(1) Inlusit dehinc Neroni fortuna per vanitatem ipsius et promissa Caeseili Bassi, qui origine Poenus, mente turbida, nocturnae quietis imaginem ad spem haud dubiae rei traxit, vectusque Romam, principis aditum emercatus, expromit repertum in agro suo specum altitudine immensa, quo magna vis auri contineretur, non in formam pecuniae sed rudi et antiquo pondere lateres quippe praegravis iacere, adstantibus parte alia columnis; quae per tantum aevi occulta augendis praesentibus bonis ceterum, ut coniectura demonstrabat, Dido Phoenissam Tyro profugam condita Carthagine illas opes abdidisse, ne novus populus nimia pecunia lasciviret aut reges Numidarum, et alias infensi, cupidine auri ad bellum accenderentur |
1 La fortuna si fece poi beffe di Nerone, preda della propria leggerezza e delle promesse di un Cesellio Basso, un cartaginese che, nella sua mente squilibrata, diede a immagini sognate di notte la configurazione e l'attesa di un fatto certo; venne a Roma, si comprò l'accesso al principe e gli rivelò d'aver scoperto, in una sua proprietà, una caverna profondissima, in cui giaceva un'enorme quantità d'oro, non coniato in monete ma in blocchi rozzi, secondo l'uso antico Giacevano al suolo pesantissimi lingotti e, altrove, si ergevano colonne: una ricchezza rimasta nascosta tanto a lungo per accrescere la felicità dell'età presente Doveva trattarsi, secondo le congetture esposte da Basso, del tesoro nascosto dalla fenicia Didone, profuga da Tiro, dopo la fondazione di Cartagine, perché il nuovo popolo non venisse corrotto dalle eccessive ricchezze e i re di Numidia, già ostili per altre ragioni, non fossero, dalla cupidigia dell'oro, indotti alla guerra |
(2) Igitur Nero, non auctoris, non ipsius negotii fide satis spectata nec missis per quos nosceret an vera adferrentur, auget ultro rumorem mittitque qui velut paratam praedam adveherent dantur triremes et delectum remigium iuvandae festinationi nec aliud per illos dies populus credulitate, prudentes diversa fama tulere ac forte quinquennale ludicrum secundo lustro celebrabatur, ab oratoribusque praecipua materia in laudem principis adsumpta est non enim solitas tantum fruges nec confusum metallis aurum gigni, sed nova ubertate provenire terram et obvias opes deferre deos, quaeque alia summa facundia nec minore adulatione servilia fingebant, securi de facilitate credentis |
2 Nerone, dunque, senza verificare l'attendibilità del fatto e di chi lo raccontava e senza inviare nessuno a controllare la fondatezza della notizia, la fa anzi circolare e spedisce suoi emissari per portare a Roma quel bottino, come fosse lì pronto in attesa Si mettono a disposizione triremi e rematori scelti, per guadagnare tempo Non parlava d'altro in quei giorni il popolo, nella sua credulità, ma ben altro era il tono di chi sapeva vedere le cose più a fondo Volle il caso che si celebrassero allora, per il secondo lustro, i giochi Quinquennali, e l'argomento fu subito sfruttato a piene mani, da poeti e oratori, per diffondersi in celebrazioni del principe La terra, secondo loro, non produceva le solite messi e l'oro mescolato agli altri metalli, ma si esaltava in una nuova fecondità e gli dèi mandavano più ricchezze a portata di mano; e così avanti a inventare espressioni servili con somma facondia e altrettanta bassezza adulatoria, tranquillamente sicuri della credulità di Nerone |
(3) Gliscebat interim luxuria spe inani consumebanturque veteres opes quasi oblatis quas multos per annos prodigeret quin et inde iam largiebatur; et divitiarum expectatio inter causas paupertatis publicae erat nam Bassus effosso agro suo latisque circum arvis, dum hunc vel illum locum promissi specus adseverat, sequunturque non modo milites sed populus agrestium efficiendo operi adsumptus, tandem posita vaecordia, non falsa antea somnia sua seque tunc primum elusum admirans, pudorem et metum morte voluntaria effugit quidam vinctum ac mox dimissum tradidere ademptis bonis in locum regiae gazae |
