Lucrezio, De rerum natura: Libro 02, pag 2

Lucrezio, De rerum natura: Libro 02

Latino: dall'autore Lucrezio, opera De rerum natura parte Libro 02
nec persectari primordia singula quaeque, ut videant qua quicque geratur cum ratione At quidam contra haec, ignari materiai, naturam non posse deum sine numine reddunt tanto opere humanis rationibus atmoderate tempora mutare annorum frugesque creare et iam cetera, mortalis quae suadet adire ipsaque deducit dux vitae dia voluptas et res per Veneris blanditur saecla propagent, ne genus occidat humanum

quorum omnia causa constituisse deos cum fingunt, omnibus rebus magno opere a vera lapsi ratione videntur

nam quamvis rerum ignorem primordia quae sint, hoc tamen ex ipsis caeli rationibus ausim confirmare aliisque ex rebus reddere multis, nequaquam nobis divinitus esse creatam naturam mundi: tanta stat praedita culpa

quae tibi posterius, Memmi, faciemus aperta

nunc id quod super est de motibus expediemus
Ma i primi principi, che sono di solida semplicità - quando traversano lo spazio vuoto, e nessuna cosa li rallenta dal di fuori, ed essi stessi, costituendo ciascuno, con le sue parti, un tutto unico, nell'unico verso in cui cominciarono ad andare, procedono con lo stesso slancio - devono evidentemente primeggiare per velocità, e muoversi molto più rapidamente che la luce del sole, e correre per una distesa di spazio molto più grande, nello stesso tempo in cui le folgoranti luci del sole si diffondono per il cielo

né tener dietro ad ogni singolo primo principio, per vedere in che modo si svolga ogni cosa

E infatti quand'anche ignorassi quali siano i primi elementi delle cose, questo tuttavia oserei affermare in base agli stessi fenomeni del cielo e comprovare in forza di molte altre cose: che la natura del mondo non è stata per nulla creata dal volere divino per noi: di così grande difetto essa è dotata

Ma queste cose di poi, o Memmio, ti faremo manifeste

Ora esporremo quanto resta da dire sui movimenti
Nunc locus est, ut opinor, in his illud quoque rebus confirmare tibi, nullam rem posse sua vi corpoream sursum ferri sursumque meare

ne tibi dent in eo flammarum corpora frudem; sursus enim versus gignuntur et augmina sumunt et sursum nitidae fruges arbustaque crescunt, pondera, quantum in se est, cum deorsum cuncta ferantur

nec cum subsiliunt ignes ad tecta domorum et celeri flamma degustant tigna trabesque, sponte sua facere id sine vi subiecta putandum est

quod genus e nostro com missus corpore sanguis emicat exultans alte spargitque cruorem

nonne vides etiam quanta vi tigna trabesque respuat umor aquae

nam quo magis ursimus altum derecta et magna vi multi pressimus aegre, tam cupide sursum removet magis atque remittit, plus ut parte foras emergant exiliantque
Ora è il luogo, credo, di dimostrarti in tale riguardo anche ciò: che nessuna cosa corporea può di sua propria forza muoversi verso l'alto e procedere verso l'alto; in questo non ti traggano in inganno i corpi delle fiamme

Sì, verso l'alto sono prodotti e prendono sviluppo e verso l'alto crescono le splendide messi e gli alberi, mentre i corpi pesanti, per quanto è in loro, tutti si muovono verso il basso

Né, quando i fuochi bàlzano su fino ai tetti delle case e con celere fiamma van lambendo assi e travi, bisogna credere che lo facciano spontaneamente, senza una forza che spinga dal basso

Come quando il sangue emesso dal nostro corpo spiccia in alto d'un tratto e spande il suo getto

E non vedi anche con quanta violenza il liquido dell'acqua risputi fuori assi e travi

E infatti, quanto più a fondo le abbiamo spinte in senso perpendicolare e con gran forza in molti le abbiamo premute a fatica, con tanto maggiore impulso le rivomita in su e le rigetta, sì che emergono e bàlzano fuori più che per metà
nec tamen haec, quantum est in se, dubitamus, opinor, quin vacuum per inane deorsum cuncta ferantur

sic igitur debent flammae quoque posse per auras aeris expressae sursum succedere, quamquam pondera, quantum in est, deorsum ducere pugnent

nocturnasque faces caeli sublime volantis nonne vides longos flammarum ducere tractus in quas cumque dedit partis natura meatum

non cadere in terras stellas et sidera cernis

sol etiam de vertice dissipat omnis ardorem in partis et lumine conserit arva; in terras igitur quoque solis vergitur ardor

transversosque volare per imbris fulmina cernis, nunc hinc nunc illinc abrupti nubibus ignes concursant; cadit in terras vis flammea volgo
E tuttavia non dubitiamo, mi pare, che queste cose, per quanto è in loro, cadano tutte attraverso lo spazio vuoto verso il basso

