et graviter partim metuentes limina leti vivebant ferro privati parte virili, et manibus sine non nulli pedibusque manebant in vita tamen et perdebant lumina partim usque adeo mortis metus iis incesserat acer atque etiam quosdam cepere oblivia rerum cunctarum, neque se possent cognoscere ut ipsi multaque humi cum inhumata iacerent corpora supra corporibus, tamen alituum genus atque ferarum aut procul absiliebat, ut acrem exiret odorem, aut, ubi gustarat, languebat morte propinqua nec tamen omnino temere illis solibus ulla comparebat avis, nec tristia saecla ferarum exibant silvis languebant pleraque morbo et moriebantur cum primis fida canum vis strata viis animam ponebat in omnibus aegre; extorquebat enim vitam vis morbida membris incomitata rapi certabant funera vasta |
E alcuni, gravemente temendo il limitare della morte, vivevano dopo essersi mutilati del membro virile col ferro; e taluni, pur senza mani e senza piedi, rimanevano tuttavia in vita, come altri perdevano gli occhi: tanto si era impadronito di loro un acuto timore della morte E inoltre un oblio di tutte le cose invase certuni, sicché non potevano riconoscere neppure sé stessi E benché sulla terra giacessero insepolti mucchi di corpi su corpi, tuttavia gli uccelli e le fiere o fuggivano balzando lontano, per evitare l'acre puzzo, oppure, se li assaggiavano, languivano per morte imminente E d'altronde in quei giorni non era affatto facile che qualche uccello comparisse, e le stirpi delle fiere, abbattute, non uscivano dalle selve La maggior parte languiva per la malattia e moriva Soprattutto la fedele forza dei cani, stesa per tutte le strade, spirava penosamente; ché la forza della malattia strappava la vita dalle membra Funerali senza corteo, desolati, gareggiavano nell'esser affrettati |
nec ratio remedii communis certa dabatur; nam quod ali dederat vitalis aeëris auras volvere in ore licere et caeli templa tueri, hoc aliis erat exitio letumque parabat Illud in his rebus miserandum magnopere unum aerumnabile erat, quod ubi se quisque videbat implicitum morbo, morti damnatus ut esset, deficiens animo maesto cum corde iacebat, funera respectans animam amittebat ibidem quippe etenim nullo cessabant tempore apisci ex aliis alios avidi contagia morbi, lanigeras tam quam pecudes et bucera saecla idque vel in primis cumulabat funere funus nam qui cumque suos fugitabant visere ad aegros, vitai nimium cupidos mortisque timentis poenibat paulo post turpi morte malaque, desertos, opis expertis, incuria mactans |
Né c'era specie di rimedio che valesse sicuramente per tutti; infatti ciò che ad uno aveva dato la possibilità di continuare a respirare i vitali aliti dell'aria e a contemplare gli spazi del cielo, ad altri era esiziale e cagionava la morte Una cosa, in tali frangenti, era miseranda, e molto, sopra ogni altra, penosa: ognuno, quando si vedeva assalito dalla malattia, come se fosse condannato a morte, perdendosi d'animo giaceva col cuore addolorato e, rivolto a visioni funeree, esalava l'anima in quel punto stesso E infatti il contagio dell'avida malattia non cessava in alcun momento d'attaccarsi dagli uni agli altri, come se fossero lanute pecore e torme di cornuti bovi E questo soprattutto accumulava morti su morti Giacché tutti quelli che evitavano di visitare i congiunti malati, mentre troppo bramavano la vita e temevano la morte, li puniva poco dopo con morte turpe e trista, derelitti, privi di soccorso, la micidiale mancanza di cure |