Seneca, Naturales Quaestiones: Libro 06; 01-05, pag 2

Seneca, Naturales Quaestiones: Libro 06; 01-05

Latino: dall'autore Seneca, opera Naturales Quaestiones parte Libro 06; 01-05

[2,5] Unguiculi nos et ne totius quidem dolor sed aliqua ab latere eius scissura conficit

Et ego timeam terras trementes, quem crassior saliva suffocat

Ego extimescam emotum sedibus suis mare, et ne aestus maiore quam solet cursu plus aquarum trahens superveniat, cum quosdam strangulaverit potio male lapsa per fauces

Quam stultum est mare horrere, cum scias stillicidio perire te posse

[2,6] Nullum maius solacium est mortis quam ipsa mortalitas, nullum autem omnium istorum quae extrinsecus terrent quam quod innumerabilia pericula in ipso sinu sunt

Quid enim dementius quam ad tonitrua succidere et sub terram correpere fulminum metu
[2,5] Il dolore di ununghia, anche se piccola, e neanche di unintera unghia, ma di un piccolo pezzo che si è staccato da una parte ci distrugge

E io dovrei aver paura che la terra tremi, io che una saliva un po più densa è sufficiente a farmi soffocare

Io dovrei temere che il mare esca dalle sue sedi e che giunga una marea più forte del solito, trascinando con sé una più grande massa dacqua, quando una bevanda, andata di traverso, ha strozzato un numero maggiore di uomini

Come è stupido avere paura del mare, quando sei consapevole che lacqua che cade goccia dopo goccia può farti morire

[2,6] Contro la morte non esiste nessun conforto più efficace del fatto stesso che siamo mortali e, contro tutti questi eventi che ci impauriscono dal di fuori la certezza che in noi stessi ci sono numerosi pericoli

Infatti, che cosa cè di più folle che lasciarsi abbattere davanti ai tuoni e nascondersi strisciando sottoterra per paura dei fulmini
Quid stultius quam timere nutationem terrae aut subitos montium lapsus et irruptiones maris extra litus eiecti, cum mors ubique praesto sit et undique occurrat nihilque sit tam exiguum quod non in perniciem generis humani satis valeat

[2,7] Adeo non debent nos ista confundere, tamquam plus in se mali habeant quam vulgaris mors, ut contra, cum sit necessarium e vita exire et aliquando emittere animam, maiore perire ratione iuvet

Necesse est mori ubicumque, quandoque: stet licet ista humus et se teneat suis finibus nec ulla iactetur iniuria, supra me quandoque erit

interest, ego illam mihi an ipsa se mihi imponat

[2,8] Diducitur et ingenti potentia nescio cuius mali rumpitur et me in immensam altitudinem abducit; quid porro

Mors levior in plano est
Che cosa cè di più stolto che temere loscillare della terra e limprovviso precipitare di monti e linvasione del mare gettato fuori dalla riva, quando la morte è presente ovunque e ci viene incontro da ogni parte, e niente è così piccolo da non avere abbastanza forza per distruggere il genere umano

[2,7] A questo punto le catastrofi non devono sconvolgersi, come se implicassero un male più grande della morte comune, che anzi, poiché è inevitabile uscire dalla vita e esalare lultimo respiro una volta o laltra, dobbiamo essere contenti di farlo per un motivo più grandioso

Morire è inevitabile, in un luogo o in un altro, un giorno o un altro: rimanga pure ferma questa terra e resti nei suoi limiti e non sia scossa da nessun colpo, prima o poi mi ricoprirà

Che differenza esiste se sarò io a gettarla su di me o vi si getterà da sola

[2,8] Si apre e si spacca per la grande potenza di non so quale male, e mi trasporta in un abisso molto profondo; e allora

La morte è più leggera alla superficie della terra
Quid habeo quod querar, si rerum natura me non vult iacere ignobili leto, si mihi inicit sui partem

[2,9] Egregie Uagellius meus in illo inclito carmine: "Si cadendum est", inquit, "e caelo cecidisse velim"

Idem licet dicere: si cadendum est, cadam orbe concusso, non quia fas est optare publicam cladem, sed quia ingens mortis solacium est terram quoque videre mortalem

[3,1] Illud quoque proderit praesumere animo, nihil horum deos facere, nec ira numinum aut caelum concuti aut terram: suas ista causas habent nec ex imperio saeviunt sed quibusdam vitiis ut corpora nostra turbantur et tunc, cum facere videntur iniuriam, accipiunt

