Livio, Ab urbe condita: Libro 04, 01- 03

Livio, Ab urbe condita: Libro 04, 01- 03

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 04, 01- 03
Hos secuti M Genucius et C Curtius consules

Fuit annus domi forisque infestus

Nam principio et de conubio patrum et plebis C Canuleius tribunus plebis rogationem promulgavit, qua contaminari sanguinem suum patres confundique iura gentium rebantur, et mentio primo sensim inlata a tribunis ut alterum ex plebe consulem liceret fieri, eo processit deinde ut rogationem novem tribuni promulgarent, ut populo potestas esset, seu de plebe seu de patribus vellet, consules faciendi

Id vero si fieret, non volgari modo cum infimis, sed prorsus auferri a primoribus ad plebem summum imperium credebant
A questi uomini successero i consoli Marco Genucio e Gaio Curzio

Fu un anno difficile, sia in patria sia fuori

Infatti, all'inizio dell'anno, il tribuno della plebe Gaio Canuleio presentò una proposta di legge sul matrimonio tra patrizi e plebei, con la quale i patrizi pensavano si contaminasse il loro sangue e si sovvertissero i diritti gentilizi; inoltre, fu suggerita - prima molto cautamente da parte dei tribuni - un'altra proposta in base alla quale sarebbe stato lecito che uno dei consoli fosse di estrazione plebea; ma la cosa prese in séguito una tale consistenza da spingere ben nove tribuni a presentare una proposta di legge che garantiva al popolo la facoltà di nominare i consoli scegliendoli sia fra la plebe, sia tra i patrizi

E questi ultimi credevano che, se ciò fosse accaduto, non solo alla più alta carica avrebbero avuto accesso i più infimi, ma essa sarebbe stata del tutto tolta agli aristocratici per affidarla ai plebei
Laeti ergo audiere patres Ardeatium populum ob iniuriam agri abiudicati descisse, et Veientes depopulatos extrema agri Romani, et Volscos Aequosque ob communitam verruginem fremere; adeo vel infelix bellum ignominiosae paci praeferebant

His itaque in maius etiam acceptis, ut inter strepitum tot bellorum conticescerent actiones tribuniciae, dilectus haberi, bellum armaque vi summa apparari iubent, si quo intentius possit quam T Quinctio consule apparatum sit

Tum C Canuleius, pauca in senatu vociferatus, nequiquam territando consules auertere plebem a cura novarum legum, nunquam eos se vivo dilectum habituros, antequam ea quae promulgata ab se collegisque essent plebes sciuisset, confestim ad contionem advocavit
Perciò fu per i patrizi un grande sollievo sentire che il popolo di Ardea si era ribellato per l'infamia con la quale gli era stata portata via la terra, che i Veienti avevano messo a ferro e fuoco le campagne alla frontiera romana e che Volsci ed Equi stavano fremendo per la fortezza di Verrugine: i patrizi preferivano una guerra dall'esito magari funesto a una pace vergognosa

Perciò, esagerando ancor più queste notizie - per far cessare, nell'agitazione di tante guerre, le iniziative dei tribuni -, ordinano di organizzare le leve e di preparare la guerra e le armi, con il massimo impegno e, se possibile, con ancor maggiore sollecitudine di quella con cui erano state preparate sotto il console Tito Quinzio

Allora Gaio Canuleio, in poche frasi, dice ai senatori che i consoli, continuando a spaventare senza motivo, non sarebbero riusciti, né a distogliere la plebe dal pensiero delle nuove leggi, né a realizzare, finché lui era vivo, la leva militare, almeno non prima che la plebe avesse espresso il proprio voto sulle proposte di legge presentate da lui e dai suoi colleghi; detto questo, convocò súbito l'assemblea
Eodem tempore et consules senatum in tribunum et tribunus populum in consules incitabat

Negabant consules iam ultra ferri posse furores tribunicios; ventum iam ad finem esse; domi plus belli concitari quam foris

Id adeo non plebis quam patrum neque tribunorum magis quam consulum culpa accidere

Cuius rei praemium sit in civitate, eam maximis semper auctibus crescere; sic pace bonos, sic bello fieri

Maximum Romae praemium seditionum esse; ideo singulis universisque semper honori fuisse

Reminiscerentur quam maiestatem senatus ipsi a patribus accepissent, quam liberis tradituri essent, vel quem ad modum plebs gloriari posset auctiorem amplioremque esse

Finem ergo non fieri nec futuram donec quam felices seditiones tam honorati seditionum auctores essent
Nello stesso tempo i consoli istigavano il senato contro il tribuno, e il tribuno il popolo contro i consoli

