Seneca, Lettere a Lucilio: Libri 14-15 Parte 02, pag 3

Seneca, Lettere a Lucilio: Libri 14-15 Parte 02

Latino: dall'autore Seneca, opera Lettere a Lucilio parte Libri 14-15 Parte 02
' At sol integer est etiam inter opposita, et quamvis aliquid interiacet quod nos prohibeat eius aspectu, in opere est, cursu suo fertur; quotiens inter nubila eluxit, non est sereno minor, ne tardior quidem, quoniam multum interest utrum aliquid obstet tantum an inpediat

Eodem modo virtuti opposita nihil detrahunt: non est minor, sed minus fulget

Nobis forsitan non aeque apparet ac nitet, sibi eadem est et more solis obscuri in occulto vim suam exercet

Hoc itaque adversus virtutem possunt calamitates et damna et iniuriae quod adversus solem potest nebula

Invenitur qui dicat sapientem corpore parum prospero usum nec miserum esse nec beatum

Hic quoque fallitur; exaequat enim fortuita virtutibus et tantundem tribuit honestis quantum honestate carentibus

Quid autem foedius, quid indignius quam comparari veneranda contemptis
Il sole, però conserva la sua integrità anche in presenza di ostacoli, e, se pure c'è di mezzo qualcosa che ci impedisce di vederlo, è in attività e continua il suo corso; ogni volta che risplende fra le nubi non è più debole e neppure più lento di quando c'è il sereno, poiché è una cosa molto diversa se c'è solo un ostacolo o un vero e proprio impedimento

Così quanto si oppone alla virtù non le sottrae nulla: essa non è più debole, ma riluce meno

Forse non ci è visibile e non brilla allo stesso modo, ma si mantiene identica a se stessa e, senza apparire, esercita la sua forza, come il sole quando è coperto

Così le sventure, le privazioni e le offese hanno sulla virtù lo stesso potere che una nube ha sul sole

C'è chi dice che il saggio, se non ha un fisico sano, non è felice, né infelice

Anche costoro sbagliano, poiché equiparano i beni fortuiti alle virtù e considerano alla stessa stregua l'onesto e il disonesto

Ma che cosa c'è di più ignobile e indegno che paragonare cose di tutto rispetto a cose spregevoli
Veneranda enim sunt iustitia, pietas, fides, fortitudo, prudentia: e contrario vilia sunt quae saepe contingunt pleniora vilissimis, crus solidum et lacertus et dentes et horum sanitas firmitasque

Deinde si sapiens cui corpus molestum est nec miser habebitur nec beatus, sed in medio relinquetur, vita quoque eius nec adpetenda erit nec fugienda

Quid autem tam absurdum quam sapientis vitam adpetendam non esse

aut quid tam extra fidem quam esse aliquam vitam nec adpetendam nec fugiendam

Deinde si damna corporis miserum non faciunt, beatum esse patiuntur; nam quibus potentia non est in peiorem transferendi statum, ne interpellandi quidem optimum

'Frigidum' inquit 'aliquid et calidum novimus, inter utrumque tepidum est; sic aliquis beatus est, aliquis miser, aliquis nec beatus nec miser

' Volo hanc contra nos positam imaginem excutere
Meritano rispetto la giustizia, la pietà, la lealtà, la fortezza, la prudenza: al contrario, sono senza valore i beni che spesso toccano con maggiore profusione agli uomini più infimi: gambe robuste, muscoli e denti sani e forti

Inoltre, se non considereremo né felice, né infelice il saggio sofferente nel fisico, ma lo relegheremo in una condizione di mezzo, anche la sua vita non dovrà essere né desiderata, né evitata

Ma che c'è di così assurdo quanto il pensare che la vita del saggio non sia desiderabile

Oppure di così incredibile che esista un tipo di vita da non desiderare e da non evitare

E poi, se i difetti fisici non rendono infelici, permettono di essere felici: quello che non può peggiorare una condizione, non può neppure impedire che questa condizione diventi ottima

Noi conosciamo il freddo e il caldo, ribattono, in mezzo c'è il tiepido; così c'è il felice, l'infelice, e chi non è né felice, né infelice

Voglio esaminare questo paragone che ci viene opposto
Si tepido illi plus frigidi ingessero, fiet frigidum; si plus calidi adfudero, fiet novissime calidum

At huic nec misero nec beato quantumcumque ad miserias adiecero, miser non erit, quemadmodum dicitis; ergo imago ista dissimilis est

Deinde trado tibi hominem nec miserum nec beatum

Huic adicio caecitatem: non fit miser; adicio debilitatem: non fit miser; adicio dolores continuos et graves: miser non fit

Quem tam multa mala in miseram vitam non transferunt ne ex beata quidem educunt

Si non potest, ut dicitis, sapiens ex beato in miserum decidere, non potest in non beatum

