Livio, Ab urbe condita: Libro 30; 16 - 45, pag 5

Livio, Ab urbe condita: Libro 30; 16 - 45

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 30; 16 - 45

Cum flecti misericordia patres appareret, senatorum unum infestum perfidiae Carthaginiensium succlamasse ferunt per quos deos foedus icturi essent cum eos per quos ante ictum esset fefellissent

'Per eosdem', inquit Hasdrubal 'quoniam tam infesti sunt foedera violantibus

' [43] Inclinatis omnium ad pacem animis Cn Lentulus consul, cui classis provincia erat, senatus consulto intercessit

Tum M' Acilius et Q Minucius tribuni plebis ad populum tulerunt vellent iuberentne senatum decernere ut cum Carthaginiensibus pax fieret; et quem eam pacem dare quemque ex Africa exercitum deportare iuberent

De pace 'uti rogas' omnes tribus iusserunt; pacem dare P Scipionem, eundem exercitum deportare
Poiché era chiaro che i senatori erano disposti alla compassione, si racconta che uno solo di essi, ostile ai Cartaginesi per la loro malafede, abbia domandato a gran voce in nome di quali dei essi pensavano di stipulare un trattato, dal momento che avevano ingannato quelle divinità nel nome delle quali avevano concluso il patto precedente

A lui rispose Asdrubale: Per quegli stessi dei che sono così fieri nemici contro coloro che violano i trattati

[43] Poiché l'animo di tutti era favorevole alla pace, il console Cn Lentulo, che aveva il comando della flotta, si oppose alla deliberazione del senato

Allora i tribuni della plebe M Acilio e Q Minucio si appellarono al popolo chiedendogli se voleva che il senato decretasse di fare la pace coi Cartaginesi e se voleva scegliere colui che doveva trattarne le condizioni e ricondurre a Roma dall'Africa l'esercito vincitore

Tutte le tribù con la formula rituale espressero la volontà che si facesse la pace e che le trattative fossero fatte da Scipione, al quale spettava riportare a Roma l'esercito
Ex hac rogatione senatus decrevit ut P Scipio ex decem legatorum sententia pacem cum populo Carthaginiensi quibus legibus ei videretur faceret

Gratias deinde patribus egere Carthaginienses, et petierunt ut sibi in urbem introire et conloqui cum civibus suis liceret qui capti in publica custodia essent: esse in iis partim propinquos amicosque suos, nobiles homines, partim ad quos mandata a propinquis haberent

Quibus conventis cum rursus peterent ut sibi quos vellent ex iis redimendi potestas fieret, iussi nomina edere; et cum ducenta ferme ederent, senatus consultum factum est ut legati Romani ducentos ex captivis quos Carthaginienses vellent ad P Cornelium in Africam deportarent, nuntiarentque ei ut, si pax convenisset, sine pretio eos Carthaginiensibus redderet
Dopo questa deliberazione popolare, il senato decretò che Scipione facesse gli accordi di pace col popolo cartaginese alle condizioni che meglio credeva, assistito, tuttavia, da una commissione di dieci consulenti

I Cartaginesi, quindi, ringraziarono i senatori, ai quali chiesero il permesso di entrare in città per poter parlare con quei loro concittadini che, fatti prigionieri, si trovavano nelle pubbliche carceri: parte di costoro, erano, infatti, loro parenti ed amici, gente della nobiltà, parte erano altri per i quali avevano avuto incarichi dai loro congiunti

Dopo che si furono incontrati coi prigionieri, avendo chiesto di nuovo che fosse loro concesso di riscattare alcuni di essi, furono invitati a fare l'elenco dei nomi; poiché furono fatti duecento nomi, il senato deliberò che gli ambasciatori romani riconducessero in Africa a P Cornelio duecento prigionieri scelti dai Cartaginesi e gli comunicassero che, se la pace fosse stata conclusa, egli avrebbe dovuto restituirli ai Cartaginesi senza riscatto
Fetiales cum in Africam ad foedus feriundum ire iuberentur, ipsis postulantibus senatus consultum in haec verba factum est ut privos lapides silices privasque verbenas secum ferrent ut, ubi praetor Romanus imperaret ut foedus ferirent, illi praetorem sagmina poscerent

Herbae id genus ex arce sumptum fetialibus dari solet

Ita dimissi ab Roma Carthaginienses cum in Africam venissent ad Scipionem, quibus ante dictum est legibus pacem fecerunt

Naves longas elephantos perfugas fugitivos captivorum quattuor milia tradiderunt, inter quos Q Terentius Culleo senator fuit

Naves provectas in altum incendi iussit; quingentas fuisse omnis generis quae remis agerentur quidam tradunt; quarum conspectum repente incendium tam lugubre fuisse Poenis quam si ipsa Carthago arderet
Ai feriali fu poi comandato di andare in Africa a stipulare il trattato; a loro richiesta il senato prese queste disposizioni: portassero una selce ed una verbena per ciascuno;' quando il comandante supremo romano avesse dato a loro l'ordine di sancire la pace, essi avrebbero dovuto chiedere a lui tali verbene

