Plinio il Vecchio, Naturalis Historia: Libro 18, Paragrafi 1-55

Plinio il Vecchio, Naturalis Historia: Libro 18, Paragrafi 1-55

Latino: dall'autore Plinio il Vecchio, opera Naturalis Historia parte Libro 18, Paragrafi 1-55

[1] Sequitur natura frugum hortorumque ac florum quaeque alia praeter arbores aut frutices benigna tellure proveniunt, vel per se tantum herbarum inmensa contemplatione, si quis aestimet varietatem, numerum, flores, odores coloresque et sucos ac vires earum, quas salutis aut voluptatis hominum gratia gignit

qua in parte primum omnium patrocinari terrae et adesse cunctorum parenti iuvat, quamquam inter initia operis defensae

[2] quoniam tamen ipsa materia accedimus ad reputationem eiusdem parentis et noxia: nostris eam criminibus urguemus nostramque culpam illi inputamus

genuit venena

set quis invenit illa praeter hominem

cavere ac refugere alitibus ferisque satis est
[1] Segue la natura delle biade e degli orti e dei fiori e le altre cose che oltre agli alberi o ai cespugli derivano dalla terra benigna, o di per sé soltanto dall'immensa contemplazione delle piante, se qualcuno consideri la varietà, il numero, i fiori , gli odori e i colori e i succhi e le loro capacità, che produce a motivo della salute o del piacere degli uomini

Nella quale parte giova prima di ogni cosa difendere la terra e sostenere la generatrice di tutte le cose, sebbene difesa nelle parti iniziali dell'opera

[2] Poiché tuttavia con la stessa materia immettiamo nella considerazione della genitrice stessa anche le cose nocive: la incalziamo con i nostri mali e le attribuiamo la nostra malvagità

Produce i veleni

Ma chi li scoprì tranne l'uomo

Agli uccelli e alle bestie è sufficiente stare attenti e rifuggirne
atque cum arbore exacuant limentque cornua elephanti et uri, saxo rhinocerotes, utroque apri dentium sicas, sciantque ad nocendum praeparare se animalia, quod tamen eorum excepto homine et tela sua venenis tinguit

[3] nos et sagittas tinguimus ac ferro ipsi nocentius aliquid damus, nos et flumina inficimus et rerum naturae elementa, ipsumque quo vivitur in perniciem vertimus

neque est, ut putemus ignorari ea ab animalibus; quae praepararent contra serpentium dimicationes, quae post proelium ad medendum excogitarent, indicavimus

nec ab ullo praeter hominem veneno pugnatur alieno

[4] fateamur ergo culpam ne iis quidem, quae nascuntur, contenti; etenim quanto plura eorum genera humana manu fiunt

quid

non et homines quidem ut venena nascuntur
Benchè gli elefanti e gli uri arrotino e limino le corna con l'albero, i rinoceronti con la pietra, i cinghiali le armi dei denti con entrambi, e gli animali sappiano prepararsi a nuocere, tuttavia chi di loro tranne l'uomo bagna le sue armi di veleno

[3] Noi intingiamo anche le frecce e al ferro stesso aggiungiamo qualcosa più nociva, noi danneggiamo anche i fiumi e gli elementi della natura, e trasformiamo in rovina la stessa cosa per cui si vive

E non è possibile, che pensiamo che queste cose siano ignorate dagli animali; quali sistemi preparino contro gli assalti dei serpenti, quali ne escogitino per rimediare dopo la lotta, l'abbiamo indicato

E da parte di nessuno eccetto l'uomo si combatte con veleno altrui

[4] Confessiamo dunque la colpa neppure contenti, di quei (veleni) che si producono; anzi quanti più tipi di essi ne fanno con la mano dell'uomo

E che

Anche alcuni uomini non nascono come i veleni
atra ceu serpentium lingua vibrat tabesque animi contacta adurit culpantium omnia ac dirarum alitum modo tenebris quoque suis et ipsarum noctium quieti invidentium gemitu, quae sola vox eorum est, ut inauspicatarum animantium vice obvii quoque vetent agere aut prodesse vitae

nec ullum aliud abominati spiritus praemium novere quam odisse omnia

[5] verum et in hoc eadem naturae maiestas

quanto plures bonos genuit ut fruges

quanto fertilior in his, quae iuvent alantque

quorum aestimatione et gaudio nos quoque, relictis exustioni suae istis hominum rubis, pergemus excolere vitam eoque constantius, quo operae nobis maior quam famae gratia expetitur

quippe sermo circa rura est agrestesque usus, sed quibus vita constet honosque apud priscos maximus fuerit
La lingua terribile come (quella) dei serpenti vibra e la cattiveria insita dell'animo brucia ogni cosa dei colpevoli e al modo di crudeli uccelli che insidiano anche le loro tenebre e la quiete delle notti stesse col gemito, che è la loro sola voce, per vietare di agire o giovare alla vita come quelli ostili di cattivo augurio

