Livio, Ab urbe condita: Libro 04, 32-37

Livio, Ab urbe condita: Libro 04, 32-37

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 04, 32-37

cum trepidam civitatem praeconibus per vicos dimissis dictator ad contionem advocatam increpuit quod animos ex tam leuibus momentis fortunae suspensos gererent ut parua iactura accepta, quae ipsa non virtute hostium nec ignavia Romani exercitus sed discordia imperatorum accepta sit, Veientem hostem sexiens victum pertimescant Fidenasque prope saepius captas quam oppugnatas

Eosdem et Romanos et hostes esse qui per tot saecula fuerint; eosdem animos, easdem corporis vires, eadem arma gerere

Se quoque eundem dictatorem Mam Aemilium esse qui antea Veientium Fidenatiumque adiunctis Faliscis ad Nomentum exercitus fuderit, et magistrum equitum A Cornelium eundem in acie fore qui priore bello tribunus militum, Larte Tolumnio rege Veientium in conspectu duorum exercituum occiso, spolia opima Iouis Feretrii templo intulerit
E il dittatore, mandati i banditori in giro per i quartieri, convocò in assemblea i cittadini smarriti e li rimproverò di essersi persi d'animo per un così lieve mutamento della sorte; per aver subito un piccolo scacco, oltretutto non dovuto al valore dei nemici o all'ignavia dell'esercito romano, ma alla mancanza di intesa tra i generali, avevano timore dei Veienti, da loro in passato già sconfitti ben sei volte, e di Fidene, città più spesso espugnata che assediata

Sia i Romani che i nemici erano gli stessi da molte generazioni: stesso carattere, stessa forza fisica, stesse armi

E anche lui era lo stesso dittatore Mamerco Emilio che, poco tempo prima, aveva sbaragliato a Nomento gli eserciti di Veienti e Fidenati, ai quali si erano uniti i Falisci; come maestro della cavalleria in campo di battaglia ci sarebbe stato quello stesso Aulo Cornelio che nella guerra precedente, come tribuno militare, aveva ucciso davanti a due eserciti il re dei Veienti Larte Tolumnio, e ne aveva portato poi le spoglie opime nel tempio di Giove Feretrio
Proinde memores secum triumphos, secum spolia, secum victoriam esse, cum hostibus scelus legatorum contra ius gentium interfectorum, caedem in pace Fidenatium colonorum, indutias ruptas, septimam infelicem defectionem, arma caperent

Simul castra castris coniunxissent, satis confidere nec sceleratissimis hostibus diuturnum ex ignominia exercitus Romani gaudium fore, et populum Romanum intellecturum quanto melius de re publica meriti sint qui se dictatorem tertium dixerint quam qui ob ereptum censurae regnum labem secundae dictaturae suae imposuerint

Votis deinde nuncupatis profectus mille et quingentos passus citra Fidenas castra locat, dextra montibus, laeua Tiberi amne saeptus

T Quinctium Poenum legatum occupare montes iubet occultumque id iugum capere, quod ab tergo hostibus foret
Prendessero quindi le armi, ricordandosi che dalla parte loro c'erano i trionfi, le spoglie e la vittoria, mentre da quella del nemico l'orrendo assassinio degli ambasciatori uccisi contro il diritto delle genti, il massacro in tempo di pace dei coloni di Fidene, la rottura della tregua e la settima ribellione destinata a non avere successo

Non appena i due eserciti si fossero trovati a contatto, quegli infami nemici non si sarebbero rallegrati a lungo, ne era sicuro, dell'umiliazione inflitta all'esercito romano e il popolo romano avrebbe capito quanto più meritevoli verso la repubblica fossero quelli che lo avevano nominato dittatore per la terza volta di coloro che avevano bollato di infamia la sua seconda nomina, perché aveva tolto potere ai censori

Quindi parte, dopo aver pronunciato solenni voti agli dèi, e si accampa a un miglio e mezzo da Fidene, protetto dalle alture a destra e dal fiume Tevere a sinistra

Al suo luogotenente Quinzio Peno ordina di occupare i monti e di prendere posizione su di un colle situato alle spalle dei nemici e fuori dalla loro vista
Ipse postero die cum Etrusci pleni animorum ab pristini diei meliore occasione quam pugna in aciem processissent, cunctatus parumper dum speculatores referrent Quinctium euasisse in iugum propinquum arci Fidenarum, signa profert peditumque aciem instructam pleno gradu in hostem inducit

Magistro equitum praecipit ne iniussu pugnam incipiat: se cum opus sit equestri auxilio signum daturum; tum ut memor regiae pugnae, memor opimi doni Romulique ac Iouis Feretri rem gereret

