Livio, Ab urbe condita: Libro 23; 01-10

Livio, Ab urbe condita: Libro 23; 01-10

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 23; 01-10

[1] Hannibal post Cannensem pugnam [castraque] capta ac direpta confestim ex Apulia in Samnium mouerat, accitus in Hirpinos a Statio [Trebio] pollicente se Compsam traditurum

Compsanus erat Trebius nobilis inter suos; sed premebat eum Mopsiorum factio, familiae per gratiam Romanorum potentis

Post famam Cannensis pugnae uolgatumque Trebi sermonibus aduentum Hannibalis cum Mopsiani urbe excessissent, sine certamine tradita urbs Poeno praesidiumque acceptum est

Ibi praeda omni atque impedimentis relictis, exercitu partito Magonem regionis eius urbes aut deficientes ab Romanis accipere aut detractantes cogere ad defectionem iubet, ipse per agrum Campanum mare inferum petit, oppugnaturus Neapolim, ut urbem maritimam haberet
1 Annibale dopo la battaglia di Canne, presi e distrutti gli accampamenti romani, aveva mosso subito le insegne dirigendosi dall'Apulia al Sannio, chiamato nella terra degli Irpini da Stazio Trebio, che gli prometteva di consegnargli la città di Compsa

Trebio era un cittadino di Compsa nobilissimo fra la sua gente, ma tenuto in freno dalla fazione dei Mopsii, famiglia potente perché godeva il favore dei Romani

Diffusasi la fama della battaglia di Canne e divulgata attraverso i discorsi di Trebio la notizia dell'arrivo di Annibale, essendo i Mopsiani usciti dalla città, questa, senza alcuna opposizione, fu consegnata al cartaginese che vi pose un presidio

Lasciati qui tutti i bagagli e tutta la preda, Annibale, diviso l'esercito, comandò a Magone di accogliere la resa di quelle città che abbandonavano l'alleanza romana e di costringere ad arrendersi quelle che si rifiutavano di disertare da Roma; egli stesso si diresse attraverso l'agro Campano verso il mare Inferiore, con l'intenzione di dare l'assalto a Napoli per poter disporre di un porto
Vbi fines Neapolitanorum intrauit, Numidas partim in insidiis, et pleraeque cauae sunt uiae sinusque occulti, quacumque apte poterat disposuit, alios prae se actam praedam ex agris ostentantes obequitare portis iussit

In quos, quia nec multi et incompositi uidebantur, cum turma equitum erupisset, ab cedentibus consulto tracta in insidias circumuenta est; nec euasisset quisquam, ni mare propinquum et haud procul litore naues, piscatoriae pleraeque, conspectae peritis nandi dedissent effugium

Aliquot tamen eo proelio nobiles iuuenes capti caesique, inter quos et Hegeas, praefectus equitum, intemperantius cedentes secutus cecidit

Ab urbe oppugnanda Poenum absterruere conspecta moenia haudquaquam prompta oppugnanti
Allorché entrò nel territorio napoletano, collocò parte dei Numidi in agguato nei punti più adatti poiché là parecchie erano le vie incassate e le grotte naturali, agli altri, invece, ordinò di muovere a cavallo verso le porte della città, facendo mostra dinanzi a sé della preda raccolta per i campi

Contro costoro, che apparivano poco numerosi e disordinati, uscì fuori impetuosamente lana torma di cavalieri romani che fu tratta in insidie e circondata dai Numidi che a bella posta si ritiravano; nessuno sarebbe scampato, se il mare vicino ed alcune imbarcazioni, la maggior parte di pescatori, che si scorgevano non lontano dalla spiaggia, non avessero dato rifugio a coloro che erano esperti del nuoto

Tuttavia, in quello scontro furono presi ed uccisi alcuni giovani nobili, tra i quali cadde il prefetto dei cavalieri Egea, che con troppo impeto aveva inseguito i nemici che si ritiravano

