Cicerone, De divinationes: Libro 02 - Parte 03, pag 2

Cicerone, De divinationes: Libro 02 - Parte 03

Latino: dall'autore Cicerone, opera De divinationes parte Libro 02 - Parte 03
Nam si ista sequimur, quod Platonis Politian nuper apud me mures corroserunt, de re publica debui pertimescere, aut, si Epicuri de voluptate liber rosus esset, putarem annonam in macello cariorem fore

An vero illa nos terrent, si quando aliqua portentosa aut ex pecude aut ex homine nata dicuntur

Quorum omnium, ne sim longior, una ratio est

Quicquid enim oritur, qualecumque est, causam habeat a natura necesse est, ut, etiamsi praeter consuetudinem exstiterit, praeter naturam tamen non possit exsistere

Causam igitur investigato in re nova atque admirabili, si poteris; si nullam reperies, illud tamen exploratum habeto, nihil fieri potuisse sine causa, eumque terrorem, quem tibi rei novitas adtulerit, naturae ratione depellito
Se ci mettiamo per questa strada, dovrei disperare delle sorti dello Stato per il fatto che, poco tempo fa, i topi hanno rosicchiato in casa mia la Repubblica di Platone, oppure, se mi avessero rosicchiato il libro di Epicureo Sul piacere, avrei dovuto prevedere che al mercato i prezzi sarebbero rincarati

O ci spaventeremo se talvolta ci dicono che qualche creatura mostruosa è nata da un animale o da un essere umano

Di tutti questi fenomeni (non voglio dilungarmi troppo) una sola è la spiegazione

Tutto ciò che nasce, di qualunque genere sia, ha necessariamente origine dalla natura, di modo che, anche se risulta inconsueto, non può tuttavia essere sorto al di fuori della natura

Ricercane dunque la causa, se ci riuscirai, in qualcosa di insolito e di strano; se non ne troverai alcuna, tieni per fermo in ogni caso che nulla può avvenire senza causa, e scaccia via dal tuo animo, senza ricorrere al soprannaturale, quel terrore che ti avrà arrecato la stranezza del fatto
Ita te nec terrae fremitus nec caeli discessus nec lapideus aut sanguineus imber nec traiectio stellae nec faces visae terrebunt

Quarum omnium causas si a Chrysippo quaeram, ipse ille divinationis auctor numquam illa dicet facta fortuito naturalemque rationem omnium reddet; nihil enim fieri sine causa potest; nec quicquam fit, quod fieri non potest; nec, si id factum est quod potuit fieri, portentum debet videri; nulla igitur portenta sunt

Nam si, quod raro fit, id portentum putandum est, sapientem esse portentum est; saepius enim mulam peperisse arbitror quam sapientem fuisse

Illa igitur ratio concluditur: nec id quod non potuerit fieri factum umquam esse, nec, quod potuerit, id portentum esse; ita omnino nullum esse portentum
Così né i boati sotterranei né il fendersi della volta celeste né la pioggia di pietre o di sangue né una stella cadente né l'apparire di fiamme nel cielo ti spaventeranno

Se io chiedessi a Crisippo le cause di tutti questi fenomeni, anche lui, quel famoso sostenitore della divinazione, non direbbe mai che sono avvenuti a caso, e di tutti indicherebbe una causa naturale;nulla, infatti, può avvenire senza causa; né avviene cosa alcuna che non possa avvenire; né, se è avvenuto ciò che poteva avvenire, si può considerarlo un prodigio; dunque non esistono prodigi

Ché se si deve considerare come un prodigio ciò che avviene di rado, un uomo saggio è un prodigio: credo, in effetti, che una mula abbia partorito più spesso di quanto sia esistito un uomo saggio

Si compie, dunque, questa argomentazione: né ciò che non può essere esistito è giammai esistito, né ciò che può essere esistito è un prodigio: pertanto, non esiste alcun prodigio
Quod etiam coniector quidam et interpres portentorum non inscite respondisse dicitur ei qui [cum] ad eum rettulisset quasi ostentum quod anguis domi vectem circumiectus fuisset: Tum esset inquit ostentum, si anguem vectis circumplicavisset

Hoc ille responso satis aperte declaravit nihil habendum esse, quod fieri posset, ostentum