Legiones impetu ingenti confligunt

Romanus odio accensus impium Fidenatem, praedonem Veientem, ruptores indutiarum, cruentos legatorum infanda caede, respersos sanguine colonorum suorum, perfidos socios, imbelles hostes compellans, factis simul dictisque odium explet
Il mattino dopo, quando gli Etruschi avanzarono in ordine di battaglia, resi euforici dal successo del giorno precedente, dovuto più alla fortuna che al valore, il dittatore temporeggiò fino a quando le vedette gli riferirono che Quinzio aveva raggiunto la sommità del colle vicino alla cittadella di Fidene; allora diede ordine di muoversi, guidando lui stesso a passo di carica la fanteria in assetto di guerra contro il nemico

Al maestro della cavalleria diede disposizione di combattere solo al suo comando: quando avesse avuto bisogno dell'intervento della cavalleria avrebbe dato un segnale; allora sì Aulo Cornelio avrebbe dovuto dimostrare sul campo di non aver dimenticato la vittoria sul re etrusco, il dono opimo, Romolo e Giove Feretrio

Lo scontro tra le due armate fu tremendo

Infiammati dall'odio, i Romani chiamano traditori i Fidenati e predoni i Veienti; dicono che sono violatori di tregue, macchiati del barbaro assassinio degli ambasciatori e con le mani ancora sporche del sangue dei loro stessi coloni, alleati infidi e nemici imbelli; così, con i fatti e con le parole, saziano il loro odio

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Livio, Ab urbe condita: Libro 35; 06 - 10
Livio, Ab urbe condita: Libro 35; 06 - 10

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 35; 06 - 10

Concusserat primo statim congressu hostem cum repente patefactis Fidenarum portis nova erumpit acies, inaudita ante id tempus inuisitataque

Ignibus armata ingens multitudo facibusque ardentibus tota conlucens, velut fanatico instincta cursu in hostem ruit, formaque insolitae pugnae Romanos parumper exterruit

Tum dictator, magistro equitum equitibusque, tum ex montibus Quinctio accito, proelium ciens ipse in sinistrum cornu, quod, incendio similius quam proelio, territum cesserat flammis, accurrit claraque voce 'Fumone victi' inquit, 'uelut examen apum, loco vestro exacti inermi cedetis hosti

Non ferro exstinguetis ignes

Non faces has ipsas pro se quisque, si igni, non telis pugnandum est, ereptas ultro infertis
Avevano fatto vacillare la resistenza dei nemici già al primo urto, quando all'improvviso si spalancarono le porte di Fidene e dalla città fuoriuscì uno strano esercito, inaudito e inusitato fino a quel momento

Un'immensa moltitudine armata di fuochi, tutta sfavillante di torce ardenti che, lanciata in una corsa folle, si riversò sul nemico; per un momento quell'insolito modo di combattere sbigottì i Romani

Allora il dittatore chiamò a sé il maestro della cavalleria coi suoi uomini e Quinzio dalle alture; quindi, ravvivando egli stesso la battaglia, si precipitò all'ala sinistra che, come se si fosse trovata nel mezzo di un incendio più che in un combattimento, aveva cominciato a ripiegare terrorizzata dalle fiamme, e gridò: Vinti dal fumo come uno sciame di api, cacciati dalla vostra posizione, cederete a un nemico senz'armi

Non volete spegnere il fuoco con la spada

Se c'è da combattere col fuoco e non con le armi, perché non andate a strappare tutte quelle torce e non attaccate il nemico con le sue stesse armi
Agite, nominis Romani ac virtutis patrum vestraeque memores vertite incendium hoc in hostium urbem, et suis flammis delete Fidenas, quas vestris beneficiis placare non potuistis

Legatorum hoc vos vestrorum colonorumque sanguis vastatique fines monent

Ad imperium dictatoris mota cuncta acies

Faces partim emissae excipiuntur, partim vi eripiuntur: utraque acies armatur igni

Magister equitum et ipse novat pugnam equestrem

Frenos ut detrahant equis imperat, et ipse princeps calcaribus subditis euectus effreno equo in medios ignes infertur, et alii concitati equi libero cursu ferunt equitem in hostem

Puluis elatus mixtusque fumo lucem ex oculis virorum equorumque aufert

Ea quae militem terruerat species nihil terruit equos; ruinae igitur similem stragem eques quacumque peruaserat dedit
Avanti; memori del nome di Roma e del coraggio dei vostri padri e vostro: deviate quest'incendio sulla città nemica e distruggete con le sue stesse fiamme Fidene, che con i vostri benefici non siete riusciti a placare

Vi spingono a farlo il sangue dei vostri ambasciatori e dei coloni e la vostra terra messa a ferro e fuoco

