Stoici autem tui negant quemquam nisi sapientem divinum esse posse Chrysippus quidem divinationem definit his verbis: vim cognoscentem et videntem et explicantem signa, quae a dis hominibus portendantur; officium autem esse eius praenoscere, dei erga homines mente qua sint quidque significent, quemadmodumque ea procurentur atque expientur Idemque somniorum coniectionem definit hoc modo: esse vim cernentem et explanantem quae a dis hominibus significentur in somnis Quid ergo ad haec mediocri opus est prudentia an et ingenio praestanti et eruditione perfecta Talem autem cognovimus neminem Vide igitur, ne, etiamsi divinationem tibi esse concessero, quod numquam faciam, neminem tamen divinum reperire possimus |
I tuoi stoici, d'altra parte, dicono che nessuno, tranne il sapiente, può essere indovino Crisippo definisce la divinazione con queste parole: Una facoltà di conoscere, ravvisare e spiegare i segni che vengono mostrati dagli dèi agli uomini; e aggiunge che il còmpito della divinazione è di sapere in precedenza quali predisposizioni abbiano gli dèi verso gli uomini, di che cosa li avvisino con quei segni, in che modo si possa ovviare ai cattivi presagi ed espiarli Ancora Crisippo definisce così l'interpretazione dei sogni: una capacità di scorgere e di spiegare che cosa gli dèi intendono presagire agli uomini nei sogni E che, dunque Per raggiungere un simile scopo basta un'intelligenza mediocre o ci vuole un ingegno eccezionale e un sapere perfetto Ma un interprete fornito di tali doti non l'ho conosciuto mai Attento, dunque: anche se un giorno ti avrò concesso che la divinazione esiste - ma non lo farò mai -, rischieremo di non trovare nessun vero indovino |
Qualis autem ista mens est deorum, si neque ea nobis significant in somnis quae ipsi per nos intellegamus, neque ea quorum interpretes habere possimus Similes enim sunt dei, si ea nobis obiciunt, quorum nec scientiam neque explanatorem habeamus, tamquam si Poeni aut Hispani in senatu nostro loquerentur sine interprete Iam vero quo pertinent obscuritates et aenigmata somniorum Intellegi enim a nobis di velle debebant ea quae nostra causa nos monerent Quid poëta nemone, physicus obscurus Ille vero nimis etiam obscurus Euphorion; at non Homerus; uter igitur melior Valde Heraclitus obscurus, minime Democritus; num igitur conferendi Mea causa me mones quod non intellegam: quid me igitur mones |
Di che sorta è, poi, codesta provvidenza degli dèi, dal momento che nei sogni non ci indicano né cose che siamo capaci di comprendere da noi, né cose per le quali possiamo ricorrere a un interprete degno di fede Se gli dèi ci mettono innanzi dei segni dei quali non abbiamo né conoscenza né qualcuno che ce li spieghi, si comportano come cartaginesi o spagnoli i quali venissero a parlare nel nostro senato senza interprete E insomma, a che servono le oscurità e gli enigmi dei sogni Gli dèì avrebbero dovuto volere che noi comprendessimo ciò di cui ci preavvisavano per il nostro bene Ma, tu dirai, forse nessun poeta, nessun filosofo della Natura è oscuro Certo, quel famoso Euforione è oscuro anche troppo; ma non lo è Omero: quale dei due è miglior poeta estremamente oscuro Eraclìto, non lo è per nulla Democrito: si può fare tra loro un paragone Per il mio bene mi dai un avvertimento che io non sono in grado di capire: con che frutto, dunque, mi avverti |
Ut si quis medicus aegroto imperet ut sumat terrigenam, herbigradam, domiportam, sanguine cassam,potius quam hominum more cocleam diceret Nam Pacuvianus Amphio quadrupes, tardigrada, agrestis, humilis, aspera,capite brevi, cervice anguina, aspectu truci,sviscerata, inanima cum animali sonocum dixisset obscurius, tum Attici respondent: non intellegimus, nisi si aperte dixeris At ille uno verbo: testudo Non potueras hoc igitur a principio, citharista, dicere Defert ad coniectorem quidam somniasse se ovum pendere ex fascea lecti sui cubicularis (est hoc in Chrysippi libro somnium); respondit coniector thesaurum defossum esse sub lecto |