Questa è un'erba che si coglie sulla rocca capitolina e che si suole dare ai feziali

Così i Cartaginesi furono congedati da Roma; giunsero in Africa da Scipione e fecero la pace alle condizioni delle quali si è già detto

Consegnarono ai Romani le navi da guerra, gli elefanti, i disertori, gli schiavi che erano fuggiti e quattromila prigionieri, tra i quali il senatore Q Terenzio Culleone

Comandò di dar fuoco alle navi dopo averle trasportate in alto mare; alcuni storici raccontano che le navi condotte a remi furono cinquecento di ogni tipo; si dice che lo spettacolo improvviso del loro incendio apparve ai Cartaginesi altrettanto funesto che se bruciasse la stessa Cartagine

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De perfugis gravius ~quam de fugitivis~ consultum: nominis Latini qui erant securi percussi, Romani in crucem sublati

[44] Annis ante quadraginta pax cum Carthaginiensibus postremo facta erat, Q Lutatio A Manlio consulibus

Bellum initum annis post tribus et viginti, P Cornelio Ti Sempronio consulibus, finitum est septimo decimo anno, Cn Cornelio P Aelio consulibus

Saepe postea ferunt Scipionem dixisse Ti Claudi primum cupiditatem, deinde Cn Corneli fuisse in mora quo minus id bellum exitio Carthaginis finiret

Carthagini cum prima conlatio pecuniae diutino bello exhaustis difficilis videretur, maestitiaque et fletus in curia esset, ridentem Hannibalem ferunt conspectum
Si presero provvedimenti più gravi- contro i disertori che contro gli schiavi fuggitivi: quei disertori che erano di stirpe latina furono decapitati, i Romani crocifissi

[44] Sotto il consolato di Q Lutazio e di AManlio si era conclusa quarant'anni prima l'ultima pace coi Cartaginesi

La guerra cominciata ventitré anni dopo, sotto il consolato di PCornelio e Ti Sempronio, si era conclusa dopo diciassette anni essendo consoli Cn Cornelio e P Elio Peto

Si racconta che più tardi Scipione abbia spesso dichiarato che il desiderio di onori, prima di Ti Claudio, poi di Cn Cornelio, era stato di ostacolo a che quella guerra si concludesse con la rovina di Cartagine

A Cartagine, quando il primo versamento del debito di guerra apparve assai gravoso per le finanze esauste a causa del lungo conflitto, nella curia si assisté ad una manifestazione di costernazione e di pianto, si dice che allora Annibale si sia fatto veder ridere
Cuius cum Hasdrubal Haedus risum increparet in publico fletu cum ipse lacrimarum causa esset, 'si, quemadmodum oris habitus cernitur oculis', inquit 'sic et animus intus cerni posset, facile vobis appareret non laeti sed prope amentis malis cordis hunc quem increpatis risum esse; qui tamen nequaquam adeo est intempestivus quam vestrae istae absurdae atque abhorrentes lacrimae sunt

Tunc flesse decuit cum adempta sunt nobis arma, incensae naves, interdictum externis bellis; illo enim volnere concidimus

Nec est cur vos otio vestro consultum ab Romanis credatis

Nulla magna civitas diu quiescere potest; si foris hostem non habet, domi invenit, ut praevalida corpora ab externis causis tuta videntur, suis ipsa viribus onerantur
Ad Asdrubale il Capro che lo rimbrottava perché rideva mentre tutti quanti piangevano, quando proprio lui era la causa di quelle lacrime, Annibale rispose: Se come noi vediamo l'aspetto del volto, così potessimo anche scorgere l'aspetto dell'anima, vi sarebbe facile accorgervi che questo mio riso, che tu mi rimproveri, non è espressione di un animo lieto, ma di un sentimento quasi delirante a causa delle sventure; tale sentimento, tuttavia, non è affatto inopportuno quanto lo sono queste vostre assurde ed inutili lacrime

Avreste dovuto piangere quando ci furono strappate le armi e incendiate le navi, quando ci fu proibito di far guerra contro stranieri; quella fu per noi la ferita mortale

Né dovete credere che i Romani abbiano avuto l'intenzione di preoccuparsi della vostra quiete

Nessuna grande città può a lungo mantenersi tranquilla; se non ha nemici esterni, li cerca in casa, così come avviene quando un corpo robustissimo che si sente sicuro contro l'ostilità di elementi esterni, si trova poi oppresso dall'eccesso delle sue stesse energie

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Sed tantum nimirum ex publicis malis sentimus quantum ad privatas res pertinet, nec in iis quicquam acrius quam pecuniae damnum stimulat

Itaque cum spolia victae Carthagini detrahebantur, cum inermem iam ac nudam destitui inter tot armatas gentes Africae cerneretis, nemo ingemuit: nunc quia tributum ex privato conferendum est, tamquam in publico funere comploratis