Tutto l'esercito si mise in moto agli ordini del dittatore

Raccolsero le torce che erano state lanciate, altre le strapparono con la forza ai nemici, così ora entrambi gli eserciti erano armati di fuoco

Il maestro della cavalleria da parte sua escogita un nuovo tipo di battaglia equestre

Ordina di togliere il morso ai cavalli, e per primo, dato di sprone, a briglia sciolta si getta in mezzo alle fiamme; e gli altri cavalli, spronati a correre senza più alcun impedimento, trascinano i cavalieri contro il nemico

La polvere che si alza, mista al fumo delle torce, offusca la vista a uomini e cavalli

Ma lo spettacolo inatteso che poco prima aveva atterrito i soldati non atterrì i cavalli, così i cavalieri seminarono morte e devastazione dovunque passavano

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Livio, Ab urbe condita: Libro 42; 16 - 31
Livio, Ab urbe condita: Libro 42; 16 - 31

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 42; 16 - 31

Clamor deinde accidit novus; qui cum utramque mirabundam in se aciem vertisset, dictator exclamat Quinctium legatum et suos ab tergo hostem adortos; ipse redintegrato clamore infert acrius signa

Cum duae acies, duo diversa proelia circumventos Etruscos et a fronte et ab tergo urgerent, neque in castra retro neque in montes, unde se novus hostis obiecerat, iter fugae esset, et equitem passim liberi frenis distulissent equi, Veientium maxima pars Tiberim effusi petunt, Fidenatium qui supersunt ad urbem Fidenas tendunt

Infert pauidos fuga in mediam caedem; obtruncantur in ripis; alios in aquam compulsos gurgites ferunt; etiam peritos nandi lassitudo et volnera et pauor degrauant; pauci ex multis tranant
Si udì un nuovo clamore di guerra che attirò l'attenzione di entrambi gli eserciti; e il dittatore gridò allora che il luogotenente Quinzio aveva attaccato il nemico alle spalle; poi, lui stesso, ripetuto l'urlo di guerra, si butta all'assalto con più accanimento

Due eserciti, con due diversi modi di combattere, incalzavano e circondavano, di fronte e alle spalle, gli Etruschi, che non avevano alcuna possibilità di ritirarsi nell'accampamento o sulle alture, dove era spuntato a frapporsi un nuovo contingente nemico; mentre i cavalli, non più trattenuti dal morso, avevano trascinato da ogni parte i cavalieri, la maggior parte dei Veienti disordinatamente si dirige verso il Tevere, e i Fidenati superstiti cercano di raggiungere la città di Fidene

La fuga porta quegli uomini terrorizzati incontro alla morte: alcuni cadono trucidati sulle rive del fiume, altri, costretti a buttarsi in acqua, vengono travolti dalla corrente; anche gli esperti nuotatori sono sopraffatti dallo sfinimento, dalle ferite e dalla paura; fra tanti solo pochi riescono a raggiungere a nuoto la riva opposta
Alterum agmen fertur per castra in urbem

Eadem et Romanos sequentes impetus rapit, Quinctium maxime et cum eo degressos modo de montibus, recentissimum ad laborem militem, quia ultimo proelio advenerat

Hi postquam mixti hostibus portam intravere, in muros euadunt, suisque capti oppidi signum ex muro tollunt

Quod ubi dictator conspexit- iam enim et ipse in deserta hostium castra penetrauerat,-cupientem militem discurrere ad praedam, spe iniecta maioris in urbe praedae, ad portam ducit, receptusque intra muros in arcem quo ruere fugientium turbam videbat pergit

Nec minor caedes in urbe quam in proelio fuit donec abiectis armis nihil praeter vitam petentes dictatori deduntur

Urbs castraque diripiuntur
L'altra parte dell'esercito ripara in città passando attraverso l'accampamento

Trascinati dall'impeto, anche i Romani si buttano in quella direzione, specialmente Quinzio e i soldati che, appena scesi con lui dalle alture, sono più freschi e pronti alle fatiche, perché giunti alla fine dello scontro

Entrati in città mescolati ai nemici, gli uomini di Quinzio salgono sulle mura da dove danno ai compagni il segnale che la città è stata presa

Appena il dittatore lo vide - era anche lui già penetrato nell'accampamento deserto dei nemici -, conduce verso la porta i soldati impazienti di precipitarsi sul bottino, facendo loro balenare la speranza di ottenerne molto di più in città; e, accolto all'interno delle mura, marcia senza indugi in direzione della cittadella, dove vedeva riversarsi la massa scomposta dei fuggitivi

