Plinio il Vecchio, Naturalis Historia: Prefazione

Plinio il Vecchio, Naturalis Historia: Prefazione

Latino: dall'autore Plinio il Vecchio, opera Naturalis Historia parte Prefazione

[l] Libros Naturalis Historiae, novicium Camenis Quiritium tuorum opus, natos apud me proxima fetura licentiore epistula narrare constitui tibi, iucundissime Imperator; sit enim haec tui praefatio, verissima, dum maximi consenescit in patre

namque tu solebas nugas esse aliquid meas putare, ut obiter emolliam Catullum conterraneum meum (agnoscis et hoc castrense verbum): ille enim, ut scis, permutatis prioribus syllabis duriusculum se fecit quam volebat existimari a Veraniolis suis et Fabullis

[2] Simul ut hac mea petulantia fiat quod proxime non fieri questus es in alia procaci epistula nostra, ut in quaedam acta exeat sciantque omnes quam ex aequo tecum vivat imperium
[1] Ho deciso di narrare per te con un'epistola più licenziosa, prossimo parto, i libri di Storia Naturale, prodotti da me, opera nuova per le Camene (Muse) dei tuoi Quiriti, o piacevolissimo imperatore; questo sia infatti molto realmente il tuo titolo, mentre quello di grandissimo invecchia nel padre

E infatti tu solevi credere che le mie inezie valessero qualcosa, affinché addolcisca leggermente Catullo mio conterraneo (anche tu conosci questa parola militare): infatti quello, come sai, cambiate le prime sillabe si fece più duro di quanto voleva essere stimato dai suoi Veranioli e Fabulli

[2] Nello stesso tempo affinché questa mia familiarità faccia ciò che poco fa tu chiedesti che non accadesse in un'altra mia impetuosa lettera, affinché risulti su certi atti e tutti sappiano quanto il potere duri meritatamente con te
[3] Triumphalis et censorius tu sexiesque consul ac tribuniciae potestatis particeps et, quod his nobilius fecisti, dum illud patri pariter et equestri ordini praestas, praefectus praetorii eius omniaque haec rei publicae es: nobis quidem qualis in castrensi contubernio, nec quicquam in te mutavit fortunae amplitudo, nisi ut prodesse tantundem posses et velles

[4] Itaque cum ceteris in veneratione tui pateant omnia alia, nobis ad colendum te familiarius audacia sola superest: hanc igitur tibi imputabis et in nostra culpa tibi ignosces

perfricui faciem nec tamen profeci, quoniam alia via occurris ingens et longius etiam summoves ingenii fascibus

[5] Fulgurare in nullo umquam verius dicta vis eloquentiae, tribunicia potestas facundiae

quanto tu ore patris laudes tonas

quanto fratris amas

quantus in poetica es

o magna fecunditas animi
[3] Tu trionfale e censore e sei volte console e partecipe della podestà tribunizia e, ciò che è più nobile per questi, mentre esegui ciò ugualmente per il padre e per l'ordine equestre, facesti tutte queste cose per la repubblica e sei prefetto del suo pretorio: certo come noi nella compagnia militare, né la grandezza della fortuna ti cambiò qualcosa, se non che tu possa giovare quanto tu vuoi

[4] Pertanto estendendosi tutte le altre cose agli altri, in tuo onore per trattarti più familiarmente mi resta la sola audacia: dunque imputerai a te questa e perdonerai a te le mie colpe

Feci fronte e tuttavia non mi avvantaggiai, poiché per altra via tu vieni incontro grande e spingi più lontano con il peso dell'ingegno

[5] In nessuno mai (può) folgorare più veramente la forza detta dell'eloquenza, potenza tribunizia della loquacità

Con quanta voce intoni le lodi del padre

Quanto ami (quelle) del fratello

Quanto vali nella poesia

O grande fecondità d'animo
quem ad modum fratrem quoque imitareris excogitasti

[6] Sed haec quis possit intrepidus aestimare subiturus ingenii tui iudicium, praesertim lacessitum

neque enim similis est condicio publicantium et nominatim tibi dicantium

tum possem dicere: 'Quid ista legis, Imperator

humili vulgo scripta sunt, agricolarum, opificum turbae, denique studiorum otiosis

quid te iudicem facis

cum hanc operam condicerem, non eras in hoc albo

maiorem te sciebam, quam ut descensurum huc putarem

' [7] Praeterea est quaedam public etiam eruditorum reiectio

utitur illa et M

Tullius extra omnem ingenii aleam positus et, quod miremur, per advocatum defenditur: nec doctissimis

Manium Persium haec legere nolo, Iunium Congium volo
Hai immaginato come avresti imitato anche il fratello