Così, dunque, anche le fiamme devono potere, una volta che per pressione siano sprizzate attraverso i soffi dell'aria, montare verso l'alto, benché il peso, per quanto è in esso, lotti per trarle verso il basso

E le notturne fiaccole del cielo che volano nell'alto, non vedi come traggono lunghe scie di fiamme in qualunque parte la natura diede loro un passaggio

Non vedi cader sulla terra stelle e costellazioni

Anche il sole dal culmine del cielo diffonde il suo calore in tutte le direzioni e dissemina la sua luce per i campi: dunque anche verso le terre si volge il calore del sole

E attraverso le piogge vedi volare i fulmini; or di qui or di lì erompendo dalle nubi i fuochi corrono; comunemente la forza della fiamma cade sulla terra

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Lucrezio, De rerum natura: Libro 05 Parte 06

Latino: dall'autore Lucrezio, opera De rerum natura parte Libro 05 Parte 06

Illud in his quoque te rebus cognoscere avemus, corpora cum deorsum rectum per inane feruntur ponderibus propriis, incerto tempore ferme incertisque locis spatio depellere paulum, tantum quod momen mutatum dicere possis

quod nisi declinare solerent, omnia deorsum imbris uti guttae caderent per inane profundum nec foret offensus natus nec plaga creata principiis; ita nihil umquam natura creasset

Quod si forte aliquis credit graviora potesse corpora, quo citius rectum per inane feruntur, incidere ex supero levioribus atque ita plagas gignere, quae possint genitalis reddere motus, avius a vera longe ratione recedit
A tale proposito desideriamo che tu conosca anche questo: che i corpi primi, quando in linea retta per il vuoto son tratti in basso dal proprio peso, in un momento affatto indeterminato e in un luogo indeterminato, deviano un po' dal loro cammino: giusto quel tanto che puoi chiamare modifica del movimento

Ma, se non solessero declinare, tutti cadrebbero verso il basso, come gocce di pioggia, per il vuoto profondo, né sarebbe nata collisione, né urto si sarebbe prodotto tra i primi principi: così la natura non avrebbe creato mai nulla

Ma, se per caso qualcuno crede che i corpi più pesanti, più celermente movendosi in linea retta per il vuoto, cadano dall'alto sui più leggeri e così producano urti capaci di provocare movimenti generatori, forviato si discosta lontano dalla verità
nam per aquas quae cumque cadunt atque aera rarum, haec pro ponderibus casus celerare necessest propterea quia corpus aquae naturaque tenvis aeris haud possunt aeque rem quamque morari, sed citius cedunt gravioribus exsuperata

at contra nulli de nulla parte neque ullo tempore inane potest vacuum subsistere rei, quin, sua quod natura petit, concedere pergat; omnia qua propter debent per inane quietum aeque ponderibus non aequis concita ferri

haud igitur poterunt levioribus incidere umquam ex supero graviora neque ictus gignere per se, qui varient motus, per quos natura gerat res

quare etiam atque etiam paulum inclinare necessest corpora; nec plus quam minimum, ne fingere motus obliquos videamur et id res vera refutet
Difatti tutte le cose che cadono per le acque e l'aria sottile, esse, sì, bisogna che accelerino le cadute in proporzione dei pesi, perché il corpo dell'acqua e la tenue natura dell'aria non possono egualmente ritardare ogni cosa, ma più celermente cedono se son vinti da cose più pesanti

Per contrario, da nessuna parte e in nessun tempo lo spazio vuoto può sussistere quale base sotto alcuna cosa, senza continuare a cedere, come esige la sua natura: perciò attraverso l'inerte vuoto tutte le cose devono muoversi con eguale velocità, quantunque siano di pesi non eguali

Giammai, dunque, le più pesanti potranno cadere dall'alto sulle più leggere, né potranno per sé stesse generare urti che mutino i movimenti con cui la natura compie le sue operazioni

Perciò, ancora e ancora, occorre che i corpi primi declinino un poco; ma non più del minimo possibile, perché non sembri che immaginiamo movimenti obliqui: cosa che la realtà confuterebbe

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namque hoc in promptu manifestumque esse videmus, pondera, quantum in est, non posse obliqua meare, ex supero cum praecipitant, quod cernere possis

sed nihil omnino regione viai declinare quis est qui possit cernere sese

Denique si semper motu conectitur omnis et vetere exoritur novus ordine certo nec declinando faciunt primordia motus principium quoddam, quod fati foedera rumpat, ex infinito ne causam causa sequatur, libera per terras unde haec animantibus exstat, unde est haec, inquam, fatis avolsa voluntas, per quam progredimur quo ducit quemque voluptas, declinamus item motus nec tempore certo nec regione loci certa, sed ubi ipsa tulit mens

nam dubio procul his rebus sua cuique voluntas principium dat et hinc motus per membra rigantur
Infatti ciò vediamo che è alla portata di tutti e manifesto: che i corpi pesanti, per quanto è in loro, non possono muoversi obliquamente, quando precipitano dall'alto, almeno fin dove è dato scorgere