Annibale, dopo aver visto che le mura della città non erano per nulla facili ad essere scalate, rinunciò ad assalire Napoli
[2] Inde Capuam flectit iter, luxuriantem longa felicitate atque indulgentia fortunae, maxime tamen inter corrupta omnia licentia plebis sine modo libertatem exercentis

Senatum et sibi et plebi obnoxium Pacuuius Calauius fecerat, nobilis idem ac popularis homo, ceterum malis artibus nanctus opes

Is cum eo forte anno, quo res male gesta ad Trasumennum est, in summo magistratu esset, iam diu infestam senatui plebem ratus per occasionem nouandi res magnum ausuram facinus ut, si in ea loca Hannibal cum uictore exercitu uenisset, trucidato senatu traderet Capuam Poenis, improbus homo sed non ad extremum perditus, cum mallet incolumi quam euersa re publica dominari, nullam autem incolumem esse orbatam publico consilio crederet, rationem iniit qua et senatum seruaret et obnoxium sibi ac plebi faceret
2 Annibale ripiegò allora su Capua, città corrotta ad ogni piacere e per la sua prosperità e per il favore della sorte e massimamente per la dissolutezza della plebe che esercitava in modo sfrenato la libertà

Pacuvio Calavio, di famiglia nobile e ad un tempo amico del popolo, salito in potere con male arti, teneva sottomesso a sé ed alla plebe il senato

Costui, trovandosi per caso ad esercitare la somma magistratura proprio in quell'anno nel quale avvenne la sconfitta al lago Trasimeno, ritenne che la plebe da lungo tempo ostile al senato, alla prima occasione tentare un colpo di stato, avrebbe osato compiere anche un grave misfatto, trucidando i senatori pur di segnare Capua ai Cartaginesi; allora quell'uomo perfido, ma non giunto all'ultimo grado della corruzione, preferendo esercitare il dispotismo su di uno stato incincolume piuttosto che su di uno stato sconvolto e d'altra parte ben sapendo che nessuna città può essere tranquilla qualora sia priva del suo senato, adottò un espediente e per conservare il senato e per renderlo ligio a sé ed alla plebe

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Livio, Ab urbe condita: Libro 08, Parte 02
Livio, Ab urbe condita: Libro 08, Parte 02

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 08, Parte 02

Vocato senatu cum sibi defectionis ab Romanis consilium placiturum nullo modo, nisi necessarium fuisset, praefatus esset, quippe qui liberos ex Ap Claudi filia haberet filiamque Romam nuptum M Liuio dedisset

ceterum maiorem multo rem magisque timendam instare; non enim per defectionem ad tollendum ex ciuitate senatum plebem spectare sed per caedem senatus uacuam rem publicam tradere Hannibali ac Poenis uelle

eo se periculo posse liberare eos si permittant sibi et certaminum in re publica obliti credant, cum omnes uicti metu permitterent, claudam, inquit, in curia uos et, tamquam et ipse cogitati facinoris particeps, approbando consilia quibus nequiquam aduersarer uiam saluti uestrae inueniam

In hoc fidem, quam uoltis ipsi, accipite
Convocati i senatori cominciò a dire che egli non approvava affatto la proposta di abbandonare l'alleanza romana, dal momento che i suoi figli erano nati da una figlia di Appio Claudio e che sua figlia era andata sposa in Roma a M Livio

D'altra parte, sovrastava un evento molto più temibile: il fatto che la plebe non mirava solo a ribellarsi a Roma per togliere di mezzo dalla città il senato, ma aveva anche l'intenzione di consegnare ad Annibale ed ai Cartaginesi la città priva di difesa, dopo aver massacrato gli stessi senatori

A costoro Pacuvio assicurava che egli avrebbe potuto liberarli da quel pericolo, se si fossero affidati a lui in piena fiducia dimenticando i dissensi politici: Io vi chiuderò, disse, nella Curia ed io stesso, come fossi partecipe del progettato misfatto, approvandone il piano, che d'altra parte invano potrei ostacolare, troverò la via della vostra salvezza