In città il massacro non fu certo minore che in battaglia; infine i nemici, gettate le armi, si consegnano al dittatore, chiedendo soltanto di aver salva la vita

Città e accampamento vengono messi a sacco

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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 05, 21-25

Postero die singulis captiuis ab equite ac centurione sorte ductis et, quorum eximia virtus fuerat, binis, aliis sub corona venundatis, exercitum victorem opulentumque praeda triumphans dictator Romam reduxit

Iussoque magistro equitum abdicare se magistratu, ipse deinde abdicat, die sexto decimo reddito in pace imperio quod in bello trepidisque rebus acceperat

Classi quoque ad Fidenas pugnatum cum Veientibus quidam in annales rettulere, rem aeque difficilem atque incredibilem, nec nunc lato satis ad hoc amne et tum aliquanto, ut a veteribus accepimus, artiore, nisi in traiectus forte fluminis prohibendo aliquarum nauium concursum in maius, ut fit, celebrantes naualis victoriae uanum titulum appetivere
Il giorno dopo, tra cavalieri e centurioni venne sorteggiato un prigioniero a testa; due ne toccarono a quanti avevano dato prova di grandissimo valore; il resto dei nemici venne venduto all'asta e il dittatore ricondusse in trionfo a Roma l'esercito vincitore e coperto di prede

Dopo aver ordinato al maestro della cavalleria di dimettersi dalla carica, abdicò anche lui, restituendo dopo quindici giorni in pace, quel potere che aveva accettato in guerra, quando la situazione era critica

Alcuni nei loro annali hanno riportato che presso Fidene ci fu anche una battaglia navale coi Veienti; la cosa è però assai improbabile perché neppure oggi il fiume è sufficientemente largo, e allora - come ci informano gli antichi - era assai più stretto; a meno che, come spesso succede, lo scontro fortuito di alcune navi che cercavano di impedire il guado del fiume, non sia stato esagerato per attribuirsi il vanto, ingiustificato, di una vittoria navale
Insequens annus tribunos militares consulari potestate habuit A Sempronium Atratinum L Quinctium Cincinnatum L Furium Medullinum L Horatium Barbatum

Veientibus annorum viginti indutiae datae et Aequis triennii, cum plurium annorum petissent; et a seditionibus urbanis otium fuit

Annum insequentem neque bello foris neque domi seditione insignem ludi bello uoti celebrem et tribunorum militum apparatu et finitimorum concursu fecere

Tribuni consulari potestate erant Ap Claudius Crassus Sp Nautius Rutulus, L Sergius Fidenas Sex Iulius Iulus

Spectaculum comitate etiam hospitum, ad quam publice consenserant, advenis gratius fuit
L'anno successivo furono tribuni militari con potere consolare Aulo Sempronio Atratino, Lucio Quinzio Cincinnato, Lucio Furio Medullino e Lucio Orazio Barbato

Ai Veienti fu concessa una tregua di vent'anni, agli Equi di tre, anche se la loro richiesta era stata per un periodo più lungo; e le lotte interne ebbero tregua

L'anno dopo, senza guerre all'esterno né in città, fu reso memorabile dai giochi che si era fatto voto di indire durante la guerra, e che furono allestiti con straordinario sfarzo dai tribuni militari e richiamarono una grande quantità di gente dai paesi vicini

I tribuni militari con potere consolare erano Appio Claudio Crasso, Spurio Nauzio Rutilio, Lucio Sergio Fidenate e Sesto Giulio Iulo

Per la cortese ospitalità di cui tutti si erano fatti carico, la manifestazione riuscì molto gradita ai visitatori

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Post ludos contiones seditiosae tribunorum plebi fuerunt, obiurgantium multitudinem quod admiratione eorum quos odisset, stupens in aeterno se ipsa teneret seruitio, et non modo ad spem consulatus in partem revocandam adspirare non auderet, sed ne in tribunis quidem militum creandis, quae communia essent comitia patrum ac plebis, aut sui aut suorum meminisset

Desineret ergo mirari cur nemo de commodis plebis ageret; eo impendi laborem ac periculum unde emolumentum atque honos speretur
A giochi conclusi, i tribuni della plebe organizzarono dei comizi turbolenti nel corso dei quali si scagliarono contro la moltitudine perché, subendo stupidamente il fascino di coloro che in realtà odiava, continuava in eterno a mantenersi schiava, e non solo non osava sperare di partecipare al consolato, ma persino quando si trattava di eleggere i tribuni militari - magistratura aperta a patrizi e a plebei - dimenticava se stessa e i propri candidati

Che smettessero di domandarsi perché mai nessuno si preoccupava degli interessi della plebe; si fatica e si affronta il rischio solo quando c'è la speranza di ricavarne vantaggio e onore

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