Eo munere delenita plebe nihil certatum est quo minus consularia comitia haberentur; creati consules L Valerius Potitus M Manlius, cui Capitolino postea fuit cognomen Hi consules magnos ludos fecere, quos M Furius dictator uouerat Veienti bello Eodem anno aedes Iunonis reginae ab eodem dictatore eodemque bello uota dedicatur, celebratamque dedicationem ingenti matronarum studio tradunt Bellum haud memorabile in Algido cum Aequis gestum est, fusis hostibus prius paene quam manus consererent Valerio quod perseuerantior cedentes [insequi] [in fuga] fuit, triumphus, Manlio ut ouans ingrederetur urbem decretum est |
Siccome la plebe era stata placata da quella donazione, non ci furono più scontri vòlti a ostacolare le elezioni consolari che videro la nomina di Lucio Valerio Potito e di Marco Manlio, in séguito soprannominato Capitolino Questi due consoli celebrarono i Ludi Magni, conforme al voto del dittatore Furio Camillo durante la guerra contro Veio Nel corso dello stesso anno venne anche consacrato a Giunone Regina il tempio promesso dallo stesso dittatore e nella stessa guerra, e si racconta che la consacrazione venne celebrata con grande fervore dalle matrone La guerra combattuta contro gli Equi sull'Algido non fece registrare nulla di memorabile perché i nemici vennero sbaragliati prima ancora che le ostilità vere e proprie avessero avuto inizio A Valerio venne concesso il trionfo per aver dimostrato grande accanimento nel fare a pezzi i nemici in fuga, mentre a Manlio fu concesso l'onore dell'ovazione all'ingresso in città |
Eodem anno nouum bellum cum Volsiniensibus exortum; quo propter famem pestilentiamque in agro Romano ex siccitate caloribusque nimiis ortam exercitus duci nequiuit Ob quae Volsinienses Sappinatibus adiunctis superbia inflati ultro agros Romanos incursauere; bellum inde duobus populis indictum C Iulius censor decessit; in eius locum M Cornelius suffectus; -- quae res postea religioni fuit quia eo lustro Roma est capta; nec deinde unquam in demortui locum censor sufficitur; -- consulibusque morbo implicitis, placuit per interregnum renouari auspicia |
Quello stesso anno scoppiò una nuova guerra: si trattava degli abitanti di Volsinii; ma la carestia e l'epidemia che colpirono le campagne romane a causa della siccità e delle temperature eccessivamente elevate non permisero l'invio di un esercito sul luogo del conflitto Queste calamità fecero ringalluzzire ancora di più i Volsiniesi che, grazie anche all'appoggio dei Sapienati, fecero un'incursione in territorio romano; a quel punto venne dichiarata guerra a entrambi i popoli Morì il censore Gaio Giulio e il suo posto venne preso da Marco Cornelio, cosa questa che in séguito venne interpretata come un'offesa alla divinità perché Roma fu presa proprio nell'arco di quel lustro; e da quel giorno non c'è più stato nemmeno un caso di censori nominati al posto di colleghi morti |
itaque cum ex senatus consulto consules magistratu se abdicassent, interrex creatur M Furius Camillus, qui P Cornelium Scipionem, is deinde L Valerium Potitum interregem prodidit Ab eo creati sex tribuni militum consulari potestate ut etiamsi cui eorum incommoda ualetudo fuisset, copia magistratuum rei publicae esset Kalendis Quintilibus magistratum occepere L Lucretius Ser Sulpicius M Aemilius L Furius Medullinus septimum Agrippa Furius C Aemilius iterum ex his L Lucretio et C Aemilio Volsinienses prouincia euenit, Sappinates Agrippae Furio et Ser Sulpicio Prius cum Volsiniensibus pugnatum est Bellum numero hostium ingens, certamine haud sane asperum fuit |
Siccome anche i consoli vennero colpiti dal contagio, si deliberò di rinnovare gli auspici con il ritorno all'interregno; e così, una volta che i consoli ebbero rinunciato alla carica in ottemperanza al decreto del Senato, venne eletto interré Marco Furio Camillo il quale scelse come proprio successore Publio Cornelio Scipione che, a sua volta, passò la carica a Lucio Valerio Potito Quest'ultimo nominò sei tribuni militari con potere consolare per evitare che lo Stato rimanesse a corto di magistrati anche nel caso in cui qualcuno dei neoeletti si fosse ammalato Alle calende di luglio entrarono in carica i tribuni appena eletti, e cioè Lucio Lucrezio, Servio Sulpicio, Marco Emilio, Lucio Furio Medullino (per la settima volta), Agrippa Furio e Gaio Emilio (per la seconda volta) Tra di essi, a Lucio Lucrezio e a Gaio Emilio venne affidata la campagna contro i Volsiniesi, mentre ad Agrippa Furio e a Servio Sulpicio toccarono i Sapienati Si combatté prima con i Volsinensi in una guerra che pur risultando notevole per spiegamento di nemici in campo, non certo dura militarmente |