3 Cresceva intanto su questa vana speranza lo sperpero, si scialacquavano ricchezze di vecchia data, quasi che se ne fossero offerte altre, di cui ciascuno potesse disporre per molti anni Anzi a esse già si attingeva, sicché l'attesa delle ricchezze fu tra le cause della pubblica povertà Basso fece scavare il suo campo e, per un buon tratto, i terreni circostanti assicurando, convinto, che era questo o quell'altro il luogo della caverna promessa, e seguìto non solo dai soldati ma dai contadini ingaggiati per il lavoro necessario; e così fino a che, tornato in sé, dicendosi stupito che i suoi sogni, mai falsi in precedenza, lo ingannavano ora per la prima volta, si sottrasse alla vergogna e alla paura con una morte volontaria Secondo la versione di altri, sarebbe stato incarcerato e poi lasciato libero, dopo la confisca dei suoi beni, in sostituzione del tesoro della regina |
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(4) Interea senatus propinquo iam lustrali certamine, ut dedecus averteret, offert imperatori victoriam cantus adicitque facundiae coronam qua ludicra deformitas velaretur sed Nero nihil ambitu nec potestate senatus opus esse dictitans, se aequum adversum aemulos et religione indicum meritam laudem adsecuturum, primo carmen in scaena recitat; mox flagitante vulgo ut omnia studia sua publicaret (haec enim verba dixere) ingreditur theatrum, cunctis citharae legibus obtemperans, ne fessus resideret, ne sudorem nisi ea quam indutui gerebat veste detergeret, ut nulla oris aut narium excrementa viserentur postremo flexus genu et coetum illum manu veneratus sententias indicum opperiebatur ficto pavore |
4 Il senato intanto, nell'imminenza dei giochi Quinquennali, per evitare uno scandalo, offre all'imperatore la vittoria nel canto e vi aggiunge la corona dell'eloquenza; intendeva così gettare un velo sulla vergogna di una sua esibizione ai giochi Ma Nerone, affermando di non aver bisogno di favoritismi e del potere del senato, convinto di conseguire la gloria meritata in condizione di parità coi concorrenti e davanti a giudici imparziali, recita, per cominciare, un carme sulla scena; poi, sotto le pressioni della folla, che lo invitava a esporre in pubblico tutte le sue abilità (e furono proprio queste le parole usate), fa il suo ingresso in teatro, attenendosi a tutte le regole imposte ai suonatori di cetra, e cioè a non sedersi, se stanco, a non asciugarsi il sudore, se non con la veste allora indossata, a non far intravvedere secrezione alcuna della bocca e del naso Infine, piegato su un ginocchio, attendeva con finta trepidazione il verdetto dei giudici |
et plebs quidem urbis, histrionum quoque gestus iuvare solita, personabat certis modis plausuque composito crederes laetari, ac fortasse laetabantur per incuriam publici flagitii (5) Sed qui remotis e municipiis severaque adhuc et antiqui moris retinente Italia, quique per longinquas provincias lascivia inexperti officio legationum aut privata utilitate advenerant, neque aspectum illum tolerare neque labori inhonesto sufficere, cum manibus nesciis fatiscerent, turbarent gnaros ac saepe a militibus verberarentur, qui per cuneos stabant ne quod temporis momentum impari clamore aut silentio segni praeteriret |
E la plebe di Roma, solita ad assecondare anche i gesti degli istrioni, faceva risuonare il teatro di applausi ritmati, a comando Poteva sembrare che esprimessero gioia, e forse così facevano, perché non pensavano alla vergogna che ricadeva su tutti 5 Ma quanti erano giunti a Roma da municipi lontani, dove l'Italia manteneva ancora i severi costumi del tempo antico, o quanti venivano da province remote, in missione ufficiale o per motivi personali, non riuscivano a reggere, perché nuovi a simile degrado morale, a questo spettacolo e a questa umiliante fatica: si stancavano, perché non abituati, di battere le mani, creavano confusione tra gli altri, esperti di applausi, subendo spesso percosse da parte dei soldati, distribuiti in vari settori a controllare che neppure un istante passasse in applausi fuori tempo o in indolente silenzio |
