Gellio, Notti attiche: Liber 13, 21-24, pag 2

Gellio, Notti attiche: Liber 13, 21-24

Latino: dall'autore Gellio, opera Notti attiche parte Liber 13, 21-24
[VII] Neque in ea significatione id apud quemquam alium scriptum lego gravioris dumtaxat auctoritatis scriptorem; sed, ut dixi, "crepidas" et "crepidulas" prima syllaba correpta id genus calciamentum appellaverunt, quod Graeci krepidas vocant, eiusque calciamenti sutores "crepidarios" dixerunt

[VIII] Sempronius Asellio in libro rerum gestarum XIV: "Crepidarium" inquit "cultellum rogavit a crepidario sutore"

[XXIII]





[I] Conprecationes deum inmortalium, quae ritu Romano fiunt, expositae sunt in libris sacerdotum populi Romani et in plerisque antiquis orationibus

[II] In his scriptum est: "Luam Saturni, Salaciam Neptuni, Horam Quirini, Virites Quirini, Maiam Volcani, Heriem Iunonis, Moles Martis Nerienemque Martis"

[III] Ex quibus id, quod postremum posui, sic plerosque dicere audio, ut primam in eo syllabam producant, quo Graeci modo dicunt Nereidas
[VII] Né leggo ciò scritto nello stesso significato in qualche altro scrittore almeno di più notevole autorità; ma, come ho detto, "crepidas" e "crepidulas" con la prima sillaba abbreviata chiamarono quel tipo di calzatura, che i Greci chiamano krepidas, e chiamarono "crepidarios" i fabbricanti di questa calzatura

[VIII] Sempronio Asellio nel 14° libro delle imprese dice: "Chiese al fabbricante calzolaio il coltello da calzatura"

[XXIII]





[I] Le preghiere degli dei immortali, che avvengono con rito romano, furono riportate nei libri dei sacerdoti del popolo romano e in numerose antiche preghiere

[II] In esse fu scritto: "Lua di Saturno, Salacia di Nettuno, Hora di Quirino, Virites di Quirino, Maia di Vulcano, Heries di Giunone, Moles di Marte e Nerio di Marte"

[III] Di queste sento che i più così pronunciano quella, che ho inserito per ultima, cosicché allungano in essa la prima sillaba, nel modo in cui i Greci dicono Nereidi
Sed qui proprie locuti sunt, primam correptam dixerunt, tertiam produxerunt

[IV] Est enim rectus casus eius vocabuli, sicut in libris veterum scriptum est, "Nerio", quamquam M

Varro in satura Menippea, quae inscribitur Skiomachia, non "Nerio", sed "Nerienes" vocative dicit in his versibus: te Anna ac Peranna, Panda Cela, te Pales, Nerienes et Minerva, Fortuna ac Ceres

[V] Ex quo nominandi quoque casum eundem fieri necessum est

Sed Nerio a veteribus sic declinabatur quasi Anio: [VI] nam perinde ut "Anienem", sic "Nerienem" dixerunt tertia syllaba producta

[VII] Id autem, sive "Nerio" sive "Nerienes" est, Sabinum verbum est, eoque significatur virtus et fortitudo

[VIII] Itaque ex Claudiis, quos a Sabinis oriundos accepimus, qui erat egregia atque praestanti fortitudine, "Nero" appellatus est
Ma quelli che parlarono correttamente, pronunciarono breve la prima, allungarono la terza

[IV] Infatti il caso retto di questa parola, come fu scritto nei libri degli antichi, è "Nerio", sebbene M

Varrone in una satira menippea, che è intitolata Battaglia delle ombre, non dice "Nerio", ma "Nerienes" col vocativo in questi versi: "o tu Anna e Peranna, Panda Cela, o tu Pales, Neriene e Minerva, Fortuna e Cerere

[V] Da cui è evidente che anche il caso del nominativo diventa uguale

Ma Nerio dagli antichi era pronunciato così, come Anio: [VI] infatti dunque come dissero "Aniene", così "Neriene" con la terza sillaba allungata

[VII] questa poi, o c'è "Nerio" o "Nerienes", è una parola sabina, ed con essa s'indica il valore e il coraggio