C Gracchus ad M Pomponium scripsit, duobus anguibus domi comprehensis, haruspices a patre convocatos

Qui magis anguibus quam lacertis, quam muribus

Quia sunt haec cotidiana, angues non item; quasi vero referat, quod fieri potest, quam id saepe fiat
Una risposta di questo genere si dice che la desse, con molta arguzia, un interprete di prodigi a un tale che gli aveva riferito, come se si trattasse di un prodigio, che in casa sua un serpente si era avvolto intorno alla sbarra di chiusura d'una porta: Sarebbe stato un prodigio se la sbarra si fosse attorcigliata intorno al serpente

Con questa risposta fece intendere chiaramente che nulla, che possa accadere, dev'essere considerato un prodigio

Gaio Gracco scrisse a Marco Pomponio che suo padre aveva chiamato gli arùspici perché in casa sua erano stati presi due serpenti

Come mai tanto trambusto per dei serpenti e non per delle lucertole, per dei topi

Perché questi sono animali che càpita di vedere tutti i giorni, i serpenti no; come se, dal momento che un evento può accadere, abbia importanza il considerare quanto spesso accada

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Cicerone, De divinationes: Libro 02 - Parte 05

Latino: dall'autore Cicerone, opera De divinationes parte Libro 02 - Parte 05

Ego tamen miror, si emissio feminae anguis mortem adferebat Ti Graccho, emissio autem maris anguis erat mortifera Corneliae, cur alteram utram emiserit

Nihil enim scribit respondisse haruspices, si neuter anguis emissus esset, quid esset futurum

At mors insecuta Gracchum est

Causa quidem, credo, aliqua morbi gravioris, non emissione serpentis; neque enim tanta est infelicitas haruspicum, ut ne casu quidem umquam fiat quod futurum illi esse dixerint
Ma io non capisco una cosa: se il lasciare andar via il serpente femmina era causa di morte per Tiberio Gracco padre, il lasciare andar via il maschio era invece letale per Cornelia, perché egli lasciò andar via uno dei due serpenti

Per quel che scrive Gaio Gracco, gli arùspici non dissero affatto che cosa sarebbe avvenuto se nessuno dei due animali fosse stato lasciato andare

Ma tu dirai, sta di fatto che sùbito dopo avvenne la morte del vecchio Gracco

Morì, credo, a causa di qualche malattia particolarmente grave, non per aver lasciato andar via un serpente; poiché gli arùspici non sono sfortunati fino al punto che non possa accadere nemmeno una volta per caso ciò che essi hanno predetto
Nam illud mirarer, si crederem, quod apud Homerum Calchantem dixisti ex passerum numero belli Troiani annos auguratum; de quoius coniectura sic apud Homerum, ut nos otiosi convertimus, loquitur Agamemnon: Ferte, viri, et duros animo tolerate labores, auguris ut nostri Calchantis fata queamus scire ratosne habeant an vanos pectoris orsus

Namque omnes memori portentum mente retentant, qui non funestis liquerunt lumina fatis
Di quest'altra cosa, sì, mi meraviglierei, se ci credessi, cioè del fatto che, come hai ricordato, Calcante, secondo Omero, predisse il numero degli anni della guerra di Troia in base al numero dei passeri; su quella sua profezia così parla Agamennone in Omero (te ne do la traduzione che ho fatto in un momento di riposo): Non cedete, o guerrieri, e sopportate con coraggio i duri travagli, in modo che possiamo sapere se le profezie del nostro indovino Calcante abbiano una fonte d'ispirazione veridica o siano invece vane

Ché tutti quelli che non hanno abbandonato la luce per un funesto destino serbano bene nella memoria quel portento

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Cicerone, De divinationes: Libro 01 - Parte 03

Latino: dall'autore Cicerone, opera De divinationes parte Libro 01 - Parte 03

Argolicis primum ut vestita est classibus Aulis quae Priamo cladem et Troiae pestemque ferebant, nos circum latices gelidos, fumantibus aris, aurigeris divom placantes numina tauris sub platano umbrifera, fons unde emanat aquai, vidimus immani specie tortuque draconem terribilem, Iovis ut pulsu penetraret ab ara; qui platani in ramo foliorum tegmine saeptos corripuit pullos; quos cum consumeret octo, nona super tremulo genetrix clangore volabat; cui ferus immani laniavit viscera morsu

