Livio, Ab urbe condita: Libro 21; 51-63

Livio, Ab urbe condita: Libro 21; 51-63

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 21; 51-63
[51] A Lilybaeo consul, Hierone cum classe regia dimisso relictoque praetore ad tuendam Siciliae oram, ipse in insulam Melitam, quae a Carthaginiensibus tenebatur, traiecit

Aduenienti Hamilcar Gisgonis filius, praefectus praesidii, cum paulo minus duobus milibus militum oppidumque cum insula traditur

Inde post paucos dies reditum Lilybaeum captiuique et a consule et a praetore, praeter insignes nobilitate uiros, sub corona uenierunt

Postquam ab ea parte satis tutam Siciliam censebat consul, ad insulas Uolcani, quia fama erat stare ibi Punicam classem, traiecit; nec quisquam hostium circa eas insulas inuentus

iam forte transmiserant ad uastandam Italiae oram depopulatoque Uibonensi agro urbem etiam terrebant
[51]Il console, congedati Gerone e la sua flotta e lasciato il pretore per proteggere le spiagge della Sicilia, passò ad occupare Malta, che era tenuta dai Cartaginesi

A lui, appena giunto, si arrese Amilcare, figlio di Gisgone, prefetto del presidio, con poco meno di duemila soldati; con lui capitolò anche la fortezza insieme con l'isola

Biondi dopo pochi giorni i Romani tornarono al Lilibeo, dove il console e il pretore posero in vendita come schiavi i prigionieri, esclusi alcuni insigni per antica nobiltà

Il console, ritenendo che da quella parte la Sicilia fosse abbastanza sicura, passò alle isole Lipari dove si diceva che si fosse rifugiata la flotta cartaginese; tuttavia, nei pressi di quelle isole non fu trovato alcun nemico

I Cartaginesi, infatti, erano già passati a devastare il litorale dell'Italia ed ora, dopo aver saccheggiato la campagna di Vibo, spargevano terrore nella città
Repetenti Siciliam consuli escensio hostium in agrum Uibonensem facta nuntiatur, litteraeque ab senatu de transitu in Italiam Hannibalis et ut primo quoque tempore collegae ferret auxilium missae traduntur

Multis simul anxius curis exercitum extemplo in naues impositum Ariminum mari supero misit

Sex Pomponio legato cum uiginti quinque longis nauibus Uibonensem agrum maritimamque oram Italiae tuendam attribuit, M Aemilio praetori quinquaginta nauium classem expleuit

Ipse compositis Siciliae rebus decem nauibus oram Italiae legens Ariminum peruenit

Inde cum exercitu suo profectus ad Trebiam flumen collegae coniungitur

[52] Iam ambo consules et quidquid Romanarum uirium erat Hannibali oppositum aut illis copiis defendi posse Romanum imperium aut spem nullam aliam esse satis declarabat
Al console che tornava in Sicilia, fu riferito lo sbarco dei nemici nel territorio di Vibo; a lui venne poi consegnata da parte del senato una lettera che lo informava del passaggio di Annibale in Italia e gli ordinava di portare al più presto possibile aiuto al collega

Affannato da tante preoccupazioni nello stesso momento, il console, imbarcato subito l'esercito sulle navi, lo mandò a Rimini lungo l'Adriatico

Al luogotenente Sesto Pomponio diede poi l'incarico di proteggere con venticinque navi da guerra la zona di Vibo e le coste dell'Italia; al pretore M Lepido affidò una flotta di quaranta navi

Egli stesso, sistemate le cose in Sicilia, con dieci navi giunse a Rimini, costeggiando il litorale italico

Di qui partito col suo esercito si congiunse con quello del collega presso il fiume Trebbia

52 L'aver opposto ad Annibale ambedue i consoli con tutte le forze disponibili, dimostrava chiaramente che o con quei soldati si doveva difendere il dominio di Roma, oppure ormai ogni altra speranza era perduta
Tamen consul alter, equestri proelio uno et uolnere suo comminutus, trahi rem malebat; recentis animi alter eoque ferocior nullam dilationem patiebatur

Quod inter Trebiam Padumque agri est Galli tum incolebant, in duorum praepotentium populorum certamine per ambiguum fauorem haud dubie gratiam uictoris spectantes

Id Romani, modo ne quid mouerent, aequo satis, Poenus periniquo animo ferebat, ab Gallis accitum se uenisse ad liberandos eos dictitans

