E tenebris tantis tam clarum extollere lumen qui primus potuisti inlustrans commoda vitae, te sequor, o Graiae gentis decus, inque tuis nunc ficta pedum pono pressis vestigia signis, non ita certandi cupidus quam propter amorem quod te imitari aveo; quid enim contendat hirundo cycnis, aut quid nam tremulis facere artubus haedi consimile in cursu possint et fortis equi vis tu, pater, es rerum inventor, tu patria nobis suppeditas praecepta, tuisque ex, inclute, chartis, floriferis ut apes in saltibus omnia libant, omnia nos itidem depascimur aurea dicta, aurea, perpetua semper dignissima vita nam simul ac ratio tua coepit vociferari naturam rerum divina mente coorta diffugiunt animi terrores, moenia mundi discedunt totum video per inane geri res |
O tu, che in mezzo a così grandi tenebre primo potesti levare una luce tanto chiara, illuminando le gioie della vita, io seguo te, o onore della gente greca, e nelle orme da te impresse pongo ora ferme le piante dei miei piedi, non tanto perché io voglia gareggiare con te, quanto perché anelo a imitarti per amore Come potrebbe infatti contendere la rondine coi cigni O come potrebbero mai i capretti dalle tremule membra emulare nella corsa l'impeto di un forte cavallo Tu padre sei, scopritore del vero; tu paterni precetti ci prodighi, e, come le api nei pascoli fioriti suggono per ogni dove, così noi nei tuoi scritti, o glorioso, ci pasciamo di tutti gli aurei detti, aurei, sempre degnissimi di vita perpetua Infatti, appena la tua dottrina comincia a svelare a gran voce la natura quale è sorta dalla tua mente divina, fuggon via i terrori dell'animo, le mura del mondo si disserrano, vedo le cose svolgersi attraverso tutto il vuoto |
apparet divum numen sedesque quietae, quas neque concutiunt venti nec nubila nimbis aspergunt neque nix acri concreta pruina cana cadens violat semper[que] innubilus aether integit et large diffuso lumine ridet omnia suppeditat porro natura neque ulla res animi pacem delibat tempore in ullo at contra nusquam apparent Acherusia templa, nec tellus obstat quin omnia dispiciantur, sub pedibus quae cumque infra per inane geruntur his ibi me rebus quaedam divina voluptas percipit atque horror, quod sic natura tua vi tam manifesta patens ex omni parte retecta est |
Appaiono la potenza degli dèi e le sedi quiete, che né venti scuotono, né nuvole cospargono di piogge, né neve vìola, condensata da gelo acuto, candida cadendo; ma un etere sempre senza nubi le ricopre, e ride di luce largamente diffusa E tutto fornisce la natura, né alcuna cosa in alcun tempo intacca la pace dell'animo Ma per contro in nessun luogo appaiono le regioni acherontee, né la terra impedisce che si discerna tutto quanto si svolge sotto i miei piedi, laggiù, attraverso il vuoto Per queste cose mi prende allora un certo divino piacere e un brivido, perché così per la potenza della tua mente la natura, tanto manifestamente dischiudendosi, in ogni parte è stata rivelata |
Et quoniam docui, cunctarum exordia rerum qualia sint et quam variis distantia formis sponte sua volitent aeterno percita motu, quove modo possint res ex his quaeque creari, hasce secundum res animi natura videtur atque animae claranda meis iam versibus esse et metus ille foras praeceps Acheruntis agendus, funditus humanam qui vitam turbat ab imo omnia suffundens mortis nigrore neque ullam esse voluptatem liquidam puramque relinquit nam quod saepe homines morbos magis esse timendos infamemque ferunt vitam quam Tartara leti et se scire animi naturam sanguinis esse, aut etiam venti, si fert ita forte voluntas, nec prosum quicquam nostrae rationis egere, hinc licet advertas animum magis omnia laudis iactari causa quam quod res ipsa probetur |
