Sed quoniam de extis et de fulgoribus satis est disputatum, ostenta restant, ut tota haruspicina sit pertractata Mulae partus prolatus est a te Res mirabilis, propterea quia non saepe fit; sed si fieri non potuisset, facta non esset Atque hoc contra omnia ostenta valeat: numquam, quod fieri non potuerit, esse factum; sin potuerit, non esse mirandu Causarum enim ignoratio in re nova mirationem facit; eadem ignoratio si in rebus usitatis est, non miramur Nam qui mulam peperisse miratur, is quo modo equa pariat, aut omnino quae natura partum animantis faciat, ignorat Sed quod crebro videt non miratur, etiamsi cur fiat nescit; quod ante non vidit, id si evenit ostentum esse censet |
Ma poiché abbiamo discusso a sufficienza quanto alle viscere e ai lampi, per portare a termine la trattazione di tutta l'aruspicìna rimangono i prodigi Hai rammentato il parto di una mula un fatto straordinario, perché non accade spesso; ma se non fosse potuto accadere, non sarebbe accaduto E questo argomento valga contro tutti i prodigi: ciò che non sarebbe potuto accadere non è mai accaduto; se invece è potuto accadere, non c'è motivo di stupirsi; l'ignoranza delle cause produce meraviglia dinanzi a un fatto nuovo; se la medesima ignoranza riguarda fatti consueti, non ci meravigliamo Colui che si meraviglia che una mula abbia partorito, ignora egualmente in che modo partorisca una cavalla e, in generale, quale processo naturale produca il parto di qualsiasi essere vivente Ma siccome vede che questi fatti avvengono di frequente, non si meraviglia, pur non sapendone il perché; se invece avviene una cosa che egli non ha ancora visto, ritiene che sia un prodigio |
Utrum igitur cum concepit mula an cum peperit, ostentum est Conceptio contra naturam fortasse, sed partus prope necessarius Sed quid plura Ortum videamus haruspicinae; sic facillume quid habeat auctoritatis iudicabimus Tages quidam dicitur in agro Tarquiniensi, cum terra araretur et sulcus altius esset impressus, exstitisse repente et eum adfatus esse qui arabat Is autem Tages, ut in libris est Etruscorum, puerili specie dicitur visus, sed senili fuisse prudentia Eius adspectu cum obstipuisset bubulcus clamoremque maiorem cum admiratione edidisset, concursum esse factum, totamque brevi tempore in eum locum Etruriam convenisse Tum illum plura locutum multis audientibus, qui omnia verba eius exceperint litterisque mandarint |
Il prodigio si è dunque verificato quando la mula ha concepito, o quando ha partorito Il concepimento potrebb'essere contro natura, forse; ma il parto è pressoché necessario Ma a che scopo dilungarci Vediamo l'origine dell'aruspicìna; così giudicheremo nel modo più facile quale autorità essa abbia Si dice che un contadino, mentre arava la terra nel territorio di Tarquinia, fece un solco più profondo del solito; da esso balzò su all'improvviso, un certo Tagete e rivolse la parola all'aratore Questo Tagete, a quanto si legge nei libri degli etruschi, aveva l'aspetto di un bambino, ma il senno di un vecchio Essendo rimasto stupito da questa apparizione il contadino, e avendo levato un alto grido di meraviglia, accorse molta gente, e in poco tempo tutta l'Etruria si radunò colà Allora Tagete parlò a lungo dinanzi alla folla degli ascoltatori, i quali stettero a sentire con attenzione tutte le sue parole e le misero poi per iscritto |
Omnem autem orationem fuisse eam qua haruspicinae disciplina contineretur; eam postea crevisse rebus novis cognoscendis et ad eadem illa principia referendis Haec accepimus ab ipsis, haec scripta conservant, hunc fontem habent disciplinae Num ergo opus est ad haec refellenda Carneade Num Epicuro Estne quisquam ita desipiens, qui credat exaratum esse, deum dicam an hominem Si deum, cur se contra naturam in terram abdiderat, ut patefactus aratro lucem adspiceret Quid,idem nonne poterat deus hominibus disciplinam superiore e loco tradere Si autem homo ille Tages fuit, quonam modo potuit terra oppressus vivere Unde porro illa potuit, quae docebat alios, ipse didicisse |