Ob eam iram, simul ut praeda militem aleret, duo milia peditum et mille equites, Numidas plerosque, mixtos quosdam et Gallos, populari omnem deinceps agrum usque ad Padi ripas iussit
Tuttavia, uno dei due consoli, Scipione, diminuito nelle forze a causa della ferita e dell'insuccesso della battaglia equestre, preferiva trascinare in lungo la cosa; l'altro, invece, Sempronio, fresco di forze e di coraggio, e perciò più bellicoso, non tollerava alcun indugio

I Galli abitavano allora tutto il territorio compreso fra la Trebbia ed il Po e, nel duello fra due popoli potentissimi, si comportavano mostrandosi amici agli uni ed agli altri, mirando in realtà ad acquistarsi il favore del vincitore

I Romani tolleravano abbastanza pazientemente questo atteggiamento, purché i Galli non creassero difficoltà; ad Annibale, invece, la cosa spiaceva moltissimo, perciò andava ripetendo che egli era stato chiamato dai Galli perché li liberasse

A causa di tale sdegno ed anche per procurare mezzi di sussistenza ai suoi soldati, comandò che duemila fanti e mille cavalieri, la maggior parte Numidi mescolati ad alcuni Galli, saccheggiassero l'uno dopo l'altro tutti i territori dal proprio campo fino alla riva destra del Po

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Livio, Ab urbe condita: Libro 02, 01-10
Livio, Ab urbe condita: Libro 02, 01-10

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 02, 01-10

Egentes ope Galli, cum ad id dubios seruassent animos, coacti ab auctoribus iniuriae ad uindices futuros declinant legatisque ad consulem missis auxilium Romanorum terrae ob nimiam cultorum fidem in Romanos laboranti orant

Cornelio nec causa nec tempus agendae rei placebat suspectaque ei gens erat cum ob infida multa facinora, tum, ut alia uetustate obsoleuissent, ob recentem Boiorum perfidiam: Sempronius contra continendis in fide sociis maximum uinculum esse primos qui eguissent ope defensos censebat

Tum collega cunctante equitatum suum mille peditum, iaculatoribus ferme, admixtis ad defendendum Gallicum agrum trans Trebiam mittit
I Galli privi di difesa, mentre avevano fino a quel momento conservato un contegno incerto, spinti da coloro che li avevano danneggiati, si volsero verso quelli che avrebbero saputo vendicarli e, mandati ambasciatori ai consoli, invocarono l'aiuto dei Romani per quella loro terra, che ora soffriva le conseguenze della forse eccessiva fedeltà dei suoi abitanti verso i Romani stessi

A Cornelio non parvero opportuni per agire né la causa né il momento; d'altro lato quella gente gli era sospetta, sia per le molte prove di infedeltà, sia, ammesso pure che il tempo avesse di quelle logorato il ricordo, per la recente slealtà dei Boi: Sempronio, al contrario, rite neva che al fine di conservare fedeli gli alleati, il vincolo più sicuro stesse nel difendere i primi che avessero avuto bisogno di aiuto

Allora, mentre il collega esitava, Sempronio mandò la sua cavalleria insieme con mille fanti, quasi tutti saettatori, a difesa del territorio dei Galli al di là della Trebbia
Sparsos et incompositos, ad hoc graues praeda plerosque cum inopinato inuasissent, ingentem terrorem caedemque ac fugam usque ad castra stationesque hostium fecere

unde multitudine effusa pulsi, rursus subsidio suorum proelium restituere

Uaria inde pugna [inter recedentes in]sequentesque, cumque ad extremum aequassent certamen, maior tamen hostium [cum caedes esset, penes] Romanos fama uictoriae fuit

[53] Ceterum nemini omnium maior ea iustiorque quam ipsi consuli uideri; gaudio efferri, qua parte copiarum alter consul uictus foret, ea se uscisse
I Romani, avendo all'improvviso assalito i Cartaginesi disordinati e sbandati, e per di più nella maggior parte carichi di preda, provocarono gran terrore e strage facendo fuggire i nemici fino ai loro accampamenti ed ai loro corpi di guardia

Di qui i Romani, per quanto respinti da una moltitudine che si era precipitata fuori dai presidi, poterono, tuttavia, di nuovo riprendere la battaglia con l'aiuto di altre forze inviate dal console

Quindi la battaglia si svolse con varia fortuna e, benché fino all'ultimo l'equilibrio della lotta fosse ristabilito dal fatto che ora i contendenti avanzavano, ora si ritiravano in buon ordine, tuttavia, il numero maggiore degli uccisi diede ai Romani la fama della vittoria

53 A nessuno, peraltro, quella vittoria parve più grande e più giusta che allo stesso console [Sempronio], che andava superbo per la gioia di aver vinto con quello stesso corpo di soldati, col quale l'altro console [Scipione] era stato sconfitto

