non erano contenibili con misure ordinarie,e i senatori, consultati sull'argomento, avevano rimesso il problema, insoluto, a Tiberio

Ma il principe, dopo aver a lungo ponderato tra sé sulla reale possibilità di arginare prodigalità così diffuse, ed essersi chiesto se la repressione non recasse più danni allo stato e aver riflettuto su quanto fosse umiliante un tentativo fallito e, per altro verso, sul costo, in caso di successo, in ignominia e disonore per tante personalità, si decise a inviare al senato una lettera, la cui sostanza era, a un dipresso, la seguente

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[53] 'Ceteris forsitan in rebus, patres conscripti, magis expediat me coram interrogari et dicere quid e re publica censeam: in hac relatione subtrahi oculos meos melius fuit, ne, denotantibus vobis ora ac metum singulorum qui pudendi luxus arguerentur, ipse etiam viderem eos ac velut deprenderem

quod si mecum ante viri strenui, aediles, consilium habuissent, nescio an suasurus fuerim omittere potius praevalida et adulta vitia quam hoc adsequi, ut palam fieret quibus flagitiis impares essemus

sed illi quidem officio functi sunt, ut ceteros quoque magistratus sua munia implere velim: mihi autem neque honestum silere neque proloqui expeditum, quia non aedilis aut praetoris aut consulis partis sustineo
53 Su altre questioni, o senatori, è forse più utile ch'io sia interrogato di persona davanti a voi, per dire ciò che serve al bene dello stato, su quest'ordine del giorno è meglio che i miei occhi siano lontani, per non essere costretto a vedere e, per così dire, a sorprendere quanti possono essere accusati di lusso vergognoso, i cui volti spaventati voi stessi mi fareste notare

E se quelle persone così efficienti, gli edili, si fossero prima consultati con me, forse li avrei consigliati a tollerare vizi radicati e inveterati piuttosto che avere, come risultato, l'aperta ammissione di quali vergogne siamo impotenti a frenare

Ma quelli hanno compiuto il loro dovere come vorrei che anche gli altri magistrati assolvessero il proprio: Per me ora non è decoroso tacere, né comodo avanzare proposte, perché non svolgo la funzione di edile o di pretore o di console
maius aliquid et excelsius a principe postulatur; et cum recte factorum sibi quisque gratiam trahant, unius invidia ab omnibus peccatur

quid enim primum prohibere et priscum ad morem recidere adgrediar

villarumne infinita spatia

familiarum numerum et nationes

argenti et auri pondus

aeris tabularumque miracula

promiscas viris et feminis vestis atque illa feminarum propria, quis lapidum causa pecuniae nostrae ad externas aut hostilis gentis transferuntur

[54] 'Nec ignoro in conviviis et circulis incusari ista et modum posci: set si quis legem sanciat, poenas indicat, idem illi civitatem verti, splendidissimo cuique exitium parari, neminem criminis expertem clamitabunt
Dal principe si richiede qualcosa di più grave e di più alto; e, mentre ciascuno ricava per sé popolarità per quanto di bene ha fatto, gli errori di tutti si scaricano su uno solo

Da dove infatti incominciare a porre divieti, dove sfrondare per un possibile ritorno alla tradizione di un tempo

Dalla sconfinata ampiezza delle ville

Dal numero di schiavi provenienti da ogni paese

Dalla quantità d'oro e d'argento

Dai capolavori della pittura e della scultura

Dai tessuti delle vesti, comuni a uomini e donne, oppure dalla mania, tipicamente femminile, di possedere pietre preziose, grazie alla quale il nostro denaro finisce in mano a genti straniere o a noi nemiche

54 So bene che nei discorsi fatti a tavola o in riunioni di varia natura si mettono sotto accusa tali eccessi e si chiede un freno: Ma se uno sancisce una legge o fissa delle pene, quegli stessi si metteranno a gridare che si sovverte lo stato, che si vuole la rovina delle persone più facoltose e che nessuno è senza colpa

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atqui ne corporis quidem morbos veteres et diu auctos nisi per dura et aspera coerceas: corruptus simul et corruptor, aeger et flagrans animus haud levioribus remediis restinguendus est quam libidinibus ardescit

tot a maioribus repertae leges, tot quas divus Augustus tulit, illae oblivione, hae, quod flagitiosius est, contemptu abolitae securiorem luxum fecere

nam si velis quod nondum vetitum est, timeas ne vetere: at si prohibita impune transcenderis, neque metus ultra neque pudor est

cur ergo olim parsimonia pollebat

quia sibi quisque moderabatur, quia unius urbis cives eramus; ne inritamenta quidem eadem intra Italiam dominantibus

externis victoriis aliena, civilibus etiam nostra consumere didicimus
Neppure alle malattie inveterate e aggravate dal tempo si può porre rimedio se non con interventi energici e radicali; l'animo corrotto e al tempo stesso corruttore, infermo e pur in preda a voglie febbrili non si può calmare, se non con rimedi più forti delle passioni di cui è preda