[3,2] Nobis autem ignorantibus verum omnia terribiliora sunt, utique quorum metum raritas auget: levius accidunt familiaria, at ex insolito formido maior est
Quale motivo ho per lamentarmi; se la natura non desidera che io muoia in un modo comune, se mi tira addosso una parte di sé

[2,9] Dice molto bene Vagellio in quel carme famoso: Se si deve cadere, vorrei cadere dal cielo

La stessa cosa potrei affermare io: se bisogna cadere, cadrò nello sconvolgimento del globo, non perché sia giusto augurarsi un disastro generale, ma perché contro la morte è di grande conforto vedere che anche la terra è mortale

[3,1] Sarà utile anche convincersi che gli dèi non fanno nulla del genere e che gli sconvolgimenti del cielo e della terra non sono conseguenze della collera divina: questi fenomeni hanno le loro cause, e non infuriano a comando, ma gli elementi, come i nostri corpi, sono alterati e, mentre appare che facciano del male, lo subiscono

[3,2] Per noi che non conosciamo la verità, tutti i fati sono più terribili, soprattutto quelli la cui rarità aumenta la nostra paura: i fenomeni a noi famigliari ci sembrano meno impressionanti; quelli insoliti fanno più paura

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Seneca, Naturales Quaestiones: Libro 01; 01-02

Latino: dall'autore Seneca, opera Naturales Quaestiones parte Libro 01; 01-02

Quare autem quicquam nobis insolitum est

Quia naturam oculis, non ratione, comprehendimus nec cogitamus quid illa facere possit, sed tantum quid fecerit

Damus itaque huius neglegentiae poenas tamquam novis territi, cum illa non sint nova sed insolita

[3,3] Quid ergo

Non religionem incutit mentibus, et quidem publice, sive deficere sol visus est, sive luna, cuius obscuratio frequentior, aut parte sui aut tota delituit

Longeque magis illa, actae in transversum faces et caeli magna pars ardens et crinita sidera et plures solis orbes et stellae per diem visae subitique transcursus ignium multam post se lucem trahentium

[3,4] Nihil horum sine timore miramur: et cum timendi sit causa nescire, non est tanti scire, ne timeas
Ma per quale motivo qualcosa è insolito per noi

Perché noi conosciamo la natura attraverso gli occhi e non mediante lintelletto, e non pensiamo a ciò che essa è in grado di fare, ma solamente ciò che ha fatto

Quindi veniamo puniti per questa nostra mancanza con la paura provocata dai fenomeni che ci appaiono nuovi, mentre non sono nuovi ma insoliti

[3,3] E quindi

La superstizione non si insinua nelle menti, e in intere popolazioni, quando si ha uneclissi di sole o quando la luna, che si oscura più di frequente, cela una parte o tutta la sua faccia

E ancor più quando delle fiaccole attraversano il cielo e una gran parte di esso è in fiamme e si vedono stelle comete e più soli e stelle durante il giorno e corpi infiammati che attraversano il cielo improvvisamente, portandosi dietro una lunga scia luminosa

[3,4] Tutti questi fenomeni provocano in noi lammirazione e la paura: e poiché la causa della nostra paura è lignoranza, non vale la pena di sapere, per non avere più timore
Quanto satius est causas inquirere, et quidem toto in hoc intentum animo

Neque enim illo quicquam inveniri dignius potest, cui se non tantum commodet sed impendat

[4,1] Quaeramus ergo quid sit quod terram ab infimo moveat, quod tanti molem ponderis pellat; quid sit illa valentius quod tantum onus vi sua labefactet; cur modo tremat, modo laxata subsidat, nunc in partes divisa discedat et alias intervallum ruinae suae diu servet, alias cito comprimat; nunc amnes magnitudinis notae convertat introrsum, nunc novos exprimat; aperiat aliquando aquarum calentium venas, aliquando refrigeret, ignesque nonnumquam per aliquod ignotum antea montis aut rupis foramen emittat, aliquando notos et per saecula nobiles comprimat
Quanto è meglio ricercare i motivi, e dedicarsi del tutto a questo con tutti se stessi

E non si potrebbe trovare nessun argomento più degno non solo che ci si occupi di esso, ma che ci si consacri ad esso

[4,1] Cerchiamo, quindi, quale sia il motivo che scuote la terra fin dal profondo, che muove una massa così pesante; quale sia la causa più potente che con la sua forza scrolla un peso simile; perché ora tremi, ora, allentandosi, sprofondi, a volte si divida in parti, altre volte mantenga a lungo la spaccatura prodotta dal crollo, altre volte ancora la rinchiuda subito; ora inghiotta fiumi famosi per la loro grandezza, ora ne faccia nascere di nuovi; talvolta faccia sgorgare fonti dacqua calda, talvolta le faccia divenire fredde, a volte emetta fuochi mediante qualche apertura prima sconosciuta di un monte o di una rupe, altre volte faccia sparire quelli noti e famosi da secoli

