La crocifissione nella Gerusalemme romana

la crocifissione nella Gerusalemme romana

Chiunque fosse cresciuto nella Palestina del I secolo conosceva l'orrore di questa punizione, per esperienza e osservazione diretta. Le sventurate vittime, lasciate sulle croci per giorni, anche dopo la morte, erano una visione abituale per la popolazione

Giuseppe Flavio riferisce che durante l'assedio romano di Gerusalemme, nell'Estate del 70 d.C. il numero dei prigionieri crocifissi fu mediamente di cinquecento al giorno. Erano così tanti che non era rimasta più legna nell'area, perché tutti gli alberi erano stati tagliati per farne le croci.

Conosciamo qualcosa sui metodi impiegati dai romani nel crocifiggere le loro vittime. Non disponiamo solo di fonti letterarie. Nel 1968 fu scoperto lo scheletro di un giustiziato in quel modo in una tomba proprio a nord di Gerusalemme, non lontano dalla strada che conduce a Nablus. Era stato ucciso a 20 anni, il suo nome: Elioenai, era scritto nell'urna. I suoi resti ci consentono uno sguardo sorprendente su come era praticata la crocifissione nella Gerusalemme romana del I secolo

Sappiamo che i chiodi venivano conficcati non nelle mani, ma nell'osso lungo dell'avambraccio. In quel modo le braccia erano fermamente attaccate al patibulum. Le ossa radiali di Elioenai erano state segnate dalla frizione del chiodo con l'osso. I fisiologi hanno dimostrato che i chiodi conficcati nelle mani non bastano a sostenere il peso del corpo, e i chiodi ai polsi avrebbero rotto i vasi sanguigni. La "scienza" della crocifissione richiedeva che i chiodi fossero applicati in modo da non provocare il dissanguamento, altrimenti la vittima avrebbe perso i sensi rapidamente e sarebbe morta nel giro di pochi minuti, soffrendo meno.

I piedi erano inchiodati all'osso del calcagno. E' l'osso più grande del piede. Come avviene per l'avambraccio, perforare quest'osso non causa un dissanguamento diffuso. Nel caso di Elioenai il chiodo è rimasto ancora intatto all'interno del calcagno. Quando il suo corpo fu staccato dalla croce, il chiodo si era curvato nel legno, in una sorta di nodo. Chi lo rimosse, trovò più comodo spezzare il legno, lasciandone un tassello con chiodo ancora attaccato al piede

osso del calagno con chiodo della crocifissione e modello ricostruito osso del calagno con chiodo della crocifissione e modello ricostruito

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La morte per crocifissione era un processo lento; poteva richiedere anche due o tre giorni. Le vittime venivano denudate ed esposte al bruciante Sole del Mediterraneo. La morte era il risultato do una combinazione:

  • inevitabile shock
  • sfinimento
  • crampi muscolari
  • disidratazione
  • perdita di sangue
  • soffocamento o infarto cardiaco

A seconda dell'angolazione con la quale le braccia e i piedi venivano inchiodati, la morte poteva essere resa più rapida oppure più lenta a venire. Il corpo era sostenuto da un pezzo di legno chiamato sedecula. A mano a mano che scorrevano i minuti, quando lo sfinimento prendeva il sopravvento, respirare diventava sempre più difficile. Se c'era in qualche motivo per affrontare la morte, le gambe della vittima potevano essere spezzate. Quest'ultima efferatezza provocava il cedimento del corpo e in pochi minuti il respiro diventava impossibile

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