Nella biblioteca di casa Sirani non mancano le vite di Plutarco e il racconto della vicenda di Timoclea deve aver acceso l'immaginazione di Elisabetta. Una matrona tebana la quale, durante il sacco perpetrato dall'esercito di Alessandro Magno, si vendica del capitano che le ha usato violenza. Quando l'uomo, non pago di aver abusato di lei, le intima di consegnargli tutti i suoi averi, la donna racconta di averli nascosti all'interno di un pozzo. Poi, appena lui vi si sporge sopra, lo scaraventa all'interno, seppellendolo con delle pietre.
In una scena illuminata da luci nette e teatrali, sullo sfondo di un cielo macchiato di fosche nubi, Elisabetta sceglie di rappresentare il momento in cui la vendetta viene consumata e lo fa con un vigore che forse la sua pittura non aveva mai toccato prima di allora. I suoi ritratti e le sue intime scene religiose risentono in larga parte della lezione paterna, eredi dunque del classicismo e della morbidezza di Guido Reni. Ma quella donna che getta il suo stupratore nel pozzo, simile a una dea della vendetta, possiede invece una forza e una drammaticità che parrebbero eredi del pennello di Artemisia Gentileschi, scomparsa solo da pochi anni.
La Timoclea della Sirani è elegantemente abbigliata e acconciata, al suo orecchio scintillano orecchini di perla. la sua postura eretta, salda e dominante, i lineamenti raffinati, risoluti ma per nulla alterati dallo sforzo compiuto se non per un lieve inarcarsi del sopracciglio, ne testimoniano la fierezza, la grande dignità, la coscienza della propria superiorità.
L'uomo invece è ridotto a poco più di un fantoccio, già ribaltato a testa in giù, con le gambe allargate, privo di qualsiasi contegno mentre si puntella con la mano in un disperato tentativo di salvarsi. Non ci sono dubbi che è protagonista del dipinto sia la donna, vittoriosa e trionfante sull'oppressore ridotto all'impotenza. La pittrice ne colloca il busto in piena luce, ma non al centro dell'opera. All'incrocio delle diagonali incontriamo invece la figura Sottosopra del Capitano, e per l'esattezza il suo bacino, Ovvero la parte del corpo con la quale è stato perpetrato lo oltraggio.