A questo fine ricevete da me quella malleveria che voi stessi desiderate
Fide data egressus claudi curiam iubet praesidiumque in uestibulo relinquit ne quis adire curiam iniussu suo neue inde egredi possit

[3] Tum uocato ad contionem populo, quod saepe, inquit, optastis, Campani, ut supplicii sumendi uobis ex improbo ac detestabili senatu potestas esset, eam non per tumultum expugnantes domos singulorum, quas praesidiis clientium seruorumque tuentur, cum summo uestro periculo, sed tutam habetis ac liberam; clausos omnes in curia accipite, solos, inermes

Nec quicquam raptim aut forte temere egeritis; de singulorum capite uobis ius sententiae dicendae faciam, ut quas quisque meritus est poenas pendat

sed ante omnia ita uos irae indulgere oportet, ut potiorem ira salutem atque utilitatem uestram habeatis
Fatto il giuramento, Pacuvio, dopo esserne uscito, ordinò di chiudere la curia e lasciò un presidio a guardia del vestibolo, perché nessuno potesse entrare né uscire senza sua autorizzazione

3 Convocò allora il popolo in assemblea e disse: Quello che spesso voi desideraste, o Campani, di avere la possibilità di sottomettere a supplizio un senato malvagio ed abominevole, tale potere lo avete ora sicuro e libero in modo da non essere costretti ad assalire in tumulto le case dei singoli senatori, con grandissimo pericolo vostro, poiché esse sono difese dai presidi degli schiavi e dei clienti; li avete a vostra disposizione soli ed inermi, chiusi tutti nella Curia

Non fate nulla precipitosamente o senza riflettere; io darò a voi il diritto di pronunciare sentenza capitale contro ciascun senatore, perché ognuno secondo la sua colpa ne paghi il fio

Tuttavia, è soprattutto necessario che freniate la vostra ira, in modo che più che la collera abbiate in maggior conto la vostra salvezza e il vostro vantaggio

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Livio, Ab urbe condita: Libro 29; 21 - 24
Livio, Ab urbe condita: Libro 29; 21 - 24

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 29; 21 - 24

Etenim hos, ut opinor, odistis senatores, non senatum omnino habere non uoltis; quippe aut rex, quod abominandum, aut, quod unum liberae ciuitatis consilium est, senatus habendus est

Itaque duae res simul agendae uobis sunt, ut et ueterem senatum tollatis et nouum cooptetis

Citari singulos senatores iubebo de quorum capite uos consulam; quod de quoque censueritis fiet

sed prius in eius locum uirum fortem ac strenuum nouum senatorem cooptabitis quam de noxio supplicium sumatur

Inde consedit et nominibus in urnam coniectis citari quod primum sorte nomen excidit ipsumque e curia produci iussit

Vbi auditum est nomen, malum et improbum pro se quisque clamare et supplicio dignum

Tum Pacuuius: uideo quae de hoc sententia sit; date igitur pro malo atque improbo bonum senatorem et iustum
, infatti, opinione mia che voi abbiate in odio questi senatori, non che desideriate di non avere più un senato; infatti, in una città o vi è un re, cosa per noi detestabile, oppure è necessario avere un senato, che è la sola istituzione degna di una città libera

pertanto, due sono le cose che dovete fare contemporaneamente, cioè togliere di mezzo il vecchio senato ed eleggerne uno nuovo

Io farò chiamare ad uno ad uno i senatori e vi chiederò chi di loro sia degno di morte; sarà fatto ciò che voi per ciascuno avrete deciso

Tuttavia, prima che si eseguisca la sentenza di morte contro il reo, voi designerete al posto di quello un cittadino forte e valoroso come nuovo senatore