E poiché ho insegnato quali siano i principi di tutte le cose e quanto differenti per varietà di forme spontaneamente volteggino, stimolati da moto eterno, e in che modo da questi si possa produrre ogni cosa, dopo ciò mi sembra che nei miei versi debba essere ormai illustrata la natura dell'animo e dell'anima, e che si debba scacciar via a precipizio quel timore dell'Acheronte, che dal profondo sconvolge appieno la vita umana, tutto inondando del nero della morte, né lascia esistere alcun piacere limpido e puro Sì, spesso gli uomini dichiarano che malattie e vita infame sono più temibili che il Tartaro, dimora della morte; dicono di sapere che la natura dell'animo è fatta di sangue, o anche di vento, se a ciò per caso li spinge il capriccio, e di non avere affatto bisogno della nostra dottrina; ma di qui puoi intendere che tutto è ostentato per vanagloria piuttosto che espresso per convinzione della cosa stessa |
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Lucrezio, De rerum natura: Libro 02
Latino: dall'autore Lucrezio, opera De rerum natura parte Libro 02
extorres idem patria longeque fugati conspectu ex hominum, foedati crimine turpi, omnibus aerumnis adfecti denique vivunt, et quo cumque tamen miseri venere parentant et nigras mactant pecudes et manibus divis inferias mittunt multoque in rebus acerbis acrius advertunt animos ad religionem quo magis in dubiis hominem spectare periclis convenit adversisque in rebus noscere qui sit; nam verae voces tum demum pectore ab imo eliciuntur [et] eripitur persona Ämanare denique avarities et honorum caeca cupido, quae miseros homines cogunt transcendere fines iuris et inter dum socios scelerum atque ministros noctes atque dies niti praestante labore ad summas emergere opes, haec vulnera vitae non minimam partem mortis formidine aluntur |
Questi medesimi, cacciati dalla patria ed esiliati lontano dal cospetto degli uomini, disonorati da un'accusa vergognosa, afflitti da tutte le pene, in fin dei conti vivono, e, dovunque sono giunti nella loro miseria, offrono tuttavia sacrifici ai loro morti, e immolano nere vittime, e agli dèi Mani consacrano funebri onori, e negli acerbi frangenti con ansia molto più acuta rivolgono gli animi alla religione Più conviene, quindi, provare l'uomo nei dubbiosi cimenti, e nelle avversità conoscere quale sia; giacché allora alfine parole veraci gli si cavano dal profondo del petto e vien strappata la maschera, rimane la realtà Infine l'avidità e la cieca brama di onori, che forzano i miseri uomini a oltrepassare i confini del giusto, e talora, come compagni e ministri di delitti, adoprarsi notte e giorno con soverchiante fatica per assorgere a somma potenza - queste piaghe della vita, in gran parte è il timore della morte che le nutre |
turpis enim ferme contemptus et acris egestas semota ab dulci vita stabilique videtur et quasi iam leti portas cunctarier ante unde homines dum se falso terrore coacti effugisse volunt longe longeque remosse, sanguine civili rem conflant divitiasque conduplicant avidi, caedem caede accumulantes, crudeles gaudent in tristi funere fratris et consanguineum mensas odere timentque consimili ratione ab eodem saepe timore macerat invidia ante oculos illum esse potentem, illum aspectari, claro qui incedit honore, ipsi se in tenebris volvi caenoque queruntur intereunt partim statuarum et nominis ergo et saepe usque adeo, mortis formidine, vitae percipit humanos odium lucisque videndae, ut sibi consciscant maerenti pectore letum obliti fontem curarum hunc esse timorem |
Infatti comunemente il vergognoso disprezzo e l'amara povertà paiono remoti da una vita dolce e stabile, e quasi già sostare davanti alle porte della morte e gli uomini, mentre costretti da fallace terrore vorrebbero essere già fuggiti lontano da essi e lontano averli scacciati, col sangue dei concittadini ingrossano le proprie sostanze e avidi raddoppiano le ricchezze, accumulando strage su strage; crudeli si rallegrano del triste funerale di un fratello e per le mense dei consanguinei provano odio e terrore In simile maniera, nascendo dallo stesso timore, spesso li macera l'invidia che alla vista di tutti colui sia potente, attragga gli sguardi colui che incede con splendido onore, mentre essi si lamentano di voltolarsi nelle tenebre e nel fango Alcuni periscono per brama di statue e di rinomanza e spesso a tal segno per paura della morte prende gli uomini odio della vita e della vista della luce, che si danno con petto angosciato la morte, dimenticando che la fonte degli affanni è questo timore |