Ma, che essi non declinino assolutamente dalla linea retta nella loro caduta, chi c'è che possa scorgerlo

Infine, se sempre ogni movimento è concatenato e sempre il nuovo nasce dal precedente con ordine certo, né i primi principi deviando producono qualche inizio di movimento che rompa i decreti del fato, sì che causa non segua causa da tempo infinito, donde proviene ai viventi sulla terra questa libera volontà, donde deriva, dico, questa volontà strappata ai fati, per cui procediamo dove il piacere guida ognuno di noi e parimenti deviamo i nostri movimenti, non in un tempo determinato, né in un determinato punto dello spazio, ma quando la mente di per sé ci ha spinti

Difatti senza dubbio in ognuno dà principio a tali azioni la sua propria volontà, e di qui i movimenti si diramano per le membra
nonne vides etiam patefactis tempore puncto carceribus non posse tamen prorumpere equorum vim cupidam tam de subito quam mens avet ipsa

omnis enim totum per corpus materiai copia conciri debet, concita per artus omnis ut studium mentis conixa sequatur ut videas initum motus a corde creari ex animique voluntate id procedere primum, inde dari porro per totum corpus et artus

nec similest ut cum inpulsi procedimus ictu viribus alterius magnis magnoque coactu nam tum materiem totius corporis omnem perspicuumst nobis invitis ire rapique, donec eam refrenavit per membra voluntas

iamne vides igitur, quamquam vis extera multos pellat et invitos cogat procedere saepe praecipitesque rapi, tamen esse in pectore nostro quiddam quod contra pugnare obstareque possit
Non vedi anche come, nell'attimo in cui i cancelli del circo sono aperti, non possa tuttavia la bramosa forza dei cavalli prorompere così di colpo come la mente stessa desidera

Tutta infatti, per l'intero corpo, la massa della materia deve animarsi, sì che, una volta animata, per tutte le membra segua con unanime sforzo il desiderio della mente Quindi puoi vedere che l'inizio del movimento si crea dal cuore, e dalla volontà dell'animo esso procede primamente, e di là si propaga poi per tutto il corpo e gli arti

Né ciò è simile a quel che accade quando procediamo spinti da un urto, per la forza possente e la possente costrizione di un altro Infatti allora è evidente che tutta la materia dell'intero corpo si muove ed è trascinata contro il nostro volere, finché non l'abbia raffrenata per le membra la volontà

Non vedi dunque ora che, sebbene spesso una forza esterna molti spinga e costringa a procedere senza che lo vogliano, e a lasciarsi trascinare a precipizio, tuttavia c'è nel nostro petto qualcosa che può lottar contro ed opporsi

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cuius ad arbitrium quoque copia materiai cogitur inter dum flecti per membra per artus et proiecta refrenatur retroque residit

quare in seminibus quoque idem fateare necessest, esse aliam praeter plagas et pondera causam motibus, unde haec est nobis innata potestas, de nihilo quoniam fieri nihil posse videmus

pondus enim prohibet ne plagis omnia fiant externa quasi vi

sed ne res ipsa necessum intestinum habeat cunctis in rebus agendis et devicta quasi cogatur ferre patique, id facit exiguum clinamen principiorum nec regione loci certa nec tempore certo

Nec stipata magis fuit umquam materiai copia nec porro maioribus intervallis nam neque adaugescit quicquam neque deperit inde
pure a suo arbitrio che la massa della materia è costretta talora a piegarsi per le membra, per gli arti, e nel suo slancio è raffrenata, e torna indietro a star ferma

Perciò anche negli atomi occorre che tu ammetta la stessa cosa, cioè che, oltre agli urti e ai pesi, c'è un'altra causa dei movimenti, donde proviene a noi questo innato potere, giacché vediamo che nulla può nascere dal nulla

Il peso infatti impedisce che tutte le cose avvengano per gli urti, quasi per una forza esterna

Ma, che la mente stessa non abbia una necessità interiore nel fare ogni cosa, né, come debellata, sia costretta a sopportare e a patire, ciò lo consegue un'esigua declinazione dei primi principi, in un punto non determinato dello spazio e in un tempo non determinato

Né la massa della materia fu mai più compatta, né, d'altra parte, ebbe mai intervalli maggiori; giacché nulla s'aggiunge ad accrescerla, niente se ne perde
qua propter quo nunc in motu principiorum corpora sunt, in eodem ante acta aetate fuere et post haec semper simili ratione ferentur, et quae consuerint gigni gignentur eadem condicione et erunt et crescent vique valebunt, quantum cuique datum est per foedera naturai

nec rerum summam commutare ulla potest vis nam neque quo possit genus ullum materiai effugere ex omni quicquam est , neque in omne unde coorta queat nova vis inrumpere et omnem naturam rerum mutare et vertere motus

Illud in his rebus non est mirabile, quare, omnia cum rerum primordia sint in motu, summa tamen summa videatur stare quiete, praeter quam siquid proprio