Orazio, Epistole: Libro 02 - A Cesare Augusto, pag 2

Orazio, Epistole: Libro 02 - A Cesare Augusto

Latino: dall'autore Orazio, opera Epistole parte Libro 02 - A Cesare Augusto
Doluere cruento dente lacessit, fuit intactis quoque curacondicione super communi; quin etiam lexpoenaque lata, malo quae nollet carmine quemquamdescribi; uertere modum, formidine fustisad bene dicendum delectandumque redacti

Graecia capta ferum uictorem cepit et artesintulit agresti Latio; sic horridus illedefluxit numerus Satrunius, et graue uirusmunditiae pepulere; sed in longum tamen aeuummanserunt hodieque manent uestigia ruris

Serus enim Graecis admouit acumina chartiset post Punica bella quietus quaerere coepit,quid Sophocles et Thespis et Aeschylos utile ferrent

Temptauit quoque rem si digne uertere posset,et placuit sibi, natura sublimis et acer; nam spirat tragicum satis et feliciter audet,sed turpem putat inscite metuitque lituram
Mordeva a sangue e gli offesi si lamentarono; ma anche chi non fu colpito si preoccupò di un pericolo che era di tutti; una legge allora, comminando la pena, vietò che la maldicenza di quella poesia condannasse qualcuno alla berlina; e i fescennini cambiarono tono: per paura del bastone si ridussero a divertire senza offendere

La Grecia conquistata conquistò il suo fiero vincitore introducendo le arti nel Lazio contadino: cosí si estinse il selvaggio ritmo saturnio e l'eleganza bandí la sua fastidiosa rozzezza; tuttavia tracce rusticane rimasero per lungo tempo e ancora oggi rimangono

Tardi infatti si volse il nostro ingegno ai libri greci; solo durante la pace, dopo le guerre puniche, si cominciò a indagare quale utilità si potesse trarre dall'opera di un Sofocle, di un Eschilo o di un Tespi

Ci si provò a tradurli come meritavano e ne venne orgoglio per la natura sublime e ardente che ne scaturiva, senso del tragico e impeto dell'estro, anche se per inesperienza o per timore si sdegnava il lavoro della lima
Creditur, ex medio quia res arcessit, haberesudoris minimum, sed habet comoedia tantoplus oneris, quanto ueniae minus

Aspice, Plautus quo pacto partis tutetur amantis ephebi,ut patris attenti, lenonis ut insidiosi,quantus sit Dossennus edacibus in parasitis,quam non adstricto percurrat pulpita socco;gestit enim nummum in loculos demittere, post hoc securus, cadat an recto stet fabula talo

Quem tulit ad scaenam uentoso Gloria curruexanimat lentus spectator, sedulus inflat;sic leue, sic paruum est animum quod laudis auarumsubruit aut reficit

Valeat res ludicra, si me palma negata macrum, donata reducit opimum
Di norma si ritiene che, per il fatto d'ispirarsi alla vita quotidiana, la commedia costi pochissima fatica; per la verità ne richiede tanta, quanto minore è l'indulgenza che le diamo

Osserva come Plauto sostiene i suoi personaggi, l'efebo innamorato, il padre avaro, il ruffiano insidioso, e che istrione è nei suoi ingordi parassiti, ma calca le scene con scarpe scalcinate: la sua mira era riempire la borsa di quattrini e poco gli importava se la commedia stava in piedi o no

Chi l'ambizione avvicina al teatro sul carro della vanità, basta una platea distratta ad abbatterlo, una attenta per infiammarlo: cosí poco, cosí niente ci vuole per avvilire o esaltare un cuore avido di gloria

Ma vada in malora il teatro, se un insuccesso mi fa dimagrire e un'ovazione mi rimette in carne
Saepe etiam audacem fugat hoc terretque poetam,quod numero plures, uirtute et honore minores,indocti stolidique et depugnare paratisi discordet eques, media inter carmina poscunt aut ursum aut pugiles; his nam plebecula gaudet

Verum equitis quoque iam migrauit ab aure uoluptasomnis ad incertos oculos et gaudia uana

Quattuor aut pluris aulaea premuntur in horasdum fugiunt equitum turmae peditumque cateruae; mox trahitur manibus regum fortuna retortis,esseda festinant, pilenta, petorrita, naues,captiuum portatur ebur, captiua Corinthus
Questo poi spaventa il poeta nella sua fiducia e lo induce alla fuga: una maggioranza per numero, ma non per dignità o merito, pronta, ignorante e stupida, allo scontro fisico in caso di attrito coi cavalieri, chiede, nel bel mezzo del dramma, gli orsi o il pugilato: la passione del popolino