[6] Ma chi è che possa intrepido valutare queste cose per venire sotto il giudizio del tuo ingegno, massimamente provocato

Infatti non è simile la condizione di chi pubblica e di chi esplicitamente ti fa dediche

Allora che io possa dire: "Perché leggi queste cose, Imperatore

Furono scritte per l'umile volgo, dei contadini, della schiera dei lavoratori, infine per gli occupati negli studi

Perché ti vuoi fare giudice

Componendo quest'opera, non eri in questa lista

Ti sapevo maggiore tanto da pensare che non avresti accondisceso fin qua

[7] Inoltre c'è anche generalmente un certo rifiuto dei dotti

Di quello fa uso anche M

Tullio posto oltre ogni rischio di giudizio e, cosa di cui ci stupiamo, è difeso da un avvocato: né per i più dotti

Non voglio che Manio Perseo legga queste cose, voglio Giunio Congio

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Plinio il Vecchio, Naturalis Historia: Libro 28, Paragrafo 126-186
Plinio il Vecchio, Naturalis Historia: Libro 28, Paragrafo 126-186

Latino: dall'autore Plinio il Vecchio, opera Naturalis Historia parte Libro 28, Paragrafo 126-186

quod si hoc Lucilius, qui primus condidit stili nasum, dicendum sibi putavit, Cicero mutuandum, praesertim cum de re publica scriberet, quanto nos causatius ab aliquo iudice defendimur

[8] Sed haec ego mihi nunc patrocinia ademi nuncupatione, quoniam plurimum refert, sortiatur aliquis iudicem an eligat, multumque apparatus interest apud invitatum hospitem et oblatum

[9] Cum apud Catonem, illum ambitus hostem et repulsis tamquam honoribus inemptis gaudentem, flagrantibus comitiis pecunias deponerent candidati, hoc se facere, quod tum pro innocentia ex rebus humanis summum esset, profitebantur

inde illa nobilis M

Ciceronis suspiratio: O te felicem, M

Porci, a quo rem inprobam petere nemo audet

[10] Cum tribunos appellaret L

Scipio Asiaticus, inter quos erat Gracchus, hoc adtestabatur vel inimico iudici se probari posse
Che se Lucilio, che per primo trovò lo spirito dello stile, pensò di dover dire ciò, che Cicerone doveva prender soprattutto scrivendo riguardo alla repubblica, quanto più giustamente sono difeso io da qualche giudice

[8] Ma io ora mi sono tolto queste protezioni con una dedica, poiché consegue principalmente, che qualcuno abbia in sorte un giudice o scelga, e conta molto l'apparato presso un invitato forestiero e imposto

[9] Quando dopo Catone, nemico quello del raggiro e che godeva dei rifiuti tanto quanto degli onori non ricevuti, i candidati deponevano il denaro nei comizi animati, assicuravano che facevano ciò, per innocenza poiché allora era al sommo tra le cose umane

Di là quel nobile sospiro di M

Cicerone: " O te felice, M

Porzio, da cui nessuno osa richiedere una cosa malvagia

[10] Quando L

Scipione Attico si appellava ai tribuni, tra i quali c'era Gracco, affermava questo che egli poteva essere approvato anche da un giudice nemico
adeo summum quisque causae suae iudicem facit quemcumque, cum eligit

unde provocatio appellatur

[11] Te quidem in excelsissimo generis humani fastigio positum, summa eloquentia, summa eruditione praeditum, religiose adiri etiam a salutantibus scio, et ideo curant, quae tibi dicantur ut digna sint

verum dis lacte rustici multaeque gentes et mola litant salsa qui non habent tura, nec ulli fuit vitio deos colere quoquo modo posset

[12] Meae quidem temeritati accessit hoc quoque, quod levioris operae hos tibi dedicavi libellos
Perciò ciascuno si fa sommo giudice della sua causa, quando sceglie qualcuno

Perciò è detto appello

[11] Certo so che tu collocato nel nobilissimo vanto del genere umano, fornito di somma eloquenza, somma erudizione, sei devotamente riverito anche da coloro che salutano, e perciò curano che le cose che ti vengono dette siano degne

In verità i contadini e molte nazioni fanno offerte agli dei con latte e con farina salata quelli che non hanno incensi, né fu per nessuno un vizio venerare gli dei anche nel modo in cui poteva

[12] Certo anche questo si è aggiunto alla mia presunzione, che ti ho dedicato questi libri di un'opera più leggera

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Plinio il Vecchio, Naturalis Historia: Libro 04, Paragrafi 75-80
Plinio il Vecchio, Naturalis Historia: Libro 04, Paragrafi 75-80