Quam vereor ne propediem sentiatis levissimo in malo vos hodie lacrimasse

' Haec Hannibal apud Carthaginienses

Scipio contione advocata Masinissam ad regnum paternum Cirta oppido et ceteris urbibus agrisque quae ex regno Syphacis in populi Romani potestatem venissent adiectis donavit
La verità è che noi siamo sensibili alle pubbliche sventure solo per quanto esse toccano la nostra vita privata e fra queste sventure private non v'è alcuna che più crudelmente ci tormenti quanto la perdita dei denaro

Pertanto, quando venivano strappate a Cartagine le conquiste della vittoria, quando voi potevate vedere che ormai era abbandonata inerme e spoglia in mezzo alle armi di tante genti dell'Africa, nessuno allora pianse: ora, invece, che si tratta di tirar fuori dai vostri patrimoni privati il denaro per pagare il tributo di guerra, voi vi mettete a piangere come se si trattasse del funerale della patria

Quanto grande è il mio timore che voi ben presto dobbiate constatare di aver pianto oggi per un male fin troppo lieve

Queste furono le parole rivolte da Annibale ai Cartaginesi

Scipione convocata l'assemblea, fece dono a Massinissa, oltre che del regno paterno, della fortezza di Cirta e delle altre città e territori che dal regno di Siface erano passati in potere dei popolo romano
Cn Octavium classem in Siciliam ductam Cn Cornelio consuli tradere iussit, legatos Carthaginiensium Romam proficisci ut quae ab se ex decem legatorum sen tentia acta essent ea patrum auctoritate populique iussu confirmarentur

[45] Pace terra marique parta, exercitu in naves imposito in Siciliam Lilybaeum traiecit

Inde magna parte militum navibus missa ipse per laetam pace non minus quam victoria Italiam effusis non urbibus modo ad habendos honores sed agrestium etiam turba obsidente vias Romam pervenit triumphoque omnium clarissimo urbem est invectus

Argenti tulit in aerarium pondo centum viginti tria milia

Militibus ex praeda quadringenos aeris divisit
Comandò, inoltre, a Cn Ottavio di condurre la flotta in Sicilia e di consegnarla al console Cn Cornelio; fece partire per Roma gli ambasciatori cartaginesi, perché quelle trattative che egli aveva concluso con la consulenza dei dieci delegati, fossero ratificate dall'autorità del senato e dalla volontà del popolo

[45] Conclusa la pace per terra e per mare, imbarcato l'esercito, Scipione passò in Sicilia, al Lilibeo

Di qui, dopo aver mandato avanti sulle navi gran parte dell'esercito, egli attraversò l'Italia piena di gioia per la pace non meno che per la vittoria, mentre non solo si accalcavano sulla via i cittadini dei centri urbani a rendergli onore, ma anche la folla dei cittadini; giunse così a Roma, dove entrò in città col trionfo più splendido che mai fosse stato

Recò al pubblico erario centoventitré libbre d'argento

Divise fra i soldati il bottino in ragione di quattrocento assi per ciascuno

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Uniamoorte subtractus spectaculo magis hominum quam triumphantis gloriae Syphax est, Tiburi haud ita multo ante mortuus, quo ab Alba traductus fuerat

Conspecta tamen mors eius fuit quia publico funere est elatus

Hunc regem in triumpho ductum Polybius, haudquaquam spernendus auctor, tradit

Secutus Scipionem triumphantem est pilleo capiti imposito Q Terentius Culleo, omnique deinde vita, ut dignum erat, libertatis auctorem coluit
Siface era stato dalla morte sottratto più agli occhi dei cittadini che alla gloria del trionfatore; egli, infatti, non molto tempo prima, era deceduto a Tivoli, dove era stato trasferito da Alba

La morte di Siface, tuttavia, fu nota a tutti perché egli fu portato alla sepoltura con pubblica cerimonia funebre

Polibio, storico di indubbio valore, racconta, invece, che quel re fu condotto al trionfo di Scipione

Q Terenzio Culleone, con il berretto di feltro sul capo, seguì Scipione trionfante; per tutto il resto della vita onorò, come si conveniva, colui che gli aveva dato la libertà
Africani cognomen militaris prius favor an popularis aura celebraverit an, sicuti Felicis Sullae Magnique Pompeii patrum memoria, coeptum ab adsentatione familiari sit parum compertum habeo; primus certe hic imperator nomine victae ab se gentis est nobilitatus; exemplo deinde huius nequaquam victoria pares insignes imaginum titulos claraque cognomina familiarum fecerunt Non posso affermare se il soprannome di Africano venne a Scipione prima dall'entusiasmo dei soldati o dal favor popolare; forse gli fu attribuito dall'ammirazione degli amici, come al tempo dei nostri avi il soprannome di Felice a Silla e di Magno a Pompeo; è certo, tuttavia, che questo generale fu il primo a trarre quel segno di nobiltà dal nome del popolo da lui vinto; in seguito, prendendo esempio da lui, altri, per nulla a lui pari per importanza di imprese vittoriose, si attribuirono iscrizioni celebrative per i loro ritratti e soprannomi gloriosi per le loro famiglie

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