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hunc vexare pudorem, hunc vincula amicitiai rumpere et in summa pietate evertere suadet nam iam saepe homines patriam carosque parentis prodiderunt vitare Acherusia templa petentes nam vel uti pueri trepidant atque omnia caecis in tenebris metuunt, sic nos in luce timemus inter dum, nihilo quae sunt metuenda magis quam quae pueri in tenebris pavitant finguntque futura hunc igitur terrorem animi tenebrasque necessest non radii solis neque lucida tela diei discutiant, sed naturae species ratioque Primum animum dico, mentem quem saepe vocamus, in quo consilium vitae regimenque locatum est, esse hominis partem nihilo minus ac manus et pes atque oculei partes animantis totius extant |
questo fa strazio del senso d'onore, questo rompe i vincoli dell'amicizia - e insomma induce a sovvertire la pietà Già spesso infatti gli uomini tradirono la patria e i cari genitori, cercando di evitare le regioni acherontee Difatti, come i fanciulli trepidano e tutto temono nelle cieche tenebre, così noi nella luce talora abbiamo paura di cose che per nulla son da temere più di quelle che i fanciulli nelle tenebre paventano e immaginano prossime ad avvenire Questo terrore dell'animo, dunque, e queste tenebre non li devono dissolvere i raggi del sole, né i lucidi dardi del giorno, ma l'aspetto e l'intima legge della natura Anzitutto dico che l'animo, che spesso chiamiamo mente, in cui han sede il senno e il governo della vita, è una parte dell'uomo, non meno che una mano e un piede e gli occhi sono parti dell'intero essere animato |
sensum animi certa non esse in parte locatum, verum habitum quendam vitalem corporis esse, harmoniam Grai quam dicunt, quod faciat nos vivere cum sensu, nulla cum in parte siet mens ut bona saepe valetudo cum dicitur esse corporis, et non est tamen haec pars ulla valentis, sic animi sensum non certa parte reponunt; magno opere in quo mi diversi errare videntur Saepe itaque, in promptu corpus quod cernitur, aegret, cum tamen ex alia laetamur parte latenti et retro fit ubi contra sit saepe vicissim, cum miser ex animo laetatur corpore toto; non alio pacto quam si, pes cum dolet aegri, in nullo caput interea sit forte dolore |
che la sensibilità dell'animo non ha sede in una parte determinata, ma è una certa disposizione vitale del corpo, che i Greci chiamano armonia, perché per essa noi vivremmo dotati di sensibilità, sebbene in nessuna parte esista la mente come spesso si dice che il corpo gode di buona salute, e tuttavia questa non è alcuna parte di colui che sta bene Così la sensibilità dell'animo non la pongono in una parte determinata; e in ciò mi sembra che errino molto lontano dalla giusta via Spesso, infatti, il corpo in una parte palese è malato, mentre tuttavia gioiamo in un'altra parte che è occulta e all'inverso accade spesso che s'avveri il contrario, a sua volta, quando chi soffre nell'animo gioisce in tutto il corpo; non altrimenti che se, mentre a un malato duole un piede, nessun dolore intanto abbia, per avventura, la testa |
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Praeterea molli cum somno dedita membra effusumque iacet sine sensu corpus honustum, est aliud tamen in nobis quod tempore in illo multimodis agitatur et omnis accipit in se laetitiae motus et curas cordis inanis Nunc animam quoque ut in membris cognoscere possis esse neque harmonia corpus sentire solere, principio fit uti detracto corpore multo saepe tamen nobis in membris vita moretur Atque eadem rursum, cum corpora pauca caloris diffugere forasque per os est editus aër, deserit extemplo venas atque ossa relinquit; noscere ut hinc possis non aequas omnia partis corpora habere neque ex aequo fulcire salutem, sed magis haec, venti quae sunt calidique vaporis semina, curare in membris ut vita moretur est igitur calor ac ventus vitalis in ipso corpore, qui nobis moribundos deserit artus |
