Seneca, De Ira 02: 35; 01-06

Seneca, De Ira 02: 35; 01-06

Latino: dall'autore Seneca, opera De Ira 02 parte 35; 01-06

[XXXV] [1] Numquid velit quisquam tam graviter hostem ferire ut relinquat manum in vulnere et se ab ictu revocare non possit [XXXV] [1] Cè forse qualcuno che voglia colpire nemico in maniera così violenta da lasciare la mano nella ferita e da non poter indietreggiare dopo aver inferto il colpo
Atqui tale ira telum est: vix retrahitur Eppure lira è un arma siffatta: è difficile tirarla indietro
Arma nobis expedita prospicimus, gladium commodum et habilem: non vitabimus impetus animi ~hos~ graves et onerosos et inrevocabiles Noi vediamo per tempo quali sono le armi a noi utili, una spada adatta e maneggevole: non eviteremo questi impulsi dellanimo gravi, pesanti e irrevocabili

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[2] Ea demum velocitas placet quae ubi iussa est vestigium sistit nec ultra destinata procurrit flectique et cursu ad gradum reduci potest; aegros scimus nervos esse, ubi invitis nobis moventur; senex aut infirmi corporis est qui cum ambulare vult currit: animi motus eos putemus sanissimos validissimosque qui nostro arbitrio ibunt, non suo ferentur [2] Infine è utile quella velocità che quando riceve lordine sa arrestarsi e non corre oltre il limite stabilito e può essere guidata e riportata dalla corsa al passo; sappiamo che sono malati i nervi che si muovono senza che noi lo vogliamo; chi, volendo passeggiare, corre, o è vecchio o ha il fisico malato: dobbiamo giudicare perfettamente sani e robusti quei movimenti dellanimo che avverranno con la nostra volontà e non saranno trascinati dalla loro
[3] Nihil tamen aeque profuerit quam primum intueri deformitatem rei, deinde periculum [3] Tuttavia la cosa più utile è osservare in primo luogo la bruttezza, in secondo luogo il pericolo dellira
Non est ullius adfectus facies turbatior: pulcherrima ora foedavit, torvos vultus ex tranquillissimis reddit; linquit decor omnis iratos, et sive amictus illis compositus est ad legem, trahent vestem omnemque curam sui effundent, sive capillorum natura vel arte iacentium non informis habitus, cum animo inhorrescunt; tumescunt venae; concutietur crebro spiritu pectus, rabida vocis eruptio colla distendet; tum artus trepidi, inquietae manus, totius corporis fluctuatio Nessuna passione ha un aspetto più sconvolto: suole sconciare i volti più belli, rende lo sguardo torvo da sereno che era; ogni grazia abbandona la persona adirata, e se indossa la toga secondo la regola, la trascinerà e perderà ogni cura di sé, e i capelli che si presentano bene o per loro natura o per maestria di acconciatura, si fanno ispidi con la passione; le vene si gonfiano; il petto sarà scosso da un respiro affannoso, la voce che esplode rabbiosa ingrosserà il collo; infine gli arti non hanno pace, le mani si muovono, tutto il corpo trema
[4] Qualem intus putas esse animum cuius extra imago tam foeda est [4] Come pensi che sia interiormente lanimo se il suo aspetto esteriore è tanto sconcio
Quanto illi intra pectus terribilior vultus est, acrior spiritus, intentior impetus, rupturus se nisi eruperit Quanto più spaventoso è il suo aspetto entro il petto, più ansimante il respiro, più teso lo slancio, destinato a scoppiare se non trova una via duscita
[5] Quales sunt hostium vel ferarum caede madentium aut ad caedem euntium aspectus, qualia poetae inferna monstra finxerunt succincta serpentibus et igneo flatu, quales ad bella excitanda discordiamque in populos dividendam pacemque lacerandam deae taeterrimae inferum exeunt, talem nobis iram figuremus, flamma lumina ardentia, sibilo mugituque et gemitu et stridore et si qua his invisior vox est perstrepentem, tela manu utraque quatientem (neque enim illi se tegere curae est), torvam cruentamque et cicatricosam et verberibus suis lividam, incessus vesani, offusam multa caligine, incursitantem vastantem fugantemque et omnium odio laborantem, sui maxime, si aliter nocere non possit, terras maria caelum ruere cupientem, infestam pariter invisamque [5] Come è laspetto dei nemici o delle fiere che grondano sangue o procedono a fare strage, come i poeti hanno immaginato i mostri infernali avvolti da serpenti e con la bocca che vomita fuoco, come escono le tremende dee degli Inferi a scatenare guerre, per se minare la discordia tra i popoli e per distruggere la pace, così immaginiamoci lira, che con lo sguardo di fuoco schiamazza con fischi, muggiti, gemiti, stridori e quant altri suoni vi sono di questi più odiosi, palleggia i giavellotti con entrambe le mani (poiché non si preoccupa di coprirsi), aggrondata, imbrattata di sangue, coperta di cicatrici e di lividi per le sue stesse battiture, dallandatura squilibrata, avvolta di fitta nebbia, che assalta, devasta, mette in fuga, ed è travagliata da odio contro tutti, soprattutto contro se stessa, e brama, se non può nuocere in altro modo, di distruggere terra, mare e cielo, nemica e odiosa a un tempo
[6] Vel, si videtur, sit qualis apud vates nostros est sanguineum quatiens dextra Bellona flagellum aut scissa gaudens vadit Discordia palla aut si qua magis dira facies excogitari diri adfectus potest [6] Oppure, se ci garba, sia come la descrivono i nostri poeti: Scuote Bellona con la mano destra la frusta insanguinata oppure: Discordia incede lieta col manto lacerato o se si può immaginare un aspetto più atroce duna passione atroce
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