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Livio, Ab urbe condita: Libro 22; 41-50
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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 22; 41-50

restitutos ac refectos militibus animos nec quemquam esse praeter collegam qui dilatam dimicationem uellet; eum, animo magis quam corpore aegrum memoria uolneris aciem ac tela horrere

Sed non esse cum aegro senescendum

Quid enim ultra differri aut teri tempus

Quem tertium consulem, quem alium exercitum exspectari

Castra Carthaginiensium in Italia ac prope in conspectu urbis esse

Non Siciliam ac Sardiniam, uictis ademptas, nec cis Hiberum Hispaniam peti sed solo patrio terraque in qua geniti forent pelli Romanos

Quantum ingemiscant inquit patres nostri, circa moenia Carthaginis bellare soliti, si uideant nos, progeniem suam, duos consules consularesque exercitus, in media Italia pauentes intra castra, Poenum quod inter Alpes Appenninumque agri sit suae dicionis fecisse
[Sempronio] sosteneva che l'animo dei soldati si era riconfortato e rinvigorito, né vi era alcuno che volesse differire la battaglia decisiva, escluso il collega, che, malato nell'animo più che nel corpo per il ricordo della ferita ricevuta, aveva in orrore le armi e il campo di battaglia

Non bisognava dunque impigrirsi a causa di un malato

A che scopo, infatti, rimandare ancora e perdere del tempo prezioso

Qual era il terzo console e quale l'altro esercito che si doveva no aspettare

Ormai gli accampamenti dei Cartaginesi erano in Italia, quasi in cospetto di Roma

Non si mirava alla Sicilia ed alla Sardegna già tolte ai vinti, né alla Spagna di qua dall'Ebro, ma ora si trattava dei Romani cacciati dal suolo della patria e da quella terra nella quale erano nati

Quanto dolore, disse, proverebbero i nostri padri soliti a combattere sotto le mura di Cartagine, se vedessero noi nati da loro, due consoli e due eserciti consolari, starsene spaventati negli accampamenti nel bel mezzo dell'Italia, mentre Annibale ha ormai ridotto in suo dominio tutte le terre fra le Alpi e l'Appennino
Haec adsidens aegro collegae, haec in praetorio prope contionabundus agere

Stimulabat et tempus propinquum comitiorum, ne in nouos consules bellum differretur, et occasio in se unum uertendae gloriae, dum aeger collega erat

Itaque nequiquam dissentiente Cornelio parari ad propinquum certamen milites iubet

Hannibal cum quid optimum foret hosti cerneret, uix ullam spem habebat temere atque improuide quicquam consules acturos; cum alterius ingenium, fama prius, deinde re cognitum, percitum ac ferox sciret esse ferociusque factum prospero cum praedatoribus suis certamine crederet, adesse gerendae rei fortunam haud diffidebat
Queste cose conduceva al collega malato, queste cose quasi arringasse nella tenda del generale

Lo stimolava anche il fatto che era vicina l'epoca dei comizi, per cui egli temeva che la guerra fosse rimandata fino alla nomina dei nuovi consoli e che egli dovesse perdere l'occasione di avere tutta per sé la gloria, mentre il collega era infermo

Pertanto, essendo ormai vana ogni opposizione à da parte di Cornelio Scipione, Sempronio comandò ai soldati di prepararsi alla battaglia imminente

Annibale, pur scorgendo quale sarebbe stata per il nemico la miglior decisione da prendere, tuttavia, osava appena sperare che i consoli avrebbero compiuto qualchemossa temeraria ed imprudente; ma, ben conoscendo, prima per fama, poi per esperienza diretta, che l'indole di uno dei due consoli era fiera ed impetuosa e supponendo che fosse divenuta ancor più bellicosa a causa del felice esito del combattimento contro i suoi predatori, non disperava che gli si sarebbe presentata l'occasione di venire ad una battaglia decisiva [coi Romani]

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Livio, Ab urbe condita: Libro 24; 41-49
Livio, Ab urbe condita: Libro 24; 41-49

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 24; 41-49

Cuius ne quod praetermitteret tempus, sollicitus intentusque erat, dum tiro hostium miles esset, dum meliorem ex ducibus inutilem uolnus faceret, dum Gallorum animi uigerent, quorum ingentem multitudinem sciebat segnius secuturam quanto longius ab domo traherentur

Cum ob haec taliaque speraret propinquum certamen et facere, si cessaretur, cuperet speculatoresque Galli, ad ea exploranda quae uellet tutiores quia in utrisque castris militabant, paratos pugnae esse Romanos rettulissent, locum insidiis circumspectare Poenus coepit