Anche se fra i cavalieri il senso dell'arte è ormai passato dall'udito all'ambiguo e labile piacere degli occhi

Il sipario attende aperto per quattro ore o piú che passino torme di cavalieri, schiere di fanti, poi che per sorte siano trascinati re con le mani avvinte alla schiena e sfilino veloci bighe, carrozze, carri, navi e in trionfo l'avorio saccheggiato, tutto il bottino di Corinto

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Orazio, Epistole: Libro 02 - A Giulio Floro
Orazio, Epistole: Libro 02 - A Giulio Floro

Latino: dall'autore Orazio, opera Epistole parte Libro 02 - A Giulio Floro

Si foret in terris, rideret Democritus, seudiuersum confusa genus panthera camelo siue elephans albus uolgi conuerteret ora;spectaret populum ludis attentius ipsisut sibi praebentem nimio spectacula plura;scriptores autem narrare putaret asellofabellam surdo

Nam quae peruincere uoces eualuere sonum, referunt quem nostra theatra

Garganum mugire putes nemus aut mare Tuscum,tanto cum strepitu ludi spectantur et artesdiuitiaeque peregrinae, quibus oblitus actorcum stetit in scaena, concurrit dextera laeuae

Dixit adhuc aliquid

Nil sane

Quid placet ergo

Lana Tarentino uiolas imitata ueneno
Democrito avrebbe da ridere se fosse in terra a vedere come l'incrocio inconsueto di pantera e cammello o un elefante bianco attirino gli sguardi della folla; e osserverebbe piú attentamente la gente che la scena, perché lo spettacolo che offre è senza alcun dubbio piú interessante, e penserebbe che gli autori raccontano la favola all'asino sordo

C'è mai voce che possa vincere il frastuono che sale dai nostri teatri

Sembra l'urlo dei boschi del Gargano o del mare Tirreno, tanto è lo strepito con cui si assiste agli spettacoli, alla loro scenografia, allo sfarzo esotico dei costumi, di cui l'attore è paludato quando appare in scena: e scrosciano gli applausi

Ha cominciato

Non ancora

E che cosa si applaude

Ma la lana, che con la tintura di Taranto ti rammenta il colore delle viole
Ac ne forte putes me, quae facere ipse recusem,cum recte tractent alii, laudare maligne,ille per extentum funem mihi posse uidetur ire poeta meum qui pectus inaniter angit,inritat, mulcet, falsis terroribus implet,ut magus, et modo me Thebis, modo ponit Athenis

Verum age et his, qui se lectori credere maluntquam spectatoris fastidia ferre superbi, curam redde breuem, si munus Apolline dignumuis complere libris et uatibus addere calcar,ut studio maiore petant Helicona uirentem
E perché non si creda che troppo sia avaro di lodi per un'arte che al contrario di altri bravissimi, io non pratico, dirò: il poeta, che con i suoi fantasmi sconvolge il mio cuore, lo eccita, lo placa e lo riempie di mitico terrore, mi sembra un funambolo sulla fune tesa e come un mago mi trasporta ora a Tebe, ora ad Atene

Ma tu, se vuoi che si riempia di libri il tempio eretto in onore di Apollo e che i poeti abbiano da te sprone a salire il verde Elicona con piú cuore, accorda un po' d'attenzione anche a quelli che scelgono di affidarsi a un lettore piuttosto che subire i capricci arroganti degli spettatori

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Orazio, Epistole: Libro 01 - Epistola 19
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Latino: dall'autore Orazio, opera Epistole parte Libro 01 - Epistola 19

Multa quidem nobis facimus mala saepe poetaeut uineta egomet caedam mea, cum tibi librum sollicito damus aut fesso; cum laedimur, unumsi quis amicorum est ausus reprehendere uersum;cum loca iam recitata reuoluimus inreuocati;cum lamentamur non apparere laboresnostros et tenui decucta poemata filo; cum speramus eo rem uenturam ut, simul atquecarmina rescieris non fingere, commodus ultroarcessas et egere uetes et scribere cogas

Sed tamen est operae pretium cognoscere qualisaedituos habeat belli spectata domique uirtus, indigno non committenda poetae

Gratus Alexandro regi Magno fuit illeChoerilos, incultis qui uersibus et male natisrettulit acceptos, regale nomisma, Philippos