Hunc, ubi tam teneros volucris matremque peremit, qui luci ediderat, genitor Saturnius idem abdidit et duro formavit tegmine saxi

Nos autem timidi stantes mirabile monstrum vidimus in mediis divom vorsarier aris
Appena Aulide si era ricoperta di navi argoliche, che recavano rovina e sterminio a Priamo e a Troia, noi, mentre vicino a gelide acque ci propiziavamo la volontà degli dèi col sacrificio di tori dalle corna dorate sulle are fumanti, al riparo di un platano ombroso, donde sgorgava una sorgente d'acqua, vedemmo un drago dall'aspetto feroce e dalle spire gigantesche, come se per volere di Giove uscisse da sotto l'ara; esso ghermì degli uccellini nascosti da fitte foglie, su un ramo del platano; mentre ne divorava otto, il nono - la madre degli altri - volava lì sopra con tremule strida; e anche a lei la belva dilaniò le viscere con un orrendo morso

Quando poi ebbe ucciso gli uccellini così teneri e la loro madre, lo stesso padre Saturnio che lo aveva fatto uscire alla luce, lo nascose alla nostra vista e lo irrigidì ricoprendolo di una dura scorza di pietra della stessa sua forma

Noi, paralizzati dal terrore, avevamo visto l'immane mostro aggirarsi frammezzo alle are degli dèi
Tum Calchas haec est fidenti voce locutus: 'Quidnam torpentes subito obstipuistis, Achivi

Nobis haec portenta deum dedit ipse creator tarda et sera nimis, sed fama ac laude perenni

Nam quot avis taetro mactatas dente videtis, tot nos ad Troiam belli exanclabimus annos; quae decumo cadet et poena satiabit Achivos

' Edidit haec Calchas; quae iam matura videtis

Quae tandem ista auguratio est ex passeribus annorum potius quam aut mensuum aut dierum

Cur autem de passerculis coniecturam facit, in quibus nullum erat monstrum, de dracone silet, qui, id quod fieri non potuit, lapideus dicitur factus

Postremo quid simile habet passer annis
Allora Calcante disse con voce fiduciosa: 'Come mai, o achivi, siete rimasti d'un tratto intorpiditi dal terrore

Il creatore stesso degli dèi ci ha mandato questo prodigio, lento ad avverarsi e di esito tardivo fin troppo, ma segno di fama e di gloria perenne

Giacché, per quanti uccelli voi avete visti uccisi dall'orribile dente, per altrettanti anni di guerra noi soffriremo sotto le mura di Troia; nel decimo anno essa cadrà e pagando il fio sazierà gli achivi'

Queste cose disse Calcante; vedete che ormai sono prossime a compiersi

Ma che sorta di augurio è questo, che dal numero dei passeri deduce per l'appunto il numero degli anni piuttosto che quello dei mesi o dei giorni

E perché basa la sua profezia sui passerotti, che non costituivano nulla di prodigioso, mentre non fa parola del drago, il quale, cosa che non poté accadere, divenne, a quanto si legge, di pietra

E infine, che analogia c'è tra un passero e un susseguirsi di anni

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Cicerone, De divinationes: Libro 02 - Parte 01

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Nam de angue illo,qui Sullae apparuit immolanti, utrumque memini, et Sullam, cum in expeditionem educturus esset, immolavisse, et anguem ab ara exstitisse, eoque die rem praeclare esse gestam non haruspicis consilio, sed imperatoris

Atque haec ostentorum genera mirabile nihil habent; quae cum facta sunt, tum ad coniecturam aliqua interpretatione revocantur, ut illa tritici grana in os pueri Midae congesta, aut apes, quas dixisti in labris Platonis consedisse pueri, non tam mirabilia sint quam coniecta belle; quae tamen vel ipsa falsa esse vel ea, quae praedicta sunt, fortuito cecidisse potuerunt
Giacché, quanto a quel serpente che apparve a Silla mentre compiva un sacrificio, mi ricordo di tutt'e due le cose: l'una, che Silla, in procinto di iniziare la spedizione militare, fece un sacrificio, e un serpente sbucò da sotto l'altare; l'altra, che in quello stesso giorno fu riportata una brillante vittoria, per l'accortezza non dell'arùspice, ma del comandante