L'intero suo discorso fu quello in cui era contenuta la scienza dell'aruspicìna; essa poi si accrebbe con la conoscenza di altre cose che furono ricondotte a quegli stessi principi Ciò abbiamo appreso dagli etruschi stessi, quegli scritti essi conservano, quelli considerano come la fonte della loro dottrina C'è dunque bisogno di Carneade per confutare cose del genere O c'è bisogno di Epicuro Può esserci qualcuno tanto insensato da credere che un essere vivente, non saprei dire se dio o uomo, sia stato tratto di sotterra da un aratro Se devo considerarlo un dio, perché, contro la natura degli dèi, si era nascosto sotterra, sì da veder la luce solo quando fu messo allo scoperto da un aratro Non poteva, essendo un dio, esporre agli uomini la sua dottrina dall'alto Se, d'altra parte, quel Tagete era un uomo, come poté vivere soffocato dalla terra Da chi, inoltre, poté aver appreso egli stesso ciò che andava insegnando agli altri |
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Sed ego insipientior quam illi ipsi qui ista credunt, qui quidem contra eos tam diu disputem Vetus autem illud Catonis admodum scitum est, qui mirari se aiebat, quod non rideret haruspex, haruspicem cum vidisset Quota enim quaeque res evenit praedicta ab istis Aut, si evenit quippiam, quid adferri potest cur non casu id evenerit Rex Prusias, cum Hannibali apud eum exsulanti depugnari placeret, negabat se audere, quod exta prohiberent Ain tu inquit, carunculae vitulinae mavis quam imperatori veteri credere Quid, ipse Caesar cum a summo haruspice moneretur ne in Africam ante brumam tramitteret, nonne tramisit Quod ni fecisset, uno in loco omnes adversariorum copiae convenissent |
Ma sono io più sciocco di quelli che credono a queste cose, io che perdo tanto tempo a discutere contro di loro molto spiritoso quel vecchio motto di Catone, il quale diceva di meravigliarsi che un arùspice non si mettesse a ridere quando vedeva un altro arùspice Quante delle cose predette da costoro si sono verificate E se qualche evento si è verificato, quali prove si possono addurre contro l'eventualità che ciò sia accaduto per caso Il re Prusia, quando Annibale, esule presso di lui, lo esortava a far guerra a oltranza, diceva di non volersi arrischiare, perché l'esame delle viscere lo dissuadeva Dici sul serio esclamò Annibale; preferisci dar retta a un pezzetto di carne di vitella che a un vecchio condottiero E Cesare stesso, dissuaso dal sommo arùspice dall'imbarcarsi per l'Africa prima del solstizio d'inverno, non s'imbarcò egualmente Se non l'avesse fatto, tutte le truppe dei suoi avversari avrebbero avuto il tempo di concentrarsi in un solo luogo |
Quid ego haruspicum responsa commemorem (possum equidem innumerabilia), quae aut nullos habuerint exitus aut contrarios Hoc civili bello, di immortales, quam multa luserunt Quae nobis in Graeciam Roma responsa haruspicum missa sunt Quae dieta Pompeio Etenim ille admodum extis et ostentis movebatur Non lubet commemorare, nec vero necesse est, tibi praesertim qui interfuisti; vides tamen omnia fere contra ac dicta sint evenisse Sed haec hactenus; nunc ad ostenta veniamus Multa me consule a me ipso scripta recitasti, multa ante Marsicum bellum a Sisenna collecta attulisti, multa ante Lacedaemoniorum malam pugnam in Leuctris a Callisthene commemorata dixisti |
Devo mettermi a fare l'elenco (e potrei fare un elenco davvero interminabile) dei responsi degli aruspici che non hanno avuto alcun effetto o lo hanno avuto contrario alle previsioni In quest'ultima guerra civile, quante predizioni, per gli dèi immortali, ci delusero Quali responsi di arùspici ci furono trasmessi da Roma in Grecia Quali cose furono predette a Pompeo E in verità egli credeva moltissimo alle viscere e ai prodigi Non ho voglia di rammentare queste cose, e non ce n'è bisogno, meno che mai a te, che eri presente; vedi bene, tuttavia, che quasi tutto è accaduto al contrario di quel che ci era stato predetto Ma di ciò non parliamo più; ritorniamo ai prodigi Molti versi hai recitato, scritti da me, riguardanti l'anno del mio consolato; molte cose avvenute prima della guerra màrsica, riferite da Sisenna, hai rammentato; molte altre, narrate da Callistene, hai citato, che sarebbero accadute prima della sconfitta subìta dagli spartani a Leuttra |