Sarebbe come se un medico prescrivesse a un malato di prender come cibo la nata dalla terra, strisciante sull'erba, portatrice della propria casa, priva di sangue invece di dire, come diciamo tutti, lumaca E dopo che l'Anfione della tragedia di Pacuvio ha detto in modo assai oscuro:una bestia quadrupede, dal cammino lento, selvatica, bassa di statura, ruvida, dalla testa corta, dal collo simile a quello d'un serpente, dall'aspetto truce, privata delle viscere, inanimata eppure capace di emettere un suono come un essere animato, gli attici replicano: Non comprendiamo, se non lo dici apertamente E quegli, allora, con una sola parola: una tartaruga Non avresti dunque potuto, o citaredo, dire ciò fin dal principio Un tale riferisce all'interprete di aver sognato che un uovo era appeso a una fascia del suo letto (il sogno è narrato da Crisippo nel suo libro) |
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Fodit, invenit auri aliquantum, idque circumdatum argento; misit coniectori quantulum visum est de argento Tum ille Nihilne inquit de vitello Id enim ei ex ovo videbatur aurum declarasse, reliquum argentum Nemone igitur umquam alius ovum somniavit Cur ergo hic nescio qui thesaurum solus invenit Quam multi inopes digni praesidio deorum nullo somnio ad thesaurum reperiendum admonentur Quam autem ob causam tam est obscure admonitus, ut ex ovo nasceretur thesauri similitudo, potius quam aperte thesaurum quaerere iuberetur, sicut aperte Simonides vetitus est navigare Ergo obscura somnia minime consentanea maiestati deorum |
L'interprete risponde che sotto il letto è seppellito un tesoro: quello scava, trova una certa quantità d'oro, circondata d'argento;manda come compenso all'interprete un pochino di argento, non più di quanto gli sembrava bastante Allora l'interprete: E del tuorlo dell'uovo non mi dài niente poiché riteneva che questa parte dell'uovo designasse l'oro, il resto l'argento Nessun altro, dunque, sognò mai un uovo Perché, allora, soltanto questo tale trovò un tesoro Quanti poveri, meritevoli d'un aiuto degli dèi, non sono indotti da alcun sogno a trovare un tesoro E per qual motivo quel tale fu messo sull'avviso da un sogno così difficile, in modo che dall'immagine dell'uovo sorgesse per analogia l'idea del tesoro, e non gli si consigliò apertamente di cercare un tesoro, come apertamente Simonide fu ammonito a non imbarcarsi I sogni oscuri, dunque, non si addicono affatto alla maestà degli dèi |
Ad aperta et clara veniamus, quale est de illo interfecto a copone Megaris, quale de Simonide, qui ab eo, quem humarat, vetitus est navigare, quale etiam de Alexandro, quod a te praeteritum esse miror Qui, cum Ptolomaeus, familiari eius, in proelio telo venenato ictus esset eoque vulnere summo cum dolore moreretur, Alexander adsidens somno est consopitus Tum secundum quietem visus ei dicitur draco is, quem mater Olympias alebat, radiculam ore ferre et simul dicere, quo illa loci nasceretur (neque is longe aberat ab eo loco); eius autem esse vim tantam ut Ptolomaeum facile sanaret |
Eccoci ai sogni chiari e palesi, come quello riguardante l'amico ucciso dall'oste a Megara, come quello toccato a Simonide, il quale fu sconsigliato di imbarcarsi da quel tale che egli aveva seppellito, come anche quello concernente Alessandro, che mi meraviglio tu abbia omesso Un suo amico intimo, Tolomeo, era stato colpito in battaglia da una freccia avvelenata e a causa di quella ferita, con sommo dolore di Alessandro, stava morendo,mentre gli sedeva accanto, a un certo momento Alessandro fu vinto dal sopore Allora, si narra, gli apparve in sogno quel serpente che sua madre Olimpiade teneva con sé: esso recava in bocca una piccola radice, e nello stesso tempo disse ad Alessandro in quale luogo nasceva (era non molto distante da dove si trovavano allora); tale era il potere di quella radice, da guarire facilmente Tolomeo |