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constitit plerosque equitum, dum per angustias aditus et ingruentem multitudinem enituntur, obtritos, et alios, dum diem noctemque sedilibus continunnt, morbo exitiabili correptos quippe gravior inerat metus, si spectaculo defuissent, multis palam et pluribus occultis, ut nomina ac vultus, alacritatem tristitiamque coeuntium scrutarentur unde tenuioribus statim inrogata supplicia, adversum inlustris dissimulatum ad praesens et mox redditum odium ferebantque Vespasianum, tamquam somno coniveret, a Phoebo liberto increpitum aegreque meliorum precibus obtectum, mox imminentem perniciem maiore fato effugisse |
notorio che parecchi cavalieri vennero schiacciati nel tentativo di attraversare angusti passaggi sotto la pressione della folla e che altri, a furia di star seduti al loro posto, giorno e notte senza interruzione, caddero vittime di malori mortali Ma sarebbe stata più forte la paura, se non si facevano vedere allo spettacolo, data la presenza di agenti che, scopertamente molti, ma ancor più numerosi in segreto, spiavano i singoli e il loro volto e la partecipazione entusiastica o fredda degli intervenuti Conseguenza: alla gente di poco conto si infliggeva subito la punizione; con le persone autorevoli, invece, si faceva finta di nulla al momento, ma scontavano il rancore più tardi Si racconta che, tenendo Vespasiano gli occhi chiusi come se dormisse, sia stato rimproverato dal liberto Febo e protetto a fatica grazie all'intervento di persone più autorevoli, per sfuggire più tardi alla rovina imminente, solo perché il fato gli riservava un destino più alto |
(6) Post finem ludicri Poppaea mortem obiit, fortuita mariti iracundia, a quo gravida ictu calcis adflicta est neque enim venenum crediderim, quamvis quidam scriptores tradant, odio magis quam ex fide: quippe liberorum copiens et amori uxoris obnoxius erat corpus non igni abolitum, ut Romanus mos, sed regum externorum consuetudine differtum odoribus conditur tumuloque Iuliormn infertur ductae tamen publicae exequiae laudavitque ipse apud rostra formam eius et quod divinae infantis parens fuisset aliaque fortunae munera pro virtutibus (7) Mortem Poppaeae ut palam tristem, ita recordantibus laetam ob impudicitiam eius saevitiamque, nova insuper invidia Nero complevit prohibendo C Cassium officio exequiarum, quod primum indicium mali |
6 Dopo la fine dei giochi, Poppea trovò la morte, casualmente, in uno sfogo d'ira di Nerone, perché colpita, gravida, da un calcio del marito; non mi convince l'ipotesi del veleno, benché alcuni storici ne parlino, ma spinti più dall'odio che indotti da valutazione serena: desiderava infatti figli da lei ed era preso d'amore per la moglie Il corpo di Poppea non venne consumato dal fuoco, in base all'uso romano, bensì imbalsamato, secondo la consuetudine di sovrani barbari, e posto nel sepolcro della casa Giulia Si tennero tuttavia cerimonie pubbliche e Nerone celebrò personalmente dai rostri la sua bellezza e l'essere lei stata madre di una bimba divina e gli altri doni della sorte, da lui scambiati per virtù 7 La morte di Poppea, accolta con tristezza nelle manifestazioni esterne, ma con gioia da chi la ricordava dissoluta e crudele, fu coronata da un nuovo atto di odiosa gelosia: Nerone impedì a Gaio Cassio di presenziare alle esequie, e ciò fu l'avvisaglia della sua rovina |
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neque in longum dilatum est, sed Silanus additur, nullo crimine nisi quod Cassius opibus vetustis et gravitate morum, Silanus claritudine generis et modesta iuventa praecellebant igitur missa ad senatum oratione removendos a re publica utrosque disseruit, obiectavitque Cassio quod inter imagines maiorum etiam C Cassi effigiem coluisset, ita inscriptam 'duci partium': quippe semina belli civilis et defectionem a domo Caesarum quaesitam; ac ne memoria tantum infensi nominis ad discordias uteretur, adsumpsisse L Silanum, iuvenem genere nobilem, animo praeruptum, quem novis rebus ostentaret |