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De quibus dicam equidem singulis, quoad videbitur; sed dicendum etiam est de universis Quae est enim ista a deis profecta significatio et quasi denuntiatio calamitatum Quid autem volunt di immortales, primum ea significantes quae sine interpretibus non possimus intellegere, deinde ea quae cavere nequeamus At hoc ne homines quidem probi faciunt, ut amicis impendentes calamitates praedicant, quas illi effugere nullo modo possint; ut medici, quamquam intellegunt saepe, tamen numquam aegris dicunt illo morbo eos esse morituros: omnis enim praedictio mali tum probatur, cum ad praedictionem cautio adiungitur Quid igitur aut ostenta aut eorum interpretes vel Lacedaemonios olim vel nuper nostros adiuverunt |
Di questi singoli fatti dirò qualcosa in seguito, entro i limiti che mi sembreranno opportuni; ma bisogna discutere anche la questione nel suo insieme Che cos'è codesta indicazione e, direi, codesta minaccia di sventure, inviata dagli dèi E che cosa vogliono gli dèi immortali, innanzi tutto col mandarci dei segni che non possiamo capire senza interpreti, in secondo luogo col predirci sventure che non possiamo evitare Ma questo non lo fanno neppure gli uomini onesti, di preannunciare agli amici sciagure incombenti alle quali essi non possono sfuggire in alcun modo; per esempio i medici, pur rendendosene conto spesso, tuttavia non dicono mai agli ammalati che la loro malattia li condurrà certamente a morte: ché ogni predizione di un pericolo grave è da approvarsi soltanto quando alla predizione si aggiunge l'indicazione dei mezzi per poter guarire Che giovamento arrecarono i prodigi e i loro interpreti agli spartani in quei tempi remoti, ai nostri poco tempo addietro |
Quae si signa deorum putanda sunt, cur tam obscura fuerunt Si enim ut intellegeremus quid esset eventurum, aperte declarari oportebat; aut ne occulte quidem, si ea sciri nolebant Iam vero coniectura omnis, in qua nititur divinatio, ingeniis hominum in multas aut diversas aut etiam contrarias partis saepe diducitur Ut enim in causis iudicialibus alia coniectura est accusatoris, alia defensoris et tamen utriusque credibilis, sic in omnibus iis rebus quae coniectura investigari videntur anceps reperitur oratio Quas autem res tum natura, tum casus adfert (nonnumquam etiam errorem creat similitudo), magna stultitia est earum rerum deos facere effectores, causas rerum non quaerere |
Se dobbiamo ritenerli segnali divini, perché erano così oscuri Se erano mandati dagli dèi perché comprendessimo che cosa sarebbe successo, bisognava che le predizioni fossero chiare; oppure, se gli dèi non volevano che noi sapessimo, non dovevano mandarci nessun segno, nemmeno occulto E in effetti ogni interpretazione, sulla quale la divinazione si basa, spesso dalle diverse mentalità degli uomini è trascinata in direzioni diverse o addirittura opposte Come nei processi una è l'interpretazione dell'accusatore, un'altra quella del difensore, e nondimeno entrambe sono plausibili, così in tutti gli argomenti che sembra si debbano investigare mediante interpretazioni congetturali si nota la possibilità di discorsi dal significato ambiguo D'altra parte, di fronte a eventi prodotti talvolta dalla natura, talaltra dal caso (e spesso anche la somiglianza tra effetti della natura e del caso è fonte di errore), rivela una grande stoltezza chi li attribuisce all'azione degli dèi, senza ricercarne le cause |
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Tu vates Boeotios credis Lebadiae vidisse ex gallorum gallinaceorum cantu victoriam esse Thebanorum, quia galli victi silere solerent, canere victores Hoc igitur per gallinas Iuppiter tantae civitati signum dabat An illae aves, nisi cum vicerunt, canere non solent At tum canebant nec vicerant: id enim est, inquies, ostentum Magnum vero, quasi pisces, non galli cecinerint Quod autem est tempus, quo illi non cantent, vel nocturnum vel diurnum Quodsi victores alacritate et quasi laetitia ad canendum excitantur, potuit accidisse alia quoque laetitia, qua ad cantum moverentur |