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Cum Alexander experrectus narrasset amicis somnium, emissi sunt qui illam radiculam quaererent; qua inventa et Ptolòmaeus sanatus dicitur et multi milites, qui erant eodem genere teli vulnerati Multa etiam sunt a te ex historiis prolata somnia, matris Phalaridis, Cyri superioris, matris Dionysi, Poeni Hamilcaris, Hannibalis, P Deci; pervulgatum iam illud de praesule, C Gracchi etiam et recens Caeciliae, Baliarici filiae, somnium Sed haec externa ob eamque causam ignota nobis sunt, nonnulla etiam ficta fortasse: quis enim auctor istorum De nostris somniis quid habemus dicere Tu de emerso me et equo ad ripam, ego de Mario cum fascibus laureatis me in suum deduci iubente monumentum |
Alessandro, svegliatosi, narrò agli amici il sogno; furono mandati in giro degli uomini a cercare la radice; fu trovata, e si dice che da essa furono guariti sia Tolomeo, sia molti soldati che erano stati feriti da frecce intinte in quel medesimo veleno Tu hai menzionato anche molti altri sogni tratti da narrazioni storiche: della madre di Falaride, di Ciro il vecchio, della madre di Dionisio, del cartaginese Amilcare, di Annibale, di Publio Decio; notissimo è inoltre quel sogno riguardante il prèsule, e così pure quello di Gaio Gracco e l'altro, recente, di Cecilia figlia di Metello Balearico Ma questi sogni sono estranei a noi e perciò ci rimangono ignoti; alcuni forse sono anche inventati: chi ne è il garante Quanto ai nostri sogni, che cosa possiamo dire Tu puoi menzionare quello riguardante me e il mio cavallo che vedesti riemergere e venire a riva, io quello di Mario, che, coi fasci ornati d'alloro, ordinava che io fossi condotto nel tempio da lui edificato |
Omnium somniorum, Quinte, una ratio est; quae, per deos immortalis, videamus ne nostra superstitione et depravatione superetur Quem enim tu Marium visum a me putas Speciem, credo, eius et imaginem, ut Democrito videtur Unde profectam imaginem A corporibus enim solidis et a certis figuris vult fluere imagines; quod igitur Mari corpus erat Ex eo, inquit, quod fuerat Ista igitur me imago Mari in campum Atinatem persequebatur Plena sunt imaginum omnia; nulla enim species cogitari potest nisi pulsu imaginum Quid ergo, istae imagines ita nobis dicto audientes sunt, ut, simul atque velimus, accurrant Etiamne earum rerum quae nullae sunt |
Di tutti i sogni, caro Quinto, una sola è la causa; e noi, per gli dèi immortali, stiamo attenti a non oscurarla con la nostra superstizione e con le nostre idee distorte Quale Mario tu pensi che io abbia visto in sogno Una sua sembianza, credo, una sua immagine, come ritiene Democrito Donde sarebbe provenuta codesta immagine Democrito sostiene che dai corpi solidi e da oggetti ben delimitati si emanano le immagini; a che cosa si era, dunque, ridotto ormai il corpo di Mario L'immagine, replicherà un democriteo, provenne da quello che era stato il corpo di Mario Era dunque codesta l'immagine di Mario che mi si fece incontro nella pianura di Atina Tutto lo spazio è pieno d'immagini: nessuna percezione è concepibile senza che qualche immagine colpisca la nostra vista Ma, dunque, codeste immagini sono talmente obbedienti ai nostri ordini da accorrere appena noi lo vogliamo Anche le immagini di quelle cose che non esistono |
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Quae est enim forma tam invisitata, tam nulla, quam non sibi ipse fingere animus possit, ut, quae numquam vidimus, ea tamen informata habeamus, oppidorum situs, hominum figuras Num igitur, cum aut muros Babylonis aut Homeri faciem cogito, imago illorum me aliqua pellit Omnia igitur quae volumus nota nobis esse possunt: nihil est enim de quo cogitare nequeamus; nullae ergo imagines obrepunt in animos dormientium extrinsecus, nec omnino fluunt ullae; nec cognovi quemquam qui maiore auctoritate nihil diceret Animorum est ea vis eaque natura, ut vigeant vigilantes nullo adventicio pulsu, sed suo motu incredibili quadam celeritate Hi cum sustinentur membris et corpore et sensibus, omnia certiora cernunt, cogitant, sentiunt |