Che non tardò ad arrivare, e vi fu anzi coinvolto anche Silano: unica imputazione il fatto che Cassio si segnalava per ricchezza avita e severità di costumi, mentre Silano per nobiltà di natali e per una giovinezza senza ombra di superbia Spiegò dunque Nerone, in un discorso inviato al senato, la necessità di allontanare entrambi dalla vita politica, e fece colpa a Cassio di aver devotamente conservato fra i ritratti degli antenati anche quello di Gaio Cassio recante la scritta Al capo del partito: era uno spargere i semi della guerra civile e tentare la ribellione contro la casa dei Cesari; e per non servirsi, ai suoi fini eversivi, di quel solo nome ostile, si era aggregato Lucio Silano, un giovane nobile di nascita ma esaltato, per innalzarlo come bandiera nella sovversione |
(8) Ipsum dehinc Silanum increpuit isdem quibus patruum eius Torquatum, tamquam disponeret iam imperii curas praeficeretque rationibus et libellis et epistulis libertos, inania simul et falsa: nam Silanus intentior metu et exitio patrui ad praecavendum exterritus erat inducti posthac vocabulo indicum qui in Lepidam, Cassii uxorem, Silani amitam, incestum cum fratris fiiio et diros sacrorum ritus confingerent trahebantur ut conscii Vulcacius Tullinus ac Marcellus Cornelius senatores et Calpurnius Fabatus eques Romanus; qui appellato principe instantem damnationem frustrati, mox Neronem circa summa scelera distentum quasi minores evasere |
8 Passò poi ad attaccare direttamente Silano, con le stesse accuse già rivolte a suo zio Torquato, e cioè che si organizzava per l'esercizio del potere, affidando a liberti la responsabilità dei settori della contabilità, delle suppliche e della corrispondenza; accuse assurde e false al contempo: perché Silano, già guardingo per la diffusa paura e terrorizzato dalla rovina dello zio, era indotto a una cautela estrema Si videro poi entrare in scena, col nome di informatori, delle persone incaricate di montare contro Lepida, moglie di Cassio e zia di Silano, l'accusa di incesto col figlio del fratello e di partecipazione a riti empi Si trovarono coinvolti, come complici, i senatori Volcacio Tullino e Marcello Cornelio e il cavaliere romano Calpurnio Fabato, i quali, appellandosi al principe, sfuggirono alla condanna imminente e poi si sottrassero, quasi fossero di secondo piano, all'attenzione di Nerone, impegnato in delitti al massimo livello |
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(9) Tunc consulto senatus Cassio et Silano exilia decernuntur: de Lepida Caesar statueret deportatusque in insulam Sardiniam Cassius, et senectus eius expectabatur Silanus tamquam Naxum deveheretur Ostiam amotus, post municipio Apuliae, cui nomen Barium est, clauditur illic indignissimum casum sapienter tolerans a centurione ad caedem misso corripitur; suadentique venas abrumpere animum quidem morti destinatum ait, sed non remittere percussori gloriam ministerii at centurio quamvis inermem, praevalidum tamen et irae quam timori propiorem cernens premi a militibus iubet nec omisit Silanus obniti et intendere ictus, quantum manibus nudis valebat, donec a centurione vulneribus adversis tamquam in pugna caderet |
9 Un decreto del senato sancisce allora l'esilio di Cassio e di Silano: su Lepida la decisione l'avrebbe presa Cesare; Cassio fu deportato in Sardegna, e si contava, per la sua morte, sulla vecchiaia Silano, trasferito a Ostia, per l'attesa deportazione a Nasso, viene relegato in una cittadina della Puglia, di nome Bario Affrontava là con saggia rassegnazione il suo più che immeritato destino, ma lo arresta un centurione inviato a ucciderlo; volendo costui convincerlo a tagliarsi le vene, Silano gli rispose di aver l'animo fermamente deciso a morire, ma di non voler togliere al sicario la gloria di portare a termine il suo incarico A questo punto il centurione, vedendolo bensì disarmato, ma assai robusto e più vicino ad una reazione furiosa che non alla paura, dà ai soldati l'ordine di finirlo Non per questo smise Silano di opporre resistenza e di sferrare colpi, per quanto poteva, con le sole mani, finché, colpito al petto dal centurione, cadde come un soldato in battaglia |