Quare enim qui labi coepit alicubi subsistat

quae res illum non patitur ad imum devolvi retinet in summo

Quidni non possit beata vita rescindi

ne remitti quidem potest, et ideo virtus ad illam per se ipsa satis est

'Quid ergo
Se aggiungerò una sostanza più fredda a una tiepida, questa diventerà fredda, se ne aggiungerò una più calda, alla fine diventerà calda

Ma per quanto io aggravi le disgrazie di quest'uomo che non è felice, né infelice, nonsarà infelice, come dite; quindi, il paragone non è appropriato

Eccoti, poi, un uomo né infelice, né felice

Gli aggiungo la cecità: non diventa infelice; la debolezza: non diventa infelice; dolori continui e violenti: non diventa infelice

Se tanti mali non lo portano all'infelicità, non possono nemmeno strapparlo alla felicità

Se il saggio, come voi dite, non può ridursi da felice a infelice, non può neppure ridursi all'assenza di felicità

Perché uno che ha incominciato a scivolare dovrebbe a un certo punto fermarsi

Ciò che non lo lascia precipitare fino in fondo lo trattiene in cima

E perché la felicità dovrebbe poter essere distrutta

Non può neppure essere diminuita e per questo la virtù da sola basta a raggiungerla

Ma come

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Seneca, Lettere a Lucilio: Libro 01
Seneca, Lettere a Lucilio: Libro 01

Latino: dall'autore Seneca, opera Lettere a Lucilio parte Libro 01

' inquit 'sapiens non est beatior qui diutius vixit, quem nullus avocavit dolor, quam ille qui cum mala fortuna semper luctatus est

' Responde mihi: numquid et melior est et honestior

Si haec non sunt, ne beatior quidem est

Rectius vivat oportet ut beatius vivat: si rectius non potest, ne beatius quidem

Non intenditur virtus, ergo ne beata quidem vita, quae ex virtute est

Virtus enim tantum bonum est ut istas accessiones minutas non sentiat, brevitatem aevi et dolorem et corporum varias offensiones; nam voluptas non est digna ad quam respiciat

Quid est in virtute praecipuum

futuro non indigere nec dies suos conputare

In quantulo libet tempore bona aeterna consummat

Incredibilia nobis haec videntur et supra humanam naturam excurrentia; maiestatem enim eius ex nostra inbecillitate metimur et vitiis nostris nomen virtutis inponimus

Quid porro
continuano, il saggio che è vissuto più a lungo senza essere distratto da nessun dolore non è più felice di quello che halottato sempre con la cattiva sorte

Rispondimi: è forse migliore e più onesto

Se non è così, non è neppure più felice

Per vivere più felicemente deve condurre una vita più retta: se non può vivere più rettamente, non potrà nemmeno essere più felice

La virtù non si accresce e, perciò, neppure la felicità che da essa nasce

La virtù è un bene così grande che non avverte questi insignificanti complementi, la brevità del tempo, il dolore e le varie malattie, poiché il piacere non è degno di essere preso in considerazione

Qual è la prerogativa della virtù

Non aver bisogno del futuro e non fare il conto dei propri giorni

In un momento conduce a pienezza i beni eterni

Questo ci sembra incredibile e superiore alla natura umana: noi misuriamo la sua grandezza in base alla nostra debolezza e diamo ai nostri vizi il nome di virtù

E dunque
non aeque incredibile videtur aliquem in summis cruciatibus positum dicere 'beatus sum'

Atqui haec vox in ipsa officina voluptatis audita est

'Beatissimum' inquit 'hunc et ultimum diem ago' Epicurus, cum illum hinc urinae difficultas torqueret, hinc insanabilis exulcerati dolor ventris

Quare ergo incredibilia ista sint apud eos qui virtutem colunt, cum apud eos quoque reperiantur apud quos voluptas imperavit

Hi quoque degeneres et humillimae mentis aiunt in summis doloribus, in summis calamitatibus sapientem nec miserum futurum nec beatum

Atqui hoc quoque incredibile est, immo incredibilius; non video enim quomodo non in imum agatur e fastigio suo deiecta virtus

Aut beatum praestare debet aut, si ab hoc depulsa est, non prohibebit fieri miserum

Stans non potest mitti: aut vincatur oportet aut vincat
Non sembra ugualmente incredibile che un uomo fra i più atroci tormenti, dica: Sono felice

Eppure queste parole si sono sentite proprio nella scuoladel piacere

Vivo questo mio ultimo giorno, il più felice, disse Epicuro, anche se era tormentato da difficoltà urinarie e dal dolore diun'ulcera addominale inguaribile

E perché questo comportamento dovrebbe sembrare incredibile a chi pratica la virtù, quando si ritrova anche in quegli uomini che obbediscono al piacere