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Latino: dall'autore Seneca, opera Naturales Quaestiones parte Libro 06; 21-25

Mille miracula movet faciemque mutat locis et defert montes, subrigit plana, valles extuberat, novas in profundo insulas erigit: haec ex quibus causis accidant, digna res excuti

[4,2] Quod, inquis, erit pretium operae

Quo nullum maius est, nosse naturam

Neque enim quicquam habet in se huius materiae tractatio pulchrius, cum multa habeat futura usui, quam quod hominem magnificentia sui detinet nec mercede sed miraculo colitur

Inspiciamus ergo quid sit propter quod haec accidant: quorum adeo est mihi dulcis inspectio ut, quamvis aliquando de motu terrarum volumen iuvenis ediderim, tamen temptare me voluerim et experiri, aetas aliquid nobis aut ad scientiam aut certe ad diligentiam adiecerit
Essa compie mille prodigi, e cambia aspetto ai luoghi e abbassa le montagne, solleva le pianure, fa gonfiare le valli, fa affiorare le isole in alto mare: per quali motivi accadano questi fenomeni è argomento degno di essere analizzato profondamente

[4,2] Domandi: Quale vantaggio ne avremo

Il più grande di tutti: la conoscenza della natura

Infatti, laffrontare tale argomento, pur possedendo in sé molte cose che potranno essere utili, non ha nulla di più bello del fatto che con la sua straordinarietà affascina luomo e che la ricerca è condotta non con lo scopo di un guadagno, ma per la meraviglia suscitata da questi fenomeni

Analizziamo, quindi, per quale motivo accadano queste cose: e questa analisi è per me così piacevole che, anche se una volta, quando ero giovane, abbia edito un volume sul terremoto, ho voluto tuttavia mettermi alla prova e vedere se letà abbia aggiunto qualcosa o alle mie conoscenze o per lo meno alla mia diligenza di studioso
[5,1] Causam qua terra concutitur alii in aqua esse, alii in ignibus, alii in ipsa terra, alii in spiritu putaverunt, alii in pluribus, alii in omnibus his; quidam liquere ipsis aliquam ex istis causam esse dixerunt, sed non liquere quae esset

[5,2] Nunc singula persequar

Illud ante omnia mihi dicendum est, opiniones veteres parum exactas esse et rudes: circa verum adhuc errabatur; tur; nova omnia erant primo temptantibus; postea eadem illa limata sunt et, si quid inventum est, illis nihilominus referri debet acceptum: magni animi res fuit rerum naturae latebras dimovere nec contentum exteriore eius aspectu introspicere et in deorum secreta descendere

Plurimum ad inveniendum contulit qui speravit posse reperiri
[5,1] Alcuni hanno ritenuto che la causa per la quale la terra è scossa, fosse da trovarsi nellacqua, altri nel fuoco, altri nella terra stessa, altri nellaria, altri in più di uno di questi elementi, altri in tutti; alcuni hanno affermato che per loro era chiaro che il motivo fosse uno di questi, ma non era chiaro quale

[5,2] Ora analizzerò una alla volta queste spiegazioni

Innanzitutto devo dire che le opinioni degli antichi, secondo me, sono poco precise e rozze: si vagava ancora intorno alla verità; tutto era nuovo per uomini che erano ai loro primi tentativi; in seguito, quelle stesse teorie sono state limate e, se si giunti a qualcosa, il merito deve essere attribuito a loro nonostante tutto: cè stato bisogno di un gran coraggio per svelare i nascondigli della natura e , senza accontentarsi del suo aspetto esteriore esaminarla a fondo e scendere nei segreti degli dèi

Contribuì tantissimo alle scoperte colui che sperò di poter trovare

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[5,3] Cum excusatione itaque veteres audiendi sunt: nulla res consummata est, dum incipit; nec in hac tantum re omnium maxima atque involutissima (in qua, etiam cum multum acti erit, omnis tamen aetas quod agat inveniet) sed et in omni alio negotio longe semper a perfecto fuere principia [5,3] Perciò, dobbiamo ascoltare gli antichi con indulgenza: nulla è perfetto fin dallinizio; e non soltanto in questo ambito importantissimo e molto complicato ( in cui, anche quando si sarà fatto molto, ogni età troverà tuttavia qualcosa da fare), ma anche in ogni altra attività gli inizi sono sempre stati lontani dalla perfezione

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