E nessun altro premio dell'animo malvagio guadagnano che odiare tutte le cose

[5] Invero anche in ciò la stessa grandezza della natura

Quanto più buoni ha generato come gli onesti

Quanto più fertile in quelle cose, che giovano e sostentano

Per la stima e la gioia delle quali anche noi, lasciati questi uomini alla furia della loro rabbia, continueremo ad ornare la vita e tanto più fermamente, quanto maggiore azione si cerca da parte nostra che fama

Perciò l'argomento è intorno ai campi e agli usi agresti, ma per quelli su cui si basa la vita ed era stato il massimo pregio presso gli antichi

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Plinio il Vecchio, Naturalis Historia: Libro 28, Paragrafo 126-186
Plinio il Vecchio, Naturalis Historia: Libro 28, Paragrafo 126-186

Latino: dall'autore Plinio il Vecchio, opera Naturalis Historia parte Libro 28, Paragrafo 126-186

[6] Arvorum sacerdotes Romulus in primis instituit seque duodecimum fratrem appellavit inter illos Acca Larentia nutrice sua genitos, spicea corona, quae vitta alba colligaretur, sacerdotio ei pro religiosissimo insigni data; quae prima apud Romanos fuit corona, honosque is non nisi vita finitur et exules etiam captosque comitatur

[7] bina tunc iugera p R satis erant, nullique maiorem modum adtribuit, quo servorum paulo ante principis Neronis contento huius spatii viridiariis

piscinas iuvat maiores habere, gratumque, si non aliquem culinas

Numa instituit deos fruge colere et mola salsa supplicare atque, ut auctor est Hemina, far torrere, quoniam tostum cibo salubrius esset, id uno modo consecutus, statuendo non esse purum ad rem divinam nisi tostum
[6] Romolo fra i primi istituì i sacerdoti degli Arvali e si nominò dodicesimo fratello fra quelli nati da Acca Larenzia la sua nutrice, con una corona di spighe, che era legata con una fascia bianca, data a questo sacerdozio come insegna molto solenne; questa fu la prima corona presso i Romani, e questo onore non cessa se non con la vita ed accompagna anche gli esuli ed i prigionieri

[7] Allora erano sufficienti due iugeri per il popolo Romano, e a nessuno assegnò una misura maggiore, poco prima chi dei servi del principe Nerone contento di questo spazio per i giardini

Serve avere vivai più grandi, e cosa gradita, se qualcuno non (facesse) le cucine

Numa stabilì di onorare gli dei con la messe e supplicarli con una salsa pestata e, come è testimone Emina, abbrustolire il farro, poiché tostato fosse più salubre come cibo, ottenuto ciò in un solo modo, stabilendo che non era puro per il sacrificio divino se non tostato
[8] is et Fornacalia instituit farris torrendi ferias et aeque religiosas Terminis agrorum

hos enim deos tum maxime noverant, Seiamque a serendo, Segestam a segetibus appellabant, quarum simulacra in circo videmus, tertiam ex his nominare sub tecto religio est, ac ne degustabant quidem novas fruges aut vina, antequam sacerdotes primitias libassent

[9] Iugum vocabatur, quod uno iugo boum in die exarari posset; actus, in quo boves agerentur cum aratro uno impeto iusto

hic erat CXX pedum duplicatusque in longitudinem iugerem faciebat

dona amplissima imperatorum ac fortium civium quantum quis uno die plurimum circumaravisset, item quartarii farris aut heminae, conferente populo
[8] Costui istituì anche le feste Fornacalia del farro tostato e ugualmente (quelle) religiose di Termine dei campi

Infatti allora conoscevano soprattutto questi dei, e chiamavano Seia dal seminare, Segesta dalle biade, le cui statue vediamo nel circo, la terza fra queste è sacrilegio nominarla sotto il tetto, ma certo non assaggiavano le nuove messi o i vini, prima che i sacerdoti avessero sacrificato le primizie

[9] Era chiamatol iugero, quello che poteva essere araro in un giorno da un giogo di buoi; atto, quello in cui i buoi erano guidati con l'aratro con una sola giusta pressione

Questo era 120 piedi e doppio in lunghezza costituiva lo iugero

I doni più grandi dei comandanti e dei cittadini valorosi (erano) quanto più qualcuno in un giorno avesse arato, parimenti di un quartario di farro o di emina, assegnato dal popolo

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Plinio il Vecchio, Naturalis Historia: Libro 35, Paragrafi 92-104
Plinio il Vecchio, Naturalis Historia: Libro 35, Paragrafi 92-104

Latino: dall'autore Plinio il Vecchio, opera Naturalis Historia parte Libro 35, Paragrafi 92-104