Questi ultimi sostenevano che non era possibile tollerare più a lungo i colpi di testa dei tribuni: si era ormai arrivati a toccare il limite estremo e c'erano più focolai di guerra all'interno della città che all'esterno

E se adesso le cose stavano così, la colpa era tanto della plebe quanto del patriziato e tanto dei tribuni quanto dei consoli

In ogni paese si sviluppa col massimo incremento ciò che viene ricompensato: così, sia in pace che in guerra, si formano i buoni cittadini

Ma a Roma ciò che aveva maggiore successo erano le sedizioni: da sempre esse tornavano ad onore sia dei singoli che della moltitudine

Che ricordassero la maestà del senato quale l'avevano ricevuta dai loro padri e quale l'avrebbero consegnata ai figli, e come invece la plebe potesse vantarsi di aver accresciuto la propria autorità e importanza

Né si intravedeva una fine a questo, nemmeno per il futuro, finché le sedizioni avessero continuato ad aver fortuna e i loro autori avessero continuato a ricevere tanti riconoscimenti

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Livio, Ab urbe condita: Libro 30; 13 - 14
Livio, Ab urbe condita: Libro 30; 13 - 14

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 30; 13 - 14

Quas quantasque res C Canuleium adgressum

Conluvionem gentium, perturbationem auspiciorum publicorum privatorumque adferre, ne quid sinceri, ne quid incontaminati sit, ut discrimine omni sublato nec se quisquam nec suos noverit

Quam enim aliam vim conubia promiscua habere nisi ut ferarum prope ritu volgentur concubitus plebis patrumque

Ut qui natus sit ignoret, cuius sanguinis, quorum sacrorum sit; dimidius patrum sit, dimidius plebis, ne secum quidem ipse concors

Parum id videri quod omnia divina humanaque turbentur: iam ad consulatum volgi turbatores accingi

Et primo ut alter consul ex plebe fieret, id modo sermonibus temptasse; nunc rogari ut seu ex patribus seu ex plebe velit populus consules creet
Quali iniziative aveva preso Gaio Canuleio, e quanto importanti

Cercava di mescolare il sangue delle famiglie aristocratiche, di creare confusione negli auspici pubblici e privati, perché niente di puro, niente di incontaminato si salvasse, così che, soppressa ogni distinzione, nessuno potesse essere in grado di riconoscere se stesso e i suoi

Perché quale altro effetto possono avere i matrimoni misti, se non la diffusione di accoppiamenti, come tra animali, di patrizi e plebei

Così i figli nascendo non avrebbero saputo qual era il loro sangue, quale il loro culto; sarebbero stati per metà patrizi e per metà plebei, senza trovare accordo neppure dentro di loro

Ma che fosse completamente sconvolto l'ordine delle cose divine e di quelle umane sembrava ancora poco: i sobillatori del volgo puntavano già al consolato

E mentre in un primo tempo avevano cercato di ottenere solo coi discorsi che uno dei consoli fosse plebeo, ora presentavano la proposta che fosse il popolo a eleggere, a suo piacimento, i consoli tra i patrizi o tra i plebei
Et creaturos haud dubie ex plebe seditiosissimum quemque; Canuleios igitur Iciliosque consules fore

Ne id Iuppiter optimus maximus sineret regiae maiestatis imperium eo recidere; et se miliens morituros potius quam ut tantum dedecoris admitti patiantur

Certum habere maiores quoque, si divinassent concedendo omnia non mitiorem in se plebem, sed asperiorem alia ex aliis iniquiora postulando cum prima impetrasset futuram, primo quamlibet dimicationem subituros fuisse potius quam eas leges sibi imponi paterentur

Quia tum concessum sit de tribunis, iterum concessum esse; finem non fieri posse si in eadem civitate tribuni plebis et patres essent; aut hunc ordinem aut illum magistratum tollendum esse, potiusque sero quam nunquam obviam eundum audaciae temeritatique
E senza dubbio avrebbero sempre eletto tra la plebe i più facinorosi: dunque sarebbero diventati consoli dei Canulei e degli Icili

Ma Giove Ottimo Massimo non avrebbe permesso che una carica investita di regale maestà cadesse così in basso; essi sarebbero morti mille volte piuttosto di tollerare che si commettesse una simile infamia

Erano sicurissimi che anche i loro antenati, se avessero potuto prevedere che, assecondando ogni richiesta della plebe, l'avrebbero resa non più mite ma solo più dura, e che alle prime concessioni avrebbero fatto séguito nuove e sempre più ingiuste pretese, all'inizio avrebbero accettato di affrontare qualsiasi scontro piuttosto che subire l'imposizione di quelle leggi