Sed ueluti tractata notam labemque remittunt attramenta, fere scriptores carmine foedosplendida facta linunt
Certo i poeti si fanno spesso male con le loro mani mi taglio da me la mia vigna: ti offriamo un libro quando sei preoccupato o stanco, ci offendiamo se un amico osa censurarci un verso, leggiamo passi già letti senza esserne richiesti; ci lagnamo che le nostre fatiche, il tessuto finissimo dell'opera, non trovino la loro giusta luce; pensiamo, questo è il punto, che non appena tu sappia che componiamo versi, sia quasi tuo dovere invitarci spontaneamente, per impedire che noi si viva in miseria e costringerci a scrivere

Val la pena tuttavia di sapere che sacerdoti debba avere il merito, che ti si riconosce in guerra e in pace e che non può essere affidato a un poeta indegno

Ad Alessandro il Grande piacque un Chèrilo, che per i suoi versi rozzi e incivili fu compensato con filippi d'oro, la moneta del re

Ma come le mani sporche d'inchiostro lasciano segni e macchie, un cattivo scrittore offusca coi suoi versi le grandi imprese
Idem rex ille, poemaqui tam ridiculum tam care prodigus emit,edicto uetuit nequis se praeter Apellenpingeret aut alius Lysippo duceret aera fortis Alexandri uoltum simulantia

Quodsiiudicium subtile uidendis artibus illudad libros et ad haec Musarum dona uocares,Boeotum in crasso iurares aere natum

At neque dedecorant tua de se iudicia atque munera, quae multa dantis cum laude tuleruntdilecti tibi Vergilius Variusque poetae,nec magis expressi uoltus per aenea signaquam per uatis opus mores animique uirorumclarorum apparent
E quello stesso re, disposto a comperare a peso d'oro un poema cosí ridicolo, vietò con un editto a tutti di ritrarlo, escluso Apelle, e di raffigurare nel bronzo il suo volto, fuorché a Lisippo

Gusto certamente fine per le arti visive, ma se gli avessi chiesto di applicarlo alla scrittura, a questo dono delle Muse, lo giureresti nato nell'aria grossolana di Beozia

Ma fanno onore al tuo giudizio su di loro e ai favori di cui godettero con merito del donatore, i poeti che hai amato, Virgilio e Vario; e l'opera del poeta rivela il cuore e il carattere degli uomini illustri non certo meno che le statue in bronzo ne ricordino il volto

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Nec sermones ego mallem repentis per humum quam res componere gestasterrarumque situs et flumina dicere et arcesmontibus impositas et barbara regna tuisqueauspiciis totum confecta duella per orbem,claustraque custodem pacis cohibentia Ianum et formidatam Parthis te principe Romam,si, quantum cuperem, possem quoque; sed neque paruomcarmen maiestas recipit tua, nec meus audetrem temptare pudor, quam uires ferre recusent

Sedulitas autem stulte quem diligit urget, praecipue cum se numeris commendat et arte;discit enim citius meminitque libentius illudquod quis diridet quam quod probat et ueneratur
E io non vorrei scrivere conversazioni come queste, che volano basso, ma il poema delle tue gesta e descrivere i paesi del mondo, i fiumi, le fortezze in cima ai monti, i domini dei barbari e le guerre concluse per il tuo comando in tutto l'universo, le porte sbarrate di Giano che custodiscono la pace, e il terrore che i parti hanno di Roma sotto il tuo principato: se con la voglia ne avessi il potere; ma la tua maestà non consente canto minore, e il mio pudore non osa tentare ciò che le forze non permettono

Il troppo zelo, quando difetta d'intelligenza, infastidisce chi si ama, e piú ancora quando si affida ai ritmi dell'arte: vedi, s'impara presto l'oggetto del nostro riso e si ricorda meglio di ciò che si stima e si ammira
Nil moror officium quod me grauat, ac neque fictoin peius uoltu proponi cereus usquam nec praue factis decorari uersibus opto,ne rubeam pingui donatus munere et unacum scriptore meo capsa porrectus opertadeferar in uicum uendentem tus et odoreset piper et quicquid chartis amicitur ineptis Non me ne importa niente di un omaggio che mi pesa, non desidero affatto che si esponga la mia caricatura in cera o ricevere lodi in versi zoppicanti, non voglio arrossire di un dono grossolano e, chiuso in una cassa con il mio poeta, essere gettato lungo disteso nel quartiere dove si vendono incenso, profumi, pepe e tutto ciò che si avvolge in carta che piú non serve

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