Delle tante leggi inventate dagli antichi, delle tante volute dal divo Augusto, quelle caddero nella dimenticanza, queste - e la vergogna è più grave - sono disattese: e tutte hanno reso il lusso più inattaccabile

Perché, se tu vuoi ciò che ancora non ti è stato vietato, hai il timore che vietato ti sia; ma se hai infranto impunemente ciò di cui la legge fa divieto, non esistono più né paure né pudori

Perché allora un tempo regnava la parsimonia

Perché ciascuno si dava dei limiti, perché eravamo cittadini di una sola città; e neppure le nostre sollecitazioni erano più le stesse, quando il nostro dominio non andava oltre l'Italia

Le vittorie esterne ci hanno insegnato a dilapidare i beni altrui, le vittorie nelle guerre civili a consumare anche i nostri
quantulum istud est de quo aediles admonent

quam, si cetera respicias, in levi habendum

at hercule nemo refert quod Italia externae opis indiget, quod vita populi Romani per incerta maris et tempestatum cotidie volvitur

ac nisi provinciarum copiae et dominis et servitiis et agris subvenerint, nostra nos scilicet nemora nostraeque villae tuebuntur

hanc, patres conscripti, curam sustinet princeps; haec omissa funditus rem publicam trahet

reliquis intra animum medendum est: nos pudor, pauperes necessitas, divites satias in melius mutet
Davvero problema da poco quello su cui gli edili richiamano la nostra attenzione

E com'è trascurabile, se si guarda al resto

Ma, in nome degli dèi, nessuno ricorda che l'Italia ha bisogno di risorse esterne e che la vita del popolo romano è quotidianamente esposta alle incertezze del mare e delle tempeste

Se i rifornimenti delle province non aiutassero padroni, schiavi e campi, allora ci potrebbero davvero mantenere i nostri boschi e le nostre ville

Ecco, o senatori, il peso che il principe si addossa: questo problema, se non risolto, travolgerà lo stato dalle sue radici

Il rimedio per gli altri guai ognuno deve trovarlo in se stesso: il senso della dignità renda migliori noi, la necessità i poveri e la sazietà i ricchi

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aut si quis ex magistratibus tantam industriam ac severitatem pollicetur ut ire obviam queat, hunc ego et laudo et exonerari laborum meorum partem fateor: sin accusare vitia volunt, dein, cum gloriam eius rei adepti sunt, simultates faciunt ac mihi relinquunt, credite, patres conscripti, me quoque non esse offensionum avidum; quas cum gravis et plerumque iniquas pro re publica suscipiam, inanis et inritas neque mihi aut vobis usui futuras iure deprecor'

[55] Auditis Caesaris litteris remissa aedilibus talis cura; luxusque mensae a fine Actiaci belli ad ea arma quis Servius Galba rerum adeptus est per annos centum profusis sumptibus exerciti paulatim exolevere

causas eius mutationis quaerere libet

dites olim familiae nobilium aut claritudine insignes studio magnificentiae prolabebantur
Ma se qualcuno dei magistrati garantisce di avere tanta abilità e rigore da saper fronteggiare il male, io lo lodo e ammetto che costui mi libera da una parte del carico delle mie fatiche; Se invece si vuole mettere sotto accusa il vizio per poi provocare, dopo essersi addossati il merito della denuncia, risentimenti che ricadono su di me, dovete credere, senatori, che anch'io non sono avido di rancori; e mentre già devo farmene carico di più gravi e spesso di ingiusti, nell'interesse dello stato, quelli superflui e vani, che si riveleranno inutili a me e a voi, a buon diritto vi prego di risparmiarmeli

55 Dopo la lettura del messaggio di Cesare, gli edili furono esonerati da tale responsabilità; e il fasto nei banchetti, mantenuto con enorme dispendio per cento anni dalla fine della guerra di Azio ai fatti d'armi che portarono Galba al potere, cadde lentamente in disuso

Mi sembra interessante cercare le cause di questo mutamento

In passato le ricche famiglie di nobili o quelle resesi celebri si lasciarono prendere dal fascino della magnificenza

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