Latino: dall'autore Plinio il Vecchio, opera Naturalis Historia parte Libro 04, Paragrafi 75-80

nam nec ingenii sunt capaces, quod alioqui in nobis perquam mediocre erat, neque admittunt excessus aut orationes sermonesve aut casus mirabiles vel eventus varios, iucunda dictu aut legentibus blanda sterili materia: [13] Rerum natura, hoc est vita, narratur, et haec sordidissima sui parte ac plurimarum rerum aut rusticis vocabulis aut externis, immo barbaris etiam, cum honoris praefatione ponendis

[14] Praeterea iter est non trita auctoribus via nec qua peregrinari animus expetat

nemo apud nos qui idem temptaverit, nemo apud Graecos, qui unus omnia ea tractaverit

magna pars studiorum amoenitates quaerimus; quae vero tractata ab aliis dicuntur inmensae subtilitatis, obscuris rerum tenebris premuntur

ante omnia attingenda quae Graeci egkukliou paideia vocant, et tamen ignota aut incerta ingeniis facta; alia vero ita multis prodita, ut in fastidium sint adducta
Infatti né sono vasti di ingegno, poiché in me del resto era di molto mediocre, né apportano digressioni o orazioni o discorsi o casi strani o eventi vari, cose piacevoli a dirsi o gradite a chi legge con materia semplice: [13] è esposta la natura delle cose, ciò è la vita, e questa nella sua vilissima parte e di più cose o con parole rustiche o straniere, anzi piuttosto barbare, bisogna intervenire nella prefazione d'onore

[14] Inoltre è una strada non percorsa dagli autori né una via per la quale l'animo desidera viaggiare

Nessuno accanto a noi che abbia tentato ciò, nessuno presso i Greci, che unico abbia trattato tutte queste cose

Gran parte cerchiamo i piaceri degli studi; queste cose di grande sottigliezza che in verità si dicono trattate da altri, sono oppresse dalle oscure tenebre delle realtà

Già bisogna trattare tutte le cose che i Greci chiamano egkukliou paideia e tuttavia ignote o rese incerte dagli ingegni; altre poi così tanto chiare, che sono giunte a noia
[15] Res ardua vetustis novitatem dare, novis auctoritatem, obsoletis nitorem, obscuris lucem, fastiditis gratiam, dubiis fidem, omnibus vero naturam et naturae suae omnia

itaque etiam non assecutis voluisse abunde pulchrum atque magnificum est

[16] Equidem ita sentio, peculiarem in studiis causam eorum esse, qui difficultatibus victis utilitatem iuvandi praetulerint gratiae placendi, idque iam et in aliis operibus ipse feci et profiteor mirari me T

Livium, auctorem celeberrimum, in historiarum suarum, quas repetit ab origine urbis, quodam volumine sic orsum: iam sibi satis gloriae quaesitum, et potuisse se desidere, ni animus inquies pasceretur opere

profecto enim populi gentium victoris et Romani nominis gloriae, non suae, composuisse illa decuit
[15] Impresa difficile dare novità alle cose vecchie, autorevolezza alle nuove, splendore alle umili, luce alle oscure, grazia alle disdicevoli, fede alle dubbiose, in verità (dare) la natura a tutte le cose e tutte le cose alla propria natura

Perciò è cosa bella e magnifica anche averlo voluto ampiamente pur non essendoci seguaci

[16] Certamente penso così, che il motivo principale di coloro che si applicano negli studi, i quali vinte le difficoltà abbiano preferito il vantaggio di giovare alla grazia di piacere, e ciò già io stesso feci in altre opere e confesso che mi meraviglio che T

Livio, famosissimo autore, in un certo volume delle sue storie, che comincia dall'origine della città, così esordì: che già si era procurato sufficientemente gloria, e che egli avrebbe potuto smettere, se l'animo inquieto si nutrisse dell'opera

Infatti certo convenne aver composto quelle opere per la gloria del nome del popolo Romano, vincitore delle genti, non sua

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Plinio il Vecchio, Naturalis Historia: Libro 20, Paragrafi 99-189
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Latino: dall'autore Plinio il Vecchio, opera Naturalis Historia parte Libro 20, Paragrafi 99-189

maius meritum esset operis amore, non animi causa, perseverasse et hoc populo Romano praestitisse, non sibi

[17] XX milia rerum dignarum cura

quoniam, ut ait Domitius Piso, thesauros oportet esse, non libros

lectione voluminum circiter MM, quorum pauca admodum studiosi attingunt propter secretum materiae, ex exquisitis auctoribus centum inclusimus XXXVI voluminibus, adiectis rebus plurimis, quas aut ignoraverant priores aut postea invenerat vita; [18] Nec dubitamus multa esse quae et nos praeterierint

homines enim sumus et occupati officiis subsicivisque temporibus ista curamus, id est nocturnis, ne quis vestrum putet his cessatum horis

dies vobis inpendimus, cum somno valetudinem computamus, vel hoc solo praemio contenti, quod, dum ista, ut ait M