[10] cognomina etiam prima inde: Pilumni, qui pilum pistrinis invenerat, Pisonis a pisendo, iam Fabiorum, Lentulorum, Ciceronum, ut quisque aliquod optime genus sereret

Iuniorum e familia Bubulcum nominarunt, qui bubus optime utebatur

quin et in sacris nihil religiosius confarreationis vinculo erat, novaeque nuptae farreum praeferebant

[11] agrum male colere censorium probrum iudicabatur, atque, ut refert Cato, cum virum bonum laudantes bonum agricolam bonumque colonum dixissent, amplissime laudasse existimabantur

hinc et locupletes dicebant loci, hoc est agri, plenos

pecunia ipsa a pecore appellabatur

etiam nunc in tabulis censoriis pascua dicuntur omnia, ex quibus populus reditus habet, quia diu hoc solum vectigal fuerat
[10] Anche i primi cognomi da qui: di Pilumno, che aveva inventato il pestello della macina, di Pisone dal pestare, anche dei Fabii, dei Lentuli, dei Ciceroni, secondo come ciascuno coltivava ottimamente qualche genere

Dalla famiglia dei Giunii chiamarono Bubulco, chi utilizzava ottimamente i buoi

Ed anche nei riti nulla era più sacro della confarrazione per il legame, e mettevano davanti alla nuova sposa il farreo

[11] Coltivare male il campo era considerato vergogna dai censori, e, come riferisce Catone, coloro che lodavano il bravo uomo avendolo definito buon contadino e buon colono, erano ritenuti aver lodato molto ampiamente

D'altra parte chiamavano anche i ricchi pieni di spazio, cioè di campo

Lo stesso denaro era definito dalla pecora

Anche ora sulle tavole censorie sono definiti pascoli, tutti quelli da cui il popolo ricava redditi, poiché a lungo questa era stata l'unica tassa
multatio quoque non nisi ovium boumque inpendio dicebatur, non omittenda priscarum legum benivolentia: cautum quippe est, ne bovem prius quam ovem nominaret, qui indiceret multam

[12] ludos boum causa celebrantes Bubetios vocabant

Servius rex ovium boumque effigie primum aes signavit

frugem quidem aratro quaesitam furtim noctu pavisse ac secuisse puberi XII tabulis capital erat, suspensumque Cereri necari iubebant gravius quam in homicidio convictum, inpubem praetoris arbitratu verberari noxiamve duplionemve decerni

[13] iam distinctio honosque civitatis ipsius non aliunde erat

rusticae tribus laudatissimae eorum, qui rura haberent, urbanae vero, in quas transferri ignominia esset, desidiae probro

itaque quattuor solae erant, a partibus urbis, in quis habitabant, Suburana, Palatina, Collina, Esquilina
Anche la multa non era assegnata se non come spesa di pecore e buoi, non bisogna tralasciare la benevolenza delle antiche leggi: certo è cosa prudente, che non nominasse il bue prima della pecora, chi assegnava la multa

[12] Chiamavano Bupezii a causa dei buoi quelli che celebravano i giochi

Il re Servio dapprima stampò il rame con l'immagine di pecore e buoi

Per le 12 tavole ra pena capitale per un adulto aver pascolato di nascosto di notte e aver falciato anche la biada ottenuta con l'aratro, e impiccato per Cerere ordinavano che fosse ucciso più aspramente che incolpato per un omicidio, fanciullo, essere frustato secondo il parere del pretore o essere condannato ad una pena doppia

[13] Già la distinzione e l'onore della città non derivava oltre di questa stessa cosa

Molto apprezzate le tribù agresti di quelli, che avevano i campi, anche della città, in cui era vergogna trasferirsi, con l'accusa di pigrizia

Dunque erano solo quattro, dalle zone della città, in cui abitavano, la Suburrana, la Palatina, la Collina, l'Esquilina

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Plinio il Vecchio, Naturalis Historia: Libro 11, Paragrafi 145-152
Plinio il Vecchio, Naturalis Historia: Libro 11, Paragrafi 145-152

Latino: dall'autore Plinio il Vecchio, opera Naturalis Historia parte Libro 11, Paragrafi 145-152

nundinis urbem revisitabant et ideo comitia nundinis habere non licebat, ne plebes rustica avocaretur

[14] quies somnusque in stramentis erat

gloriam denique ipsam a farris honore adoriam appellabant

equidem ipsa etiam verba priscae significationis admiror; ita enim est in commentariis pontificum: Augurio canario agendo dies constituantur, priusquam frumenta vaginis exeant nec antequam in vaginas perveniant

[15] Ergo his moribus non modo sufficiebant fruges nulla provinciarum pascente Italiam, verum etiam annonae vilitas incredibilis erat