Anche questa gentedegenere e d'animo vilissimo sostiene che in mezzo alle più gravi sofferenze, alle più terribili disgrazie, il saggio non sarà né infelice, né felice

Eppure anche questo è incredibile, anzi più incredibile ancòra: non vedo come la virtù cacciata dai suoi fastigi non precipiti in fondo

Odeve assicurare all'uomo la felicità, oppure, se è costretta a rinunziare, non gli impedirà di diventare infelice

Finché è in lizza, non può ritirarsi: deve vincere o essere vinta

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'Dis' inquit 'inmortalibus solis et virtus et beata vita contigit, nobis umbra quaedam illorum bonorum et similitudo; accedimus ad illa, non pervenimus

' Ratio vero dis hominibusque communis est: haec in illis consummata est, in nobis consummabilis

Sed ad desperationem nos vitia nostra perducunt

Nam ille alter secundus est ut aliquis parum constans ad custodienda optima, cuius iudicium labat etiamnunc et incertum est

Desideret oculorum atque aurium sensum, bonam valetudinem et non foedum aspectum corporis et habitu manente suo aetatis praeterea longius spatium

Per haec potest non paenitenda agi vita, at inperfecto viro huic malitiae vis quaedam inest, quia animum habet mobilem ad prava, illa aitarens malitia et ea agitata abest de bono

Non est adhuc bonus, sed in bonum fingitur; cuicumque autem deest aliquid ad bonum, malus est
Solo agli dèi immortali, dicono, è toccata la virtù e la felicità, a noi un pallido riflesso di quei beni; ci avviciniamo a essi, senza raggiungerli

In realtà la ragione è comune agli dèi e agli uomini; in quelli è perfetta, in noi è suscettibile di perfezione

Ma i nostri vizi ci portano a disperare

Infatti, l'uomo che ha una capacità di giudizio ancòra vacillante e incerta è inferiore, in quanto poco fermo nel mantenere i suoi propositi di virtù

Desìderi pure vista e udito integri, salute, bell'aspetto e una vita lunga senza decadenza fisica

Così si può condurre una vita soddisfacente, ma c'è in quest'uomo imperfetto una certa quantità di malizia, poiché ha un animo incline al male; tuttavia, la sua non è una malizia profondamente radicata e che non ha tregua

Non è ancòra un uomo virtuoso, ma cerca di rendersi tale; però, se a uno manca qualcosa per essere virtuoso, è malvagio
Sed si cui virtus animusque in corpore praesens, hic deos aequat, illo tendit originis suae memor

Nemo inprobe eo conatur ascendere unde descenderat

Quid est autem cur non existimes in eo divini aliquid existere qui dei pars est

Totum hoc quo continemur et unum est et deus; et socii sumus eius et membra

Capax est noster animus, perfertur illo si vitia non deprimant

Quemadmodum corporum nostrorum habitus erigitur et spectat in caelum, ita animus, cui in quantum vult licet porrigi, in hoc a natura rerum formatus est, ut paria dis vellet

et si utatur suis viribus ac se in spatium suum extendat, non aliena via ad summa nititur

Magnus erat labor ire in caelum: redit
Ma chi ha coraggio e animo risoluto in corpo eguaglia gli dèi e tende a loro memore della sua origine

Tutti giustamente si sforzano di risalire là da dove erano scesi

Perché non dovresti credere che ci sia qualcosa di divino in chi è parte di dio

Tutto quello che ci circonda è una sola cosa: dio; e noi ne siamo alleati e membra

La nostra anima ha la capacità di raggiungerlo, se i vizi non la trascinano in basso

Come il nostro corpo ha una posizione eretta e guardiamo al cielo, così l'anima, che può protendersi quanto vuole, desidera per sua formazione naturale le stesse cose degli dèi

E se si avvale delle sue forze e procede nel suo àmbito, tende alla vetta per la via che gli è propria

una grande fatica salire al cielo: eppure vi fa ritorno

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Cum hoc iter nactus est, vadit audaciter contemptor omnium nec ad pecuniam respicit aurumque et argentum, illis in quibus iacuere tenebris dignissima, non ab hoc aestimat splendore quo inperitorum verberant oculos, sed a vetere caeno ex quo illa secrevit cupiditas nostra et effodit

Scit, inquam, aliubi positas esse divitias quam quo congeruntur; animum impleri debere, non arcam

Hunc inponere dominio rerum omnium licet, hunc in possessionem rerum naturae inducere, ut sua orientis occidentisque terminis finiat, deorumque ritu cuncta possideat, cum opibus suis divites superne despiciat, quorum nemo tam suo laetus est quam tristis alieno

Cum se in hanc sublimitatem tulit, corporis quoque ut oneris necessarii non amator sed procurator est, nec se illi cui inpositus est subicit
Trovata questa strada, avanza con coraggio, disprezzando ogni cosa; non si volta a guardare il denaro, l'oro e l'argento, del tutto degni delle tenebre in cui giacevano, non li vàluta dallo splendore con cui colpiscono gli occhi degli ignoranti, ma dal fango di vecchia data da cui la nostra avidità li ha separati ed estratti