Detto questo, sedette e, gettati i nomi in un'urna, ordinò di chiamare il nome del primo sorteggiato e di condurlo fuori dalla Curia

Allorché fu udito il nome, ciascuno per conto suo lo proclamava malvagio, briccone e degno di morte

Allora Pacuvio: Prendo atto del vostro giudizio riguardo a costui; scegliete ora in luogo di questo malvagio e briccone un senatore retto e giusto
Primo silentium erat inopia potioris subiciundi; deinde cum aliquis omissa uerecundia quempiam nominasset, multo maior extemplo clamor oriebatur, cum alii negarent nosse, alii nunc probra, nunc humilitatem sordidamque inopiam et pudendae artis aut quaestus genus obicerent

Hoc multo magis in secundo ac tertio citato senatore est factum, ut ipsius paenitere homines appareret, quem autem in eius substituerent locum deesse, quia nec eosdem nominari attinebat, nihil aliud quam ad audienda probra nominatos, et multo humiliores obscurioresque ceteri erant eis qui primi memoriae occurrebant

Ita dilabi homines, notissimum quodque malum maxime tolerabile dicentes esse iubentesque senatum ex custodia dimitti
Dapprima vi fu silenzio per la difficoltà di trovare una persona migliore da sostituire; poi, qualcuno, superando la timidezza, fece un nome; allora sorse subito un clamore molto più grande, poiché, mentre alcuni dicevano di non conoscere quella persona, altri, invece, l'accusavano o di azioni disoneste o di bassa condizione, o di trarre guadagni da un mestiere indegno di un senatore

Ciò avvenne ancor più riguardo al secondo e al terzo nome sorteggiati, in modo che appariva chiaro che la gente era, sì, scontenta dell'antico senatore, ma che poi non ne aveva alcuno da sostituirgli; non era possibile, infatti, nominare quegli stessi senatori, il cui nome sorteggiato a null'altro aveva portato che ad udire cose infamanti e, d'altra parte, coloro, i cui nomi per primi erano stati proposti per la sostituzione, apparivano di condizione molto più vile e molto più oscura degli altri

Così la gente cominciò a sbandarsi dicendo che era tanto più tollerabile un male quanto più era conosciuto; fu perciò richiesto che i senatori fossero liberati dalla sorveglianza

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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 04, 58-61

[4] Hoc modo Pacuuius cum obnoxium uitae beneficio senatum multo sibi magis quam plebi fecisset, sine armis iam omnibus concedentibus dominabatur

Hinc senatores omissa dignitatis libertatisque memoria plebem adulari; salutare, benigne inuitare, apparatis accipere epulis, eas causas suscipere, ei semper parti adesse, secundum eam litem iudices dare quae magis popularis aptiorque in uolgus fauori conciliando esset; iam uero nihil in senatu agi aliter quam si plebis ibi esset concilium

Prona semper ciuitas in luxuriam non ingeniorum modo uitio sed afluenti copia uoluptatium et illecebris omnis amoenitatis maritimae terrestrisque, tum uero ita obsequio principum et licentia plebei lasciuire ut nec libidini nec sumptibus modus esset
4 In tal modo Pacuvio con il beneficio della vita avendo reso il senato molto più obbligato a sé che alla plebe, senz'armi e senza trovare più opposizione in alcuno, aveva raggiunto il potere

Da questo momento i senatori, dimenticato ogni sentimento di dignità e di libertà, cominciarono ad adulare i plebei: a salutarli, ad invitarli benevolmente, ad accoglierli in banchetti sontuosi; patrocinavano le loro cause, sempre favorivano la loro parte, assegnavano giudici benevoli a quella sentenza che fosse più accetta al popolo e più atta a conciliare il favore del volgo; né, in verità, nulla il senato deliberava diversamente da quello che avrebbe fatto un'adunanza della plebe