Varro, musinamur, pluribus horis vivimus

profecto enim vita vigilia est
Sarebbe merito maggiore per amore dell'opera, non per motivo dell'animo, e aver ricercato ciò giovare al popolo Romano, non a sé

[17]

Ventimila delle cose degne di interesse,- poiché, come dice Domizio Pisone, bisogna che siano tesori, non libri - con la scelta di circa duemila volumi, dei quali poche cose però gli studiosi trattano a causa del segreto dell'argomento, fra cento autori validi, ho racchiuso in trentasei volumi, con più cose aggiunte, che o i primi ignoravano o la vita aveva scoperto poi

[18] Né dubito che ci sono molte cose che mi sfuggono

Infatti gli uomini sono anche occupati negli impegni e curo queste cose nel tempo rimanente, e cioè di notte, affinché qualcuno di voi non pensi che io sia venuto meno a queste ore

Spendo i giorni per voi, calcolo la salute col sonno, e contento di questo solo premio, poiché, come dice M

Varrone, mentre trattiamo queste cose, viviamo con più ore

Infatti certamente la vita è una veglia
[19] Quibus de causis atque difficultatibus nihil auso promittere hoc ipsum tu praestas, quod ad te scribimus

haec fiducia operis, haec est indicatura

multa valde pretiosa ideo videntur, quia sunt templis dicata

[20] Vos quidem omnes, patrem, te fratremque, diximus opere iusto, temporum nostrorum historiam orsi a fine Aufidii

ubi sit ea, quaeres

iam pridem peracta sancitur et alioqui statutum erat heredi mandare, ne quid ambitioni dedisse vita iudicaretur

proinde occupantibus locum faveo, ego vero et posteris, quos scio nobiscum decertaturos, sicut ipsi fecimus cum prioribus

[21] Argumentum huius stomachi mei habebis quod in his voluminibus auctorum nomina praetexui

est enim benignum, ut arbitror, et plenum ingenui pudoris fateri per quos profeceris, non ut plerique ex iis, quos attigi, fecerunt
[19] Per le quali cause e difficoltà senza osare promettere nulla tu permetti questo solo, che io scriva riguardo a te

Questa fiducia dell'opera, questa è stima

Molte cose sembrano certo assai preziose, poiché sono dedicate ai templi

[20] In una giusta opera, citammo certo tutti voi, il padre, te e tuo fratello, la storia dei nostri tempi a cominciare dalla fine di Aufidio

Chiederai, dove sia questa storia

Già da tempo conclusa è confermata ed era stato stabilito del resto di affidarla all'erede, affinché la vita non si pensasse essere dedicata all'ambizione

Perciò riservo il posto per chi se ne occupa, io in verità anche ai posteri, che so che contenderanno con noi, come noi stessi abbiamo fatto con i primi

[21] Avrai l'argomento di questo mio appetito poiché ho messo i nomi degli autori in questi volumi

Infatti è ragionevole, come penso, e pieno di semplice creanza confessare attraverso chi avevi fatto progressi, non come fecero la maggior parte fra questi, che consultai

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Plinio il Vecchio, Naturalis Historia: Libro 06, Paragrafi 104-130
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Latino: dall'autore Plinio il Vecchio, opera Naturalis Historia parte Libro 06, Paragrafi 104-130

[22] Scito enim conferentem auctores me deprehendisse a iuratissimis ex proximis veteres transcriptos ad verbum neque nominatos, non illa Vergiliana virtute, ut certarent, non Tulliana simplicitate, qui de re publica Platonis se comitem profitetur, in consolatione filiae Crantorem, inquit, sequor, item Panaetium de officiis, quae volumina ediscenda, non modo in manibus cotidie habenda, nosti

[23] Obnoxii profecto animi et infelicis ingenii est deprehendi in furto malle quam mutuum reddere, cum praesertim sors fiat ex usura
[22] Infatti saprai tu che io consultando avevo trovato fra i vicini molto affidabili, autori che avevano trascritto gli antichi secondo alla lettera ma non nominati, non con quella virgiliana virtù, per contrastare, non con la semplicità di Tullio (Cicerone), che riguardo alla repubblica si proclama compagno di Platone, e nella consolazione della figlia dice: seguo Crantore, anche Panezio negli Officii, libri che devono essere imparati, non devono solo essere tenuti in mano ogni giorno, hai visto

[23] E' veramente di animo servile e d'infelice ingegno preferire di essere sorpreso nel furto che rendere il prestito, soprattutto quando il destino si fa dall'usura
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