Questi tipi di prodigi non hanno niente di strano; una volta accaduti gli eventi, vengono utilizzati come profezia mediante qualche interpretazione, sicché quei chicchi di grano ammucchiati in bocca a Mida, o le api che, come hai detto, si posarono sulle labbra di Platone bambino, non sono prodigi, ma piuttosto oggetto di previsione felicemente riuscita; del resto, fatti simili possono essere di per sé falsi, oppure le predizioni che se ne trassero possono essersi verificate per caso
De ipso Roscio potest illud quidem esse falsum ut circumligatus fuerit angui, sed ut in cunis fuerit anguis non tam est mirum, in Solonio praesertim, ubi ad focum angues nundinari solent

Nam quod haruspices responderint nihil illo clarius, nihil nobilius fore, miror deos immortales histrioni futuro claritatem ostendisse, nullam ostendisse Africano

Atque etiam a te Flaminiana ostenta collecta sunt

Quod ipse et equus eius repente conciderit, non sane mirabile hoc quidam

Quod evelli primi hastati signum non potuerit, timide fortasse signifer evellebat, quod fidenter infixerat

Nam Dionysi equus quid attulit admirationis, quod emersit e flumine quodque habuit apes in iuba
Anche quanto a Roscio può essere falso che sia stato avvolto nelle spire di un serpente, ma che nella sua culla vi fosse un serpente non è tanto strano, specialmente nel Solonio, dove i serpenti sogliono radunarsi presso il focolare, come noi al mercato

Quanto, poi, al responso degli arùspici - che non vi sarebbe stato nessuno più famoso, nessuno più insigne di lui - mi meraviglio che gli dèi immortali abbiano predetto la gloria a un futuro attore, non l'abbiano minimamente predetta a Scipione l'Africano

Hai anche enumerato i prodigi riguardanti Flaminio

Che egli e il suo cavallo siano caduti tutt'a un tratto, non è davvero un gran miracolo

Quanto al fatto che l'insegna del primo manipolo di astati non poté essere divelta da terra, può darsi che il portatore dell'insegna desse prova di una certa timidezza nel divellerla, mentre l'aveva infissa di buona lena

Quanto al cavallo di Dionisio, c'era tanto da meravigliarsi per il fatto che emerse dal fiume e che delle api si posarono sulla sua criniera

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Sed quia brevi tempore regnare coepit, quod acciderat casu vim habuit ostenti

At Lacedaemoniis in Herculis fano arma sonuerunt eiusdemque dei Thebis valvae clausae subito se aperuerunt, eaque scuta, quae fuerant sublime fixa, sunt humi inventa

Eorum cum fieri nihil potuerit sine aliquo motu, quid est, cur divinitus ea potius quam casu facta esse dicamus

At in Lysandri statuae capite Delphis exstitit corona ex asperis herbis, et quidem subito

Itane

Censes ante coronam herbae exstitisse quam conceptum esse semen

Herbam autem asperam credo avium congestu, non humano satu; iam quicquid in capite est, id coronae simile videri potest
Ma siccome poco dopo divenne re, ciò che era accaduto per caso assunse il valore d'un prodigio

Ma, dirai ancora, agli spartani accadde che le armi appese nel tempio di Ercole risonassero e che a Tebe le porte del tempio di questo stesso dio, che eran chiuse, si spalancassero all'improvviso e gli scudi, che erano infissi tanto in alto nelle pareti, venissero trovati a terra

Siccome nulla di tutto ciò poté avvenire senza qualche scossa, che ragione c'è di dire che quegli eventi accaddero per volere della divinità anziché per caso

Ma a Delfi, sulla testa della statua di Lisandro, comparve una corona di erbe selvatiche, e, per di più, improvvisamente

Davvero

Pensi che una corona d'erba possa essere sorta prima che ne sia stato concepito il seme

Del resto, io credo che dell'erba selvatica non sia stata seminata da uomini, ma ammucchiata da uccelli; d'altronde, tutto ciò che si trova su una testa può apparire simile a una corona

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