Ma quale figura c'è, tanto giammai veduta, tanto inesistente, che l'anima non possa costruirsi con la fantasia, di modo che noi possiamo rappresentarci dentro di noi cose che non abbiamo mai visto, città collocate in una data posizione, sembianze di uomini Quando, dunque, penso alle mura di Babilonia o al volto di Omero, è forse una loro immagine che viene a colpirmi In tal caso, tutto ciò che vogliamo può esserci noto, poiché non c'è niente a cui non possiamo pensare; nessuna immagine, dunque, s'insinua dal di fuori nelle anime dei dormienti, né, in generale, si distacca dai corpi solidi; e io non ho avuto notizia di alcuno che con maggiore autorità dicesse cose senza senso Alle anime appartiene il potere e la caratteristica di essere sempre attive e vigilanti, non per un impulso esterno, ma per il proprio movimento straordinariamente veloce Quando le anime hanno al loro servizio le membra, il corpo, i sensi, vedono, pensano, percepiscono tutto con più nitidezza |
Cum autem haec subtracta sunt desertusque animus languore corporis, tum agitatur ipse per sese Itaque in eo et formae versantur et actiones, et multa audiri, multa dici videntur Haec scilicet in imbecillo remissoque animo multa omnibus modis confusa et variata versantur, maxumeque reliquiae rerum earum moventur in animis et agitantur, de quibus vigilantes aut cogitavimus aut egimus; ut mihi temporibus illis multum in animo Marius versabatur recordanti quam ille gravem suum casum magno animo, quam constanti tulisset Hanc credo causam de illo somniandi fuisse Tibi autem de me cum sollicitudine cogitanti subito sum visus emersus e flumine Inerant enim in utriusque nostrum animis vigilantium cogitationum vestigia |
Quando questi ausilii vengono meno e l'anima rimane sola per il sopore del corpo, rimane da sola in stato di attività Perciò in essa si presentano visioni e azioni, e all'anima sembra di ascoltare molte cose, di dirne molte Queste numerose impressioni, confuse e modificate in ogni maniera, si agitano nell'anima indebolita e abbandonata a se stessa; e quelli che soprattutto si muovono e agiscono nelle anime sono i resti di ciò che abbiamo pensato o fatto quando eravamo svegli;per esempio, in quell'epoca io pensavo molto a Mario, ricordando con quale grandezza d'animo, con quale fermezza aveva affrontato la sua grave sventura Questa, credo, fu la ragione per cui io lo sognai In un periodo, poi, in cui tu pensavi a me con preoccupazione, ti apparii in un sogno, improvvisamente emerso da un fiume Nell'anima tua come nella mia, dunque, c'erano tracce di pensieri che avevamo avuto da svegli |
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At quaedam adiuncta sunt, ut mihi de monumento Mari, tibi, quod equus in quo ego vehebar, mecum una demersus rursus apparuit An tu censes ullam anum tam deliram futuram fuisse ut somniis crederet, nisi ista casu non numquam forte temere concurrerent Alexandro draco loqui visus est Potest omnino hoc esse falsum, potest verum; sed, ut verum sit, non est mirabile; non enim audivit ille draconem loquentem, sed est visus audire, et quidem, quo maius sit, cum radicem ore teneret, locutus est; sed nihil est magnum somnianti Quaero autem cur Alexandro tam inlustre somnium, tam certum, nec huic eidem alias, nec multa ceteris; mihi quidem praeter hoc Marianum nihil sane quod meminerim |
Ma nei nostri sogni si aggiunse qualcosa in più: nel mio sogno il tempio fatto edificare da Mario, nel tuo il fatto che il cavallo sul quale io viaggiavo, sommerso insieme a me, riemerse anch'esso all'improvviso O tu credi che ci sarebbe mai stata anche una sola vecchierella tanto svanita di mente da credere ai sogni, se non capitasse qualche volta che essi, per puro caso, corrispondessero alla realtà Ad Alessandro sembrò che un serpente parlasse La cosa può essere completamente falsa, può essere anche vera; ma, anche ammesso che sia vera, non è prodigiosa: Alessandro non sentì parlare il serpente, ma gli parve di sentirlo; e, perché il fatto sembri ancor più straordinario, parlò tenendo in bocca una radice; ma nulla è straordinario per chi sogna Vorrei sapere, poi, perché ad Alessandro capitò un sogno così chiaro, così sicuro, ma egli stesso non ne ebbe mai in altre circostanze, e non ne ebbero molti di questa sorta le altre persone; a me, certo, tranne quel sogno di Mario, non ne sono capitati altri, che io ricordi |