Manius Marcius aedilis plebis primum frumentum populo in modios assibus datavit

L

Minucius Augurinus, qui Spurium Maelium coarguerat, farris pretium in trinis nundinis ad assem redegit undecimus plebei tribunus, qua de causa statua ei extra portam Trigeminam a populo stipe conlata statuta est
Visitavano la città alle nundine e quindi non si permetteva tenere comizi nelle nundine, affinchè la gente contadina non fosse distolta

[14] Il riposo e il sonno era sulle paglie

Infine chiamavano la gloria stessa adorea dall'onore del farro

Certo ammiro anche le parole stesse di antico significato; infatti così c'è nei commentari dei pontefici: siano stabiliti i giorni per l'augurio canario da fare, prima che i frumenti escano dagli involucri e prima che s'immettano negli involucri

[15] Pertanto con queste abitudini non solo bastavano le messi senza che nessuna delle province sfamasse l'Italia, ma anche il livello dell'annona era incredibile

Manio Marcio edile della plebe dette al popolo il primo frumento in assi al moggio

L

Minucio Augurino, undicesimo tribuno della plebe, che aveva accusato Spurio Melio, abbassò il prezzo del farro ad un asse durante tre nundine, per tale motivo fu posta oltre la porta Trigemina una statua per lui realizzata dal popolo con una colletta
[16] Seius in aedilitate assibus populo frumentum praestitit, quam ob causam et ei statuae in Capitolio ac Palatio dicatae sunt, ipse supremo die populi umeris portatus in rogum est

quo vero anno Mater deum advecta Romam est, maiorem ea aestate messem quam antecedentibus annis decem factam esse tradunt

[17] M

Varro auctor est, cum L

Metellus in triumpho plurimos duxit elephantos, assibus singulis farris modios fuisse, item vini congios ficique siccae pondo XXX, olei pondo X, carnis pondo XII

nec e latifundiis singulorum contingebat arcentium vicinos, quippe etiam lege Stolonis Licini incluso modo quingentorum iugerum, et ipso sua lege damnato, cum substituta filii persona amplius possideret

[18] luxuriantis iam rei p fuit ista mensura
[16] Seio durante l'edilità fornì al popolo frumento in assi, per la quale causa anche a lui furono dedicate statue sul Campidoglio e sul Palatino, nel giorno estremo lui stesso fu portato al rogo sulle spalle del popolo

Inoltre nell'anno in cui fu portata a Roma la Madre degli dei, dicono che in quell'estate fu fatto un raccolto maggiore che nei dieci anni precedenti

[17] E' testimone M

Varrone, quando L

Metello condusse in trionfo numerosi elefanti, che i moggi di farro valevano singoli assi, così i congi di vino e 30 misure del fico secco, 10 misure di olio, 12 misure di carne

E non avveniva nei latifondi dei singoli che cacciavano i con finanti, essendo stata stabilita infatti anche per la legge di Licinio Stolone la misura di cinquecento iugeri, e lui stesso condannato dalla sua legge, possedendo di più avendovi sostituito la figura del figlio

[18] Questa fu già la misura dello stato che abbondava

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Latino: dall'autore Plinio il Vecchio, opera Naturalis Historia parte Libro 09, Paragrafi 171 - 175

Mani quidem Curi post triumphos inmensumque terrarum adiectum imperio nota contio est: perniciosum intellegi civem, cui septem iugera non essent satis

haec autem mensura plebei post exactos reges adsignata est

[19] quaenam ergo tantae ubertatis causa erat

ipsorum tunc manibus imperatorum colebantur agri, ut fas est credere, gaudente terra vomere laureato et triumphali aratore, sive illi eadem cura semina tractabant, qua bella, eademque diligentia arva disponebant, qua castra, sive honestis manibus omnia laetius proveniunt, quoniam et curiosius fiunt

[20] serentem invenerunt dati honores Serranum, unde ei et cognomen
E' noto certamente il discorso di Manio Curio dopo i trionfi e l'immensa aggiunta di terre all'impero: che era considerato pericoloso un cittadino, a cui non fossero sufficienti sette iugeri

Questa misura infatti fu assegnata alla plebe dopo i re cacciati

[19] Dunque quale era la causa di tanta abbondanza

Allora i campi erano coltivati dalle mani degli stessi generali, come è lecito credere, con la terra gioiosa per il vomere cinto d'alloro e un aratore che aveva trionfato, sia se quelli trattavano con la stessa cura le semine, con cui (trattavano) le guerre, e disponevano i campi con la stessa diligenza, con cui gli accampamenti, sia se tutte le cose derivavano più abbondantemente da mani oneste, poiché avvengono anche più accuratamente

[20] Gli onori attribuiti trovarono Serrano che seminava, da qui per lui anche il soprannome

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Plinio il Vecchio, Naturalis Historia: Libro 35, Paragrafi 01-71

Plinio il Vecchio, Naturalis Historia: Prefazione