Tu credi che a Lebadia gl'indovini della Beozia abbiano compreso, in base al canto dei galli, che la vittoria sarebbe spettata ai tebani, perché i galli son soliti tacere quando sono vinti, cantare quando sono vincitori Dunque a una città di quella fatta Giove avrebbe dato il segnale della vittoria servendosi di miserabili galline O forse quegli uccelli non sogliono cantare se non in caso di vittoria Ma in quel caso cantavano, eppure non avevano ancora vinto: in questo, tu dirai, consiste il prodigio Gran prodigio davvero, come se avessero cantato non i galli, ma i pesci E qual tempo c'è in cui i galli non cantino, sia di notte sia di giorno Se, quando sono vincitori, si sentono spinti a cantare per una sorta di gioiosa eccitazione, avrebbe potuto accadere lo stesso anche per un altro motivo di allegrezza, che li incitasse al canto |
Democritus quidem optumis verbis causam explicat cur ante lucem galli canant: depulso enim de pectore et in omne corpus diviso et mitificato cibo, cantus edere quiete satiatos; qui quidem silientio noctis, ut ait Ennius, favent faucibus russis cantu, plausuque premunt alas Cum igitur hoc animal tam sit canorum sua sponte, quid in mentem venit Callistheni dicere deos gallis signum dedisse cantandi, cum id vel natura vel casus efficere potuisset Sanguine pluisse senatui nuntiatum est, Atratum etiam fluvium fluxisse sanguine, deorum sudasse simulacra Num censes his nuntiis Thalen aut Anaxagoran aut quemquam physicum crediturum fuisse Nec enim sanguis nec sudor nisi e corpore |
Democrito spiega con parole molto appropriate la ragione per cui i galli cantano prima dello spuntare dell'alba: una volta che il cibo sia stato smaltito dallo stomaco e distribuito per tutto il corpo e assimilato, essi cantano dopo aver raggiunto un riposo ristoratore; nel silenzio della notte, come dice Ennio, cantano di gioia con le rosse gole e starnazzano battendo le ali Poiché, dunque, questa specie di animali è tanto canora per istinto, come è venuto in mente a Callistene di dire che gli dèi hanno fatto cantare i galli come segno profetico, dal momento che la natura o il caso avrebbero potuto ottenere quello stesso effetto Fu riferito al senato che era piovuto sangue, che anche le acque del fiume Atrato si erano tinte di sangue, che le statue degli dèi avevano sudato Ritieni che Talete o Anassagora o qualsiasi altro filosofo della natura avrebbe prestato fede a simili notizie Non c'è né sangue né sudore che non fuoriesca da un corpo vivente |
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Sed et decoloratio quaedam ex aliqua contagione terrena maxume potest sanguini similis esse, et umor adlapsus extrinsecus, ut in tectoriis videmus austro, sudorem videtur imitari Atque haec in bello plura et maiora videntur timentibus, eadem non tam animadvertuntur in pace; accedit illud etiam, quod in metu et periculo cum creduntur facilius, tum finguntur impunius Nos autem ita leves atque inconsiderati sumus, ut, si mures corroserint aliquid, quorum est opus hoc unum, monstrum putemus Ante vero Marsicum bellum quod clipeos Lanuvii, ut a te dictum est, mures rossent, maxumum id portentum haruspices esse dixerunt; quasi vero quicquam intersit, mures diem noctem aliquid rodentes scuta an cribra corroserint |
Ma un mutamento di colore, provocato da qualche commistione con terra, può render l'acqua estremamente simile a sangue; e l'umidità proveniente dall'esterno, come vediamo sugli intonachi dei muri quando soffia lo scirocco, può rassomigliare al sudore Questi fatti, del resto, appaiono più numerosi e più gravi in tempo di guerra, quando c'è uno stato di paura; in tempo di pace non ci si bada altrettanto; si aggiunga anche un'altra cosa: in momenti di terrore e di pericolo non solo ci si crede con più facilità, ma si inventano più impunemente Ma noi siamo così leggeri e sconsiderati che, se i topi han rosicchiato qualcosa (e questo è l'unico lavoro al quale si dedicano), lo consideriamo un prodigio Prima della guerra màrsica, siccome i topi, come hai rammentato, avevano rosicchiato degli scudi a Lanuvio, gli arùspici dissero che questo era un prodigio dei più terribili: come se ci fosse qualche differenza a seconda che i topi, i quali giorno e notte rodono qualcosa, avessero rosicchiato degli scudi o degli stacci |