[54] Erat in medio riuus praealtis utrimque clausus ripis et circa obsitus palustribus herbis et quibus inculta ferme uestiuntur, uirgultis uepribusque
Annibale era preoccupato ed ansioso che non gli sfuggisse il momento opportuno per approfittare della fortuna, finché i soldati nemici fossero ancora delle reclute ed, a causa della ferita, l'opera del migliore dei due capitani fosse resa inutile e finché l'animo dei Galli fosse ancora ardito e pronto; sapeva, infatti, che la gran moltitudine di essi lo avrebbe seguito tanto più stancamente quanto più fosse condotta lontano dalle proprie terre

Per tutte queste ragioni, sperando che la battaglia fosse vicina e desiderando di provocarla se vi fosse stato indugio da parte dei Romani, dopo che da alcuni esploratori dei Galli, più atti a scoprire quello che egli voleva sapere, perché i Galli militavano nell'uno e nell'altro campo, fu informato che i Romani erano pronti alla battaglia, Annibale cominciò a guardare intorno per trovare un luogo facile alle insidie

54 Vi era nel mezzo un corso d'acqua chiuso da ambedue i lati da alte rive e serrato da erbe palustri e da quella specie di vegetazione di virgulti e di rovi, dalla quale sono rivestiti quasi tutti i luoghi incolti
Quem ubi equites quoque tegendo satis latebrosum locum circumuectus ipse oculis perlustrauit, hic erit locus Magoni fratri ait quem teneas

Delige centenos uiros ex omni pedite atque equite cum quibus ad me uigilia prima uenias; nunc corpora curare tempus est

Ita praetorium missum

Mox cum delectis Mago aderat

Robora uirorum cerno inquit Hannibal; sed uti numero etiam, non animis modo ualeatis, singulis uobis nouenos ex turmis manipulisque uestri similes eligite

Mago locum monstrabit quem insideatis; hostem caecum ad has belli artes habetis
Allorché Annibale girando intorno ebbe perlustrato il luogo, vedendo che esso, boscoso e pieno di nascondigli, si prestava a coprire anche dei soldati a cavallo, Questo sarà il luogo, disse al fratello Magone, che tu dovrai occupare

Scegli cento uomini tra i fanti e i cavalieri, coi quali verrai da me alla prima vigilia; adesso è il momento di pensare alle cure del corpo

così fu sciolto il consiglio di guerra

Al momento fissato Magone si presentò con le truppe scelte

Scorgo i più forti dei soldati, disse Annibale, ma perché possiate ere non solo per coraggio, ma anche per numero, ciascuno di voi scelga dagli squadroni di cavalleria e dai manipoli della fanteria nove uomini simili a sé

Magone mostrerà il luogo, nel quale dovete appostarvi; avete vanti a voi un nemico inesperto di tali arti di guerra

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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 25; 21-30

Ita [cum] mille equitibus Magone, mille peditibus dimisso Hannibal prima luce Numidas equites transgressos Trebiam flumen obequitare iubet hostium portis iaculandoque in stationes elicere ad pugnam hostem, iniecto deinde certamine cedendo sensim citra flumen pertrahere

Haec mandata Numidis: ceteris ducibus peditum equitumque praeceptum ut prandere omnes iuberent, armatos deinde instratisque equis signum exspectare

Sempronius ad tumultum Numidarum primum omnem equitatum, ferox ea parte uirium, deinde sex milia peditum, postremo omnes copias ad destinatum iam ante consilio auidus certaminis eduxit

Erat forte brumae tempus et niualis dies in locis Alpibus Appenninoque interiectis, propinquitate etiam fluminum ac paludum praegelidis
Fatti così partire con Magone mille cavalieri e mille fanti; Annibale all'alba comandò ai cavalieri Numidi di attraversare il fiume Trebbia e di portarsi a cavallo dinanzi alle porte del nemico gettando dardi contro i posti di guardia, in modo da provocare i Romani alla battaglia; quando si fosse attaccato il combattimento i Numidi avrebbero dovuto ritirarsi a poco a poco attirando i nemici al di qua del fiume

Queste furono le disposizioni date ai Numidi; agli altri comandanti di fanteria e di cavalleria Annibale diede ordine perché tutti i loro soldati facessero colazione e poi in armi, su cavalli sellati, aspettassero il segnale

Sempronio, dinanzi al tumulto dei Numidi, condusse fuori dapprima tutta la cavalleria, orgoglioso di quella formazione militare, poi fece uscire seimila fanti, in ultimo tutte le milizie con quell'intento che ormai da tempo si era proposto, avido com'era di attaccare battaglia

Era, per caso, l'inizio dell'inverno ed erano giorni di neve nei luoghi posti tra le Alpi e l'Appennino; il clima era molto rigido anche a causa dei fiumi e delle paludi

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