Inoltre, quando le membra sono in preda a molle sonno e abbandonato giace senza senso il corpo appesantito, tuttavia c'è in noi qualche altra cosa che in quel mentre si agita in molti modi e tutti in sé riceve i moti della letizia e le vane inquietudini del cuore Ora, perché tu possa conoscere che anche l'anima è nelle membra e che non per un'armonia suole il corpo sentire, anzitutto accade spesso che, pur detratta gran parte del corpo, tuttavia ci rimanga nelle membra la vita e d'altra parte, quando poche particelle di calore son fuggite via e aria è stata esalata fuori attraverso la bocca, la stessa vita sùbito abbandona le vene e lascia le ossa; sì che da ciò puoi conoscere che non tutti i corpi primi hanno funzioni uguali, né in ugual modo sostengono la salvezza, ma più questi, che sono i semi del vento e dell'ardente calore, fanno sì che rimanga nelle membra la vita V'è dunque nello stesso corpo un calore e un vento vitale, che abbandona le nostre membra al momento della morte |
quapropter quoniam est animi natura reperta atque animae quasi pars hominis, redde harmoniai nomen, ad organicos alto delatum Heliconi, sive aliunde ipsi porro traxere et in illam transtulerunt, proprio quae tum res nomine egebat quidquid [id] est, habeant: tu cetera percipe dicta Nunc animum atque animam dico coniuncta teneri inter se atque unam naturam conficere ex se, sed caput esse quasi et dominari in corpore toto consilium, quod nos animum mentemque vocamus idque situm media regione in pectoris haeret hic exultat enim pavor ac metus, haec loca circum laetitiae mulcent: hic ergo mens animusquest cetera pars animae per totum dissita corpus paret et ad numen mentis momenque movetur idque sibi solum per se sapit et sibi gaudet, cum neque res animam neque corpus commovet una |
Pertanto, poiché la natura dell'animo e dell'anima è stata svelata come una parte dell'uomo, lascia il nome di armonia, che per i musicisti fu portato giù dall'alto Elicona; o forse questi stessi, a loro volta, lo trassero d'altrove e lo trasportarono a quella cosa che allora non aveva un proprio nome Comunque ciò sia, se lo tengano: tu ascolta i restanti miei detti Ora io dico che l'animo e l'anima si tengono congiunti tra loro e costituiscono di sé una sola natura; ma ciò che è il capo, per così dire, e domina in tutto il corpo, è il senno, che noi chiamiamo animo e mente Ed esso è posto e fissato nella regione centrale del petto Qui infatti si agitano l'ansia e la paura, intorno a queste parti le gioie ci accarezzano; qui dunque è la mente e l'animo Tutto il resto dell'anima, disseminato per tutto il corpo, obbedisce e si muove al cenno e al movimento della mente Questa ragiona da sé per sé sola, questa da sé gode, quando nessuna cosa commuove l'anima, né il corpo |
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et quasi, cum caput aut oculus temptante dolore laeditur in nobis, non omni concruciamur corpore, sic animus nonnumquam laeditur ipse laetitiaque viget, cum cetera pars animai per membra atque artus nulla novitate cietur verum ubi vementi magis est commota metu mens, consentire animam totam per membra videmus sudoresque ita palloremque existere toto corpore et infringi linguam vocemque aboriri, caligare oculos, sonere auris, succidere artus, denique concidere ex animi terrore videmus saepe homines; facile ut quivis hinc noscere possit esse animam cum animo coniunctam, quae cum animi [vi] percussa est, exim corpus propellit et icit |
E come, quando la testa o un occhio è leso in noi dall'assalto del dolore, non siamo afflitti nello stesso tempo in tutto il corpo, così l'animo talora di per sé stesso è leso o di gioia esulta, mentre tutto il resto dell'anima per le membra e le articolazioni da nessuna novità viene eccitato Ma, quando la mente è commossa da timore più veemente, tutta l'anima vediamo consentire attraverso le membra, e quindi sudori e pallore effondersi per tutto il corpo e balbettare la lingua e spegnersi la voce, annebbiarsi gli occhi, fischiar le orecchie, venir meno le articolazioni; alfine per il terrore dell'animo vediamo spesso gli uomini crollare; sì che facilmente ognuno può da questo conoscere che l'anima è congiunta con l'animo e, quando dalla potenza dell'animo è stata percossa, sùbito urta e sospinge il corpo |