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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 27; 50 - 51
Fusa concursu primo acies; in fuga milia octo armatorum ab equitibus interclusa positis armis in deditionem uenerunt Eius belli fama effecit ne se pugnae committerent Sappinates; moenibus armati se tutabantur Romani praedas passim et ex Sappinati agro et ex Volsiniensi, nullo eam uim arcente, egerunt; donec Volsiniensibus fessis bello, ea condicione ut res populo Romano redderent stipendiumque eius anni exercitui praestarent, in uiginti annos indutiae datae Eodem anno M Caedicius de plebe nuntiauit tribunis se in Noua uia, ubi nunc sacellum est supra aedem Vestae, uocem noctis silentio audisse clariorem humana, quae magistratibus dici iuberet Gallos aduentare |
Infatti l'esercito nemico venne sbaragliato al primo assalto e messo in fuga; durante la ritirata precipitosa, otto mila fanti, tagliati fuori dalla cavalleria romana, gettarono le armi e si arresero La notizia di quel combattimento indusse i Sapienati a non rischiare lo scontro in campo aperto: e si andarono a mettere al sicuro, pronti a difendersi al riparo delle loro fortificazioni I Romani, senza trovare alcuna resistenza alle proprie scorrerie, razziarono qua e là tanto il territorio dei Sapienati quanto quello dei Volsiniesi, finché questi ultimi non si stancarono della guerra e ottennero una tregua ventennale a patto di restituire al popolo romano quanto sottratto e di corrispondere ai soldati le paghe di quell'anno Nel corso di quello stesso anno, un plebeo di nome Marco Cedicio riferì ai tribuni di aver sentito nel cuore della notte, mentre si trovava nella Via Nuova (dove oggi c'è un tempietto al di sopra del tempio di Vesta), una voce ben più squillante di una voce umana ordinargli di comunicare ai magistrati che i Galli si stavano avvicinando a Roma |
Id ut fit propter auctoris humilitatem spretum et quod longinqua eoque ignotior gens erat Neque deorum modo monita ingruente fato spreta, sed humanam quoque opem, quae una erat, M Furium ab urbe amouere Qui die dicta ab L Apuleio tribuno plebis propter praedam Veientanam, filio quoque adulescente per idem tempus orbatus, cum accitis domum tribulibus clientibusque quae magna pars plebis erat, percontatus animos eorum responsum tulisset se conlaturos quanti damnatus esset, absoluere eum non posse, in exsilium abiit, precatus ab dis immortalibus si innoxio sibi ea iniuria fieret, primo quoque tempore desiderium sui ciuitati ingratae facerent Absens quindecim milibus grauis aeris damnatur |
L'informazione data da Cedicio, come sempre succede, non venne tenuta in alcuna considerazione a causa della bassa estrazione dell'uomo che l'aveva riferita, e anche perché quella popolazione viveva troppo lontano e proprio per questo non era gran che conosciuta Così, mentre il destino incombeva ormai minaccioso sul loro futuro, i Romani non si limitarono a disprezzare i moniti provenienti dal cielo, ma allontanarono anche dalla città il solo aiuto umano su cui potessero contare, e cioè Marco Furio Citato in giudizio dal tribuno della plebe Lucio Apuleio in relazione al bottino di Veio e privato proprio in quello stesso periodo di un figlio in tenera età, Camillo convocò a casa sua tutti i compagni di tribù e i clienti (che per la maggior parte erano plebei) e ne sondò gli animi; siccome essi gli risposero che avrebbero raccolto la somma necessaria per pagare l'eventuale ammenda comminatagli, ma che non potevano assolverlo dalla colpa, egli partì alla volta dell'esilio pregando gli dèi immortali che, se doveva subire, innocente, quell'ingiustizia, i suoi ingrati cittadini sentissero al più presto il desiderio di riaverlo tra loro Fu condannato in contumacia a un'ammenda quindicimila assi |