Ma siccome avevano ceduto allora sulla questione dei tribuni, si dovette cedere altre volte; i cedimenti non potevano aver fine se nella stessa città continuavano a coesistere tribuni della plebe e patrizi: bisognava eliminare quella classe o quella magistratura; bisognava opporsi - meglio tardi che mai - all'arroganza e alla temerarietà

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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 04, 48-52

Illine ut impune primo discordias serentes concitent finitima bella, deinde adversus ea quae concitaverint armari civitatem defendique prohibeant, et cum hostes tantum non arcessierint, exercitus conscribi adversus hostes non patiantur, sed audeat Canuleius in senatu proloqui se nisi suas leges tamquam victoris patres accipi sinant dilectum haberi prohibiturum

Quid esse aliud quam minari se proditurum patriam, oppugnari atque capi passurum

Quid eam vocem animorum, non plebi Romanae, sed Volscis et Aequis et Veientibus allaturam

Nonne Canuleio duce se speraturos Capitolium atque arcem scandere posse
Com'era possibile che, dopo aver fatto scoppiare le guerre con i vicini a forza di seminare zizzania, avessero poi impedito alla città di armarsi per difendersi dalle guerre che loro avevano fatto scoppiare; o ancora che, dopo aver quasi invitato i nemici, in séguito non avessero permesso che si arruolassero gli eserciti per affrontarli; e che Canuleio fosse così sfrontato da dichiarare in senato che se i patrizi avessero impedito l'approvazione delle leggi da lui proposte, come se fossero quelle di un trionfatore, avrebbe impedito la realizzazione della leva militare

Cos'altro era quella se non la minaccia di tradire il proprio paese, accettando che subisse un attacco e finisse in mani nemiche

Quelle parole sì sarebbero state un bell'incoraggiamento, ma non per la plebe, per Volsci, Equi e Veienti

Non avrebbero forse sperato di salire fino sul Campidoglio e sulla cittadella con Canuleio alla testa
Nisi patribus tribuni cum iure ac maiestate adempta animos etiam eripuerint, consules paratos esse duces prius adversus scelus civium quam adversus hostium arma

Cum maxime haec in senatu agerentur, Canuleius pro legibus suis et adversus consules ita disseruit: 'Quanto opere vos, Quirites, contemnerent patres, quam indignos ducerent qui una secum urbe intra eadem moenia viveretis, saepe equidem et ante videor animadvertisse, nunc tamen maxime quod adeo atroces in has rogationes nostras coorti sunt, quibus quid aliud quam admonemus ciues nos eorum esse et, si non easdem opes habere, eandem tamen patriam incolere
Se insieme ai diritti e alla dignità i tribuni non avevano sottratto ai patrizi anche il coraggio, allora i consoli erano pronti a guidare la lotta contro le scelleratezze dei concittadini, prima ancora che contro le armi dei nemici

Proprio mentre in senato era in pieno svolgimento il dibattito su questi temi, Canuleio pronunciò questo discorso in difesa delle sue proposte di legge e contro i consoli: Quanto i patrizi vi odino, o Quiriti, e come vi considerino indegni di vivere accanto a loro all'interno delle mura di una stessa città, a esser sincero mi sembra di averlo già rilevato più volte in passato; e ora più che mai, poiché i patrizi dimostrano un livore senza precedenti nei confronti delle nostre proposte di legge; ma noi cosa facciamo con esse se non avvertirli che siamo loro concittadini e che, pur non avendo pari ricchezze, abitiamo nella medesima patria

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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 05, 21-25

Altera conubium petimus, quod finitimis externisque dari solet; nos quidem civitatem, quae plus quam conubium est, hostibus etiam victis dedimus;-altera nihil novi ferimus, sed id quod populi est repetimus atque usurpamus, ut quibus velit populus Romanus honores mandet

Quid tandem est cur caelum ac terras misceant

Cur in me impetus modo paene in senatu sit factus

Negent se manibus temperaturos, violaturosque denuntient sacrosanctam potestatem

Si populo Romano liberum suffragium datur, ut quibus velit consulatum mandet, et non praeciditur spes plebeio quoque, si dignus summo honore erit, apiscendi summi honoris, stare urbs haec non poterit

De imperio actum est

Et perinde hoc valet, plebeiusne consul fiat, tamquam seruum aut libertinum aliquis consulem futurum dicat
Con uno dei provvedimenti chiediamo il diritto a quel matrimonio che si suole concedere ai popoli confinanti e agli stranieri; noi abbiamo assicurato anche ai nemici vinti la cittadinanza, che è ben più del diritto al matrimonio; con il secondo non chiediamo nulla di nuovo, ma ci limitiamo a esigere e rivendicare un diritto del popolo, e cioè che il popolo romano possa eleggere i candidati che preferisce