[VII] Pertanto fra i Claudii, che abbiamo saputo originari dai Sabini, chi era di notevole e valoroso coraggio, fu chiamato "Nero"
[IX] Sed id Sabini accepisse a Graecis videntur, qui vincula et firmamenta membrorum neura dicunt, unde nos quoque Latine "nervos" appellamus

[X] Nerio igitur Martis vis et potentia et maiestas quaedam esse Martis demonstratur

[XI] Plautus autem in Truculento coniugem esse Nerienem Martis dicit, atque id sub persona militis in hoc versu: Mars peregre adveniens salutat Nerienem uxorem suam

[XII] Super ea re audivi non incelebrem hominem dicere nimis comice Plautum inperito et incondito militi falsam novamque opinionem tribuisse, ut Nerienem coniugem esse Martis putaret

[XIII] Sed id perite magis quam comice dictum intelleget, qui leget Cn

Gellii annalem tertium, in quo scriptum est Hersiliam, cum apud T
[IX] Ma i Sabini sembrano averlo appreso dai Greci, che chiamano neura i legami e i sostegni delle membra, da cui anche noi latini diciamo "nervi"

[X] Nerio dunque si dimostra essere la forza di Marte sia la potenza e una certa maestà di Marte

[XI] Inoltre Plauto nel Truculento dice che Neriene è la sposa di Marte, e ciò sotto l'aspetto di un soldato in questo verso: Marte venendo da lontano saluta la sua sposa Neriene

[XII] Su questo argomento ho sentito dire che una persona non sprovveduta diceva che Plauto troppo ironicamente aveva attribuito ad un soldato ignorante e rozzo una falsa e strana notizia, cosicché pensasse che Neriene fosse la sposa di Marte

[XIII] Ma capirà che ciò fu detto consapevolmente più che ironicamente, chi legge il terzo libro degli annali di Cn

Gellio, in cui fu scritto che Ersilia, pronunciando discorsi presso T

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Gellio, Notti attiche: Liber 9, 4-6
Gellio, Notti attiche: Liber 9, 4-6

Latino: dall'autore Gellio, opera Notti attiche parte Liber 9, 4-6

Tatium verba faceret pacemque oraret, ita precatam esse: "Neria Martis, te obsecro, pacem da, te uti liceat nuptiis propriis et prosperis uti, quod de tui coniugis consilio contigit, uti nos itidem integras raperent, unde liberos sibi et suis, posteros patriae pararent"

[XIV] "De tui" inquit "coniugis consilio" Martem scilicet significans; per quod apparet non esse id poetice a Plauto dictum, sed eam quoque traditionem fuisse, ut Nerio a quibusdam uxor esse Martis diceretur

[XV] Inibi autem animadvertendum est, quod Gellius "Neria" dicit per "a" litteram, non "Nerio" neque "Nerienes"

[XVI] Praeter Plautum etiam praeterque Gellium Licinius Imbrex, vietus comoediarum scriptor, in fabula, quae Neaera inscripta est, ita scripsit: nolo ego Neaeram te vocent, set Nerienem, cum quidem Mavorti es in conubium data
Tazio e chiedendo la pace, così pregava: "Neria di Marte, ti prego, concedi la pace, sia lecito godere di te e godere di nozze sicure e felici, poiché riguardò la decisione del tuo sposo, cosicché ci rapissero ugualmente intatte, per generare i figli per sé e per i propri, i discendenti per la patria"

[XIV] "Sulla decisione del tuo sposo - dice- intendendo certo Marte; attraverso ciò sembra non essere detto ironicamente da Plauto questo, ma che c'era anche questa tradizione, che Nerio da alcuni era detta essere la sposa di Marte

[XV] Quindi poi si capì, perché Gellio dice "Neria" con la lettera "a", non "Nerio" né "Neriene"