I cittadini di Capua erano sempre stati inclini all'amore dei piaceri, non solo per indole viziosa, ma per la grande abbondanza di divertimenti e per le attrattive di tutte le bellezze naturali del mare e della terra; ora, poi, per la condiscendenza degli aristocratici verso il popolo e per la licenziosità di questo, avevano cominciato ad abbandonarsi alla sfrenatezza, in modo che non vi era più limite né alle spese né ai piaceri
Ad contemptum legum, magistratuum, senatus accessit tum, post Cannensem cladem, ut, cuius aliqua uerecundia erat, Romanum quoque spernerent imperium

Id modo erat in mora ne extemplo deficerent, quod conubium uetustum multas familias claras ac potentes Romanis miscuerat, et, quod maximum uinculum erat, trecenti equites, nobilissimus quisque Campanorum, cum militarent aliquando apud Romanos in praesidia Sicularum urbium delecti ab Romanis ac missi

[5] Horum parentes cognatique aegre peruicerunt ut legati ad consulem Romanum mitterentur

Ii nondum Canusium profectum sed Venusiae cum paucis ac semiermibus consulem inuenerunt, quam poterant maxime miserabilem bonis sociis, superbis atque infidelibus, ut erant Campani, spernendum
Allo spregio delle leggi e dell'autorità dei senato, si aggiunse, dopo la battaglia di Canne, il fatto che i Campani cominciarono a disprezzare anche il dominio di Roma, verso il quale v'era stato pur sempre un certo rispetto

Tale rispetto impediva l'immediata defezione, perché antichi legami di parentela avevano mescolato ai Romani molte illustri e potenti famiglie, un vincolo ancor più grande era costituito dal fatto che molti militavano nell'esercito romano, soprattutto trecento cavalieri, i più nobili cittadini campani che erano stati scelti e mandati dai Romani a presidiare le città della Sicilia

5A stento i genitori e i parenti di quei cavalieri riuscirono ad ottenere che fossero mandati ambasciatori al console romano

Costoro trovarono che il console, non ancora partito per Canosa, stava in Venosa con pochi soldati male armati, degno della maggior commiserazione per alleati fedeli; oggetto di spregio, invece, per alleati infidi ed arroganti, come erano i Campani

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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 25; 21-30

Et auxit rerum suarum suique contemptum consul nimis detegendo cladem nudandoque

Nam cum legati aegre ferre senatum populumque Campanum aduersi quicquam euenisse Romanis nuntiassent pollicerenturque omnia quae ad bellum opus essent, morem magis, inquit, loquendi cum sociis seruastis, Campani, iubentes quae opus essent ad bellum imperare, quam conuenienter ad praesentem fortunae nostrae statum locuti estis

Quid enim nobis ad Cannas relictum est ut, quasi aliquid habeamus, id quod deest expleri ab sociis uelimus

Pedites uobis imperemus tamquam equites habeamus

Pecuniam deesse dicamus tamquam ea tantum desit

Nihil, ne quod suppleremus quidem, nobis reliquit fortuna
D'altra parte, il console stesso si fece ancor più degno di disprezzo per sé e per le proprie cose, mettendo a nudo e rivelando in modo esagerato la propria sconfitta

Infatti, quando i messi gli comunicarono che il senato e il popolo campano erano dolenti per quanto di funesto era accaduto ai Romani e gli promisero tutto quanto fosse necessario alla guerra, il console rispose: Voi, o Campani, invitandoci a sollecitare da voi quello che sarebbe necessario alla guerra, avete tenuto un linguaggio più adatto ad alleati, ma non avete certo parlato in modo conforme allo stato presente della nostra situazione

Che cosa, infatti, ci fu lasciato a Canne, in modo che, essendoci rimasto qualche cosa, i nostri alleati possano sostituire ciò che manca

Dovremmo forse chiedervi dei soldati di fanteria, come se avessimo della cavalleria

Potremmo dichiarare di essere senza denaro, come se ci mancasse soltanto quello

Nulla la sorte ci ha lasciato che possiamo integrare

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