Ma allora per quali ragioni i patrizi hanno deciso di mettere sottosopra cielo e terra

E perché mai poco fa io sono stato quasi assalito in senato

Perché hanno dichiarato di non voler limitare il ricorso alla forza, minacciando di violare la nostra sacrosanta autorità

Se al popolo romano fosse garantita la libertà di voto, così che possa affidare il consolato a chi desidera, e se anche il plebeo non fosse privato della speranza di assurgere ai massimi onori - qualora ne fosse degno -, credete che la stabilità di questo nostro paese risulterebbe compromessa

la fine per lo Stato romano

Che un plebeo possa diventare console, equivale forse a dire che un console diventerà un liberto o un servo
Ecquid sentitis in quanto contemptu vivatis

Lucis vobis huius partem, si liceat, adimant

Quod spiratis, quod vocem mittitis, quod formas hominum habetis, indignantur; quin etiam, si dis placet, nefas aiunt esse consulem plebeium fieri

Obsecro vos, si non ad fastos, non ad commentarios pontificum admittimur, ne ea quidem scimus quae omnes peregrini etiam sciunt, consules in locum regum successisse nec aut iuris aut maiestatis quicquam habere quod non in regibus ante fuerit

En unquam creditis fando auditum esse, Numam Pompilium, non modo non patricium sed ne ciuem quidem Romanum, ex Sabino agro accitum, populi iussu, patribus auctoribus Romae regnasse

L deinde Tarquinium, non Romanae modo sed ne Italicae quidem gentis, Demarati Corinthii filium, incolam ab Tarquiniis, vivis liberis Anci, regem factum
Ma vi rendete conto in mezzo a quanto disprezzo vivete

Se solo potessero, vi porterebbero via anche parte della luce del giorno

Non sopportano che respiriate, che parliate e che abbiate forma umana, e arrivano - pensate un po'; a definire sacrilega l'elezione di un console plebeo

Ora, ditemi, anche se noi del popolo non siamo ammessi alla consultazione dei Fasti e dei libri tenuti dai pontefici, forse per questo ignoriamo quello che anche gli stranieri sanno, e cioè che i consoli presero il posto dei re e che non hanno alcun diritto o autorità che non siano già stati dei re

Pensate che nessuno abbia sentito parlare di Numa Pompilio, che, pur non essendo patrizio e nemmeno cittadino romano, fu chiamato dalle campagne della Sabina per volontà del popolo e regnò su Roma col beneplacito dell'aristocrazia

Oppure che in séguito Lucio Tarquinio, il quale non apparteneva a una stirpe romana né italica, figlio di Demarato di Corinto e immigrato da Tarquinia, fu eletto re, anche se i figli di Anco erano ancora vivi

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Servium Tullium post hunc, captiua Corniculana natum, patre nullo, matre serua, ingenio, virtute regnum tenuisse

Quid enim de T Tatio Sabino dicam, quem ipse Romulus, parens urbis, in societatem regni accepit

Ergo dum nullum fastiditur genus in quo eniteret virtus, creuit imperium Romanum

Paeniteat nunc vos plebeii consulis, cum maiores nostri advenas reges non fastidierint, et ne regibus quidem exactis clausa urbs fuerit peregrinae virtuti

Claudiam certe gentem post reges exactos ex Sabinis non in civitatem modo accepimus sed etiam in patriciorum numerum

Ex peregrinone patricius, deinde consul fiat, civis Romanus si sit ex plebe, praecisa consulatus spes erit
O che dopo di lui Servio Tullio, figlio di una prigioniera di Cornicolo, di padre ignoto e con una schiava per madre, riuscì a reggere il regno grazie soltanto al suo ingegno e al suo valore

Per non parlare di Tito Tazio, associato al potere da Romolo in persona, il padre di questa città

Quando non si disdegnava alcuna stirpe nella quale brillasse qualche virtù, la potenza di Roma continuò a crescere

E ora non dovrebbe andarvi a genio un console plebeo, quando i nostri antenati non rifiutarono re venuti da fuori e neppure dopo la cacciata dei re la città chiuse le porte alla virtù straniera

Prendete la famiglia Claudia che veniva dai Sabini: dopo la cacciata dei re, non solo l'abbiamo accolta in città, ma l'abbiamo anche inclusa nel novero dei patrizi

Dunque uno straniero può diventare prima patrizio e poi console, e invece un cittadino romano, se proviene dalla plebe, sarà privato della speranza di arrivare al consolato

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