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Livio, Ab urbe condita: Libro 24; 01-10
Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 24; 01-10
Expulso ciue quo manente, si quicquam humanorum certi est, capi Roma non potuerat, aduentante fatali urbi clade legati ab Clusinis ueniunt auxilium aduersus Gallos petentes Eam gentem traditur fama dulcedine frugum maximeque uini noua tum uoluptate captam Alpes transisse agrosque ab Etruscis ante cultos possedisse; et inuexisse in Galliam uinum inliciendae gentis causa Arruntem Clusinum ira corruptae uxoris ab Lucumone cui tutor is fuerat, praepotente iuuene et a quo expeti poenae, nisi externa uis quaesita esset, nequirent hunc transeuntibus Alpes ducem auctoremque Clusium oppugnandi fuisse |
Una volta espulso quel cittadino la cui presenza, se qualcosa di questa vita può mai dirsi certo, avrebbe impedito la presa di Roma, proprio mentre il giorno della catastrofe si faceva sempre più vicino, da Chiusi arrivarono degli ambasciatori a chiedere aiuti contro i Galli Tradizione vuole che questa gente, attratta dalla dolcezza delle messi e soprattutto del vino - di cui allora non conoscevano il piacere -, abbia attraversato le Alpi e si sia stanziata nelle terre un tempo coltivate dagli Etruschi; a inviare quel vino in Gallia sarebbe stato Arrunte di Chiusi col preciso intento di attirarne la popolazione per vendicarsi di Lucumone che gli aveva sedotto la moglie, non ostante ne fosse stato il tutore; e Lucumone era un giovane così potente che costringerlo a pagare per le sue colpe era impossibile senza ricorrere a un aiuto esterno Pare quindi che fu Arrunte a guidare i Galli attraverso le Alpi e a suggerire loro di attaccare Chiusi |
Equidem haud abnuerim Clusium Gallos ab Arrunte seu quo alio Clusino adductos; sed eos qui oppugnauerint Clusium non fuisse qui primi Alpes transierint satis constat Ducentis quippe annis ante quam Clusium oppugnarent urbemque Romam caperent, in Italiam Galli transcenderunt; nec cum his primum Etruscorum sed multo ante cum iis qui inter Appenninum Alpesque incolebant saepe exercitus Gallici pugnauere Tuscorum ante Romanum imperium late terra marique opes patuere Mari supero inferoque quibus Italia insulae modo cingitur, quantum potuerint nomina sunt argumento, quod alterum Tuscum communi uocabulo gentis, alterum Hadriaticum [mare] ab Hatria, Tuscorum colonia, uocauere Italicae gentes Graeci eadem Tyrrhenum atque Adriaticum uocant |
Io non voglio certo negare che i Galli siano stati portati a Chiusi da Arrunte o da qualche suo concittadino: ma è ormai assodato che i primi a valicare le Alpi non furono quei Galli protagonisti dell'assedio di Chiusi Infatti i Galli erano scesi in Italia duecento anni prima dell'assedio di Chiusi e della presa di Roma e non furono gli abitanti di Chiusi i primi Etruschi contro i quali i Galli combatterono, perché molto tempo prima i loro eserciti si scontrarono numerose volte con gli Etruschi che abitavano tra le Alpi e gli Appennini Prima dell'egemonia romana, la potenza etrusca si estendeva largamente per terra e per mare Per comprendere le reali dimensioni di questo dominio sui due mari che cingono a nord e a sud l'Italia rendendola simile a un'isola, basta guardare ai nomi con i quali li si designa: le popolazioni italiche, infatti, chiamarono l'uno Mare Etrusco e l'altro Atriatico dalla colonia etrusca di Atria I Greci li chiamano invece Tirreno e Adriatico |
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Ei in utrumque mare uergentes incoluere urbibus duodenis terras, prius cis Appenninum ad inferum mare, postea trans Appenninum totidem, quot capita originis erant, coloniis missis, quae trans Padum omnia loca, -- excepto Venetorum angulo qui sinum circumcolunt maris, -- usque ad Alpes tenuere Alpinis quoque ea gentibus haud dubie origo est, maxime Raetis, quos loca ipsa efferarunt ne quid ex antiquo praeter sonum linguae nec eum incorruptum retinerent De transitu in Italiam Gallorum haec accepimus: Prisco Tarquinio Romae regnante, Celtarum quae pars Galliae tertia est penes Bituriges summa imperii fuit; ii regem Celtico dabant |