[XVI] Oltre a Plauto e oltre a Gellio anche Licinio Imbrex, vecchio scrittore di commedie, in una recita, che fu intitolata Neaera, scrisse così: non voglio ti chiamino Ne'aera, ma Neriene, poiché sei certo data in matrimonio a Marte
[XVII] Ita autem se numerus huiusce versus habet, ut tertia in eo nomine syllaba contra quam supra dictum est corripienda sit; cuius sonitus quanta aput veteres indifferentia sit, notius est, quam ut plura in id verba sumenda sint

[XVIII] Ennius autem in primo annali in hoc versu: Nerienem Mavortis et Herem, si, quod minime solet, numerum servavit, primam syllabam intendit, tertiam corripuit

[XIX] Ac ne id quidem praetermittendum puto, cuicuimodi est, quod in commentario quodam Servii Claudii scriptum invenimus, "Nerio" dictum quasi "Neirio", hoc est sine ira et cum placiditate, ut eo nomine mitem tranquillumque fieri Martem precemur; "ne" enim particula, ut apud Graecos, ita plerumque in Latina quoque lingua privativast

[XXIV]





[I] M
[XVII] Il metro dunque di questo verso richiede così, che la terza sillaba in questo nome contrariamente a quanto fu detto sopra si debba abbreviare; quanta sia la differenza di questo suono presso gli antichi, è più noto, cosicché non bisogna spendere più parole su ciò

[XVIII] Ennio poi nel primo libro degli annali in questo verso: Neriene di Marte ed Here, se, il che minimamente suole, ha conservato il metro, allunga la prima sillaba, accorcia la terza

[XIX] E penso non doversi tralasciare affatto, di qualunque tipo sia, ciò che trovammo scritto in un certo commentario di Servio Claudio, "Nerio" detto come "Neirio", cioè senza astio e con calma, cosicché con tale nome preghiamo che Marte diventi mite e tranquillo, infatti la particella "ne", come presso i Greci, così generalmente anche nella lingua latina è privativa

[XXIV]





[I] M

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Gellio, Notti attiche: Liber 13, 13-20
Gellio, Notti attiche: Liber 13, 13-20

Latino: dall'autore Gellio, opera Notti attiche parte Liber 13, 13-20

Cato consularis et censorius publicis iam privatisque opulentis rebus villas suas inexcultas et rudes ne tectorio quidem praelitas fuisse dicit ad annum usque aetatis suae septuagesimum

Atque ibi postea his verbis utitur: "Neque mihi" inquit "aedificatio neque vasum neque vestimentum ullum est manupretiosum neque pretiosus servus neque ancilla

Si quid est," inquit "quod utar, utor; si non est, egeo

Suum cuique per me uti atque frui licet"

Tum deinde addit: "Vitio vertunt, quia multa egeo; at ego illis, quia nequeunt egere"
Catone già console e censore pubblico dice che mentre i privati e gli affari abbondavano le sue case di campagna erano trascurate e disadorne e neppure ricoperte d'intonaco fino al settantesimo anno della sua vita

E usa quindi dopo queste parole: "Per me - dice- non c'è né casa né vasellame né alcun abbigliamento costoso né uno schiavo prezioso né un'ancella

Se c'è qualcosa - dice- che io usi, la uso; se non c'è, evito

Secondo me a ciascuno è lecito usare e usufruire del proprio"

Allora poi aggiunge: "Attribuiscono a colpa, che sono privo di molte cose; invece io a loro, che non riescono a privarsene"
[II] Haec mera veritas Tusculani hominis egere se multis rebus et nihil tamen cupere dicentis plus hercle promovet ad exhortandam parsimoniam sustinendamque inopiam quam Graecae istorum praestigiae philosophari sese dicentium umbrasque verborum inanes fingentium, qui se nihil habere et nihil tamen egere ac nihil cupere dicunt, cum et habendo et egendo et cupiendo ardeant

[II] Questa semplice verità dell'uomo di Tuscolo che dice che egli è privo di molte cose e tuttavia non desidera nulla per Ercole spinge più ad incoraggiare la parsimonia ed a sopportare la povertà che le illusioni greche di coloro che dicono di essere filosofi e che inventano finzioni e inutilità di parole, questi dicono che non hanno niente e tuttavia non sono privi di niente e non desiderano niente, mentre fremono sia nell'avere sia nel privarsi sia nel volere

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