L'anima sa, dico, che le ricchezze stanno altrove, non dove vengono ammassate; sa che si deve riempire lo spirito, non il forziere

La si può mettere a capo di tutto, darle il possesso della natura, in modo che l'oriente e l'occidente siano i confini delle sue proprietà e sia padrona dell'universo come gli dèi e disprezzi con le sue ricchezze i ricchi; nessuno di loro è mai tanto lieto dei propri beni quanto triste per quelli altrui

Giunta a tale sublime altezza, non ama il corpo, ma se ne cura come di un peso necessario, e non si sottomette a quello cui è stata assegnata
Nemo liber est qui corpori servit; nam ut alios dominos quos nimia pro illo sollicitudo invenit transeas, ipsius morosum imperium delicatumque est

Ab hoc modo aequo animo exit, modo magno prosilit, nec quis deinde relicti eius futurus sit exitus quaerit; sed ut ex barba capilloque tonsa neglegimus, ita ille divinus animus egressurus hominem, quo receptaculum suum conferatur, ignis illud ~excludat~ an terra contegat an ferae distrahant, non magis ad se iudicat pertinere quam secundas ad editum infantem

Utrum proiectum aves differant an consumatur canibus data praeda marinis, quid ad illum qui nullus est

Sed tunc quoque cum inter homines est, timet ullas post mortem minas eorum quibus usque ad mortem timeri parum est

'Non conterret' inquit 'me nec uncus nec proiecti ad contumeliam cadaveris laceratio foeda visuris
Se uno è schiavo del corpo, non è libero; anche a trascurare gli altri padroni che si trovano, se ci si cura troppo del corpo, il suo dominio è capriccioso ed esigente

Dal corpo l'anima del saggio ora esce serenamente, ora balza fuori con audacia e non si chiede che fine faranno le sue spoglie; ma come non ci curiamo della barba e dei capelli tagliati via, così quell'anima divina quando sta per lasciare l'uomo ritiene che non la riguardi dove andrà a finire quello che era il suo riparo, se lo divori il fuoco o lo ricopra la terra o lo lacerino le fiere, come la placenta non riguarda un bambino appena nato

Che importa a chi non c'è più se il suo corpo viene abbandonato allo strazio dei rapaci ed è gettato come preda ai pescecani e divorato

Ma anche quando è ancòra fra gli uomini non teme nessuna minaccia di quegli spauracchi che spingono i nostri timori al di là della morte

Non mi atterrisce, dice, l'uncino, né l'orribile vista del cadavere straziato ed esposto all'oltraggio

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Neminem de supremo officio rogo, nulli reliquias meas commendo

Ne quis insepultus esset rerum natura prospexit: quem saevitia proiecerit dies condet

' Diserte Maecenas ait, nec tumulum curo: sepelit natura relictos

Alte cinctum putes dixisse; habuit enim ingenium et grande et virile, nisi illud secunda discinxissent

Vale

In epistula qua de morte Metronactis philosophi querebaris, tamquam et potuisset diutius vivere et debuisset, aequitatem tuam desideravi, quae tibi in omni persona, in omni negotio superest, in una re deest, in qua omnibus: multos inveni aequos adversus homines, adversus deos neminem

Obiurgamus cotidie fatum: 'quare ille in medio cursu raptus est

quare ille non rapitur

quare senectutem et sibi et aliis gravem extendit

'Utrum, obsecro te, aequius iudicas, te naturae an tibi parere naturam
Non chiedo a nessuno di celebrare le mie esequie, a nessuno affido i miei resti

La natura provvede a non lasciare insepolto nessuno; il tempo ricoprirà i cadaveriabbandonati dalla crudeltà umana

Dice bene Mecenate: non mi curo della tomba: la natura seppellisce i resti insepolti

Potresti pensare che a parlare sia stato un grand'uomo: avrebbe avuto un'indole nobile e virile, se il successo non l'avesse infiacchita

Stammi bene

Nella lettera in cui lamentavi la morte del filosofo Metronatte, come se avesse potuto e dovuto vivere più a lungo, ho sentito la mancanza di quel senso di giustizia di cui sei ricco in ogni funzione, in ogni attività, e che ti difetta in una sola cosa, come a tutti: ho trovato molte persone giuste verso gli uomini, ma nessuna giusta verso gli dèi

Ogni giorno rimproveriamo il destino: Perché Tizio è stato rapito nel pieno della vita

Perché non Caio

Perché prolunga una vecchiaia penosa a sé e agli altri

Ma dimmi: ritieni più giusto che sia tu a obbedire alla natura o la natura a te

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