Gli Etruschi si stabilirono nelle terre situate lungo i litorali di entrambi i mari in gruppi di dodici città, prima al di qua dell'Appennino verso il Mare Tirreno, poi mandando oltre l'Appennino altrettante colonie quante erano i ceppi d'origine, ed esse andarono ad occupare tutta la zona situata al di là del Po fino alle Alpi, eccetto l'angolo di costa adriatica abitato dai Veneti Anche alcune popolazioni alpine sono di origine etrusca, soprattutto i Reti che, inselvatichitisi per la natura stessa dei luoghi, non hanno conservato quasi nessuna delle caratteristiche antiche, salvo forse l'inflessione della parlata, e neppure questa priva di contaminazioni Le notizie che abbiamo circa la migrazione dei Galli in Italia sono queste: durante il regno di Tarquinio Prisco a Roma, i Celti - che sono uno dei tre ceppi etnici della Gallia - si trovavano sotto il dominio dei Biturigi i quali fornivano un re al popolo celtico |
Ambigatus is fuit, uirtute fortunaque cum sua, tum publica praepollens, quod in imperio eius Gallia adeo frugum hominumque fertilis fuit ut abundans multitudo uix regi uideretur posse Hic magno natu ipse iam exonerare praegrauante turba regnum cupiens, Bellouesum ac Segouesum sororis filios impigros iuuenes missurum se esse in quas di dedissent auguriis sedes ostendit quantum ipsi uellent numerum hominum excirent ne qua gens arcere aduenientes posset Tum Segoueso sortibus dati Hercynei saltus; Belloueso haud paulo laetiorem in Italiam uiam di dabant |
In quel tempo il re in carica era Ambigato, uomo potentissimo per valore e ricchezza tanto personale quanto dell'intero paese, perché sotto il suo regno la Gallia raggiunse un tale livello di abbondanza agricola e di popolosità da sembrare che una tale massa di individui la si potesse governare a mala pena E siccome Ambigato era ormai avanti negli anni e desiderava alleviare il proprio regno da quell'eccesso di presenze, annunciò che avrebbe inviato Belloveso e Segoveso, i due intraprendenti figli di sua sorella, a trovare quelle sedi che gli dèi, per mezzo degli augùrii, avrebbero loro indicato come appropriate Erano autorizzati a convocare tutti gli uomini che ritenevano necessari all'operazione, in maniera tale che nessuna tribù potesse impedir loro di stanziarsi nel luogo prescelto La sorte assegnò allora a Segoveso la regione della selva Ercinia, mentre a Belloveso gli dèi concedevano un percorso ben più piacevole, e cioè la strada verso l'Italia |
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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 34; 60 - 62
Is quod eius ex populis abundabat, Bituriges, Aruernos, Senones, Haeduos, Ambarros, Carnutes, Aulercos exciuit; profectus ingentibus peditum equitumque copiis in Tricastinos uenit Alpes inde oppositae erant; quas inexsuperabiles uisas haud equidem miror, nulladum uia, quod quidem continens memoria sit, nisi de Hercule fabulis credere libet, superatas Ibi cum uelut saeptos montium altitudo teneret Gallos, circumspectarentque quanam per iuncta caelo iuga in alium orbem terrarum transirent, religio etiam tenuit quod allatum est aduenas quaerentes agrum ab Saluum gente oppugnari Massilienses erant ii, nauibus a Phocaea profecti |
Prendendo con sé gli uomini che risultavano in eccesso tra le tribù dei Biturigi, degli Arverni, dei Senoni, degli Edui, degli Ambarri, dei Carnuti e degli Aulerci, Belloveso si mise in marcia con un ingente schieramento di fanti e cavalieri ed entrò nel territorio dei Tricastini Lì si trovarono di fronte le Alpi: e non c'è affatto da stupirsi che apparissero invalicabili, visto che fino ad allora non c'erano valichi che ne permettessero l'attraversamento (stando almeno alla tradizione storica e se non si vuole credere alle leggende relative alle imprese di Ercole) Lì, mentre i Galli, quasi rinserrati tra le alte montagne, si guardavano intorno domandandosi dove mai sarebbero riusciti a passare in un altro mondo al di là di quelle cime che arrivavano a toccare la volta del cielo, vennero trattenuti anche da uno scrupolo religioso perché arrivò la notizia che degli stranieri alla ricerca di terre erano stati attaccati dai Salluvi Si trattava dei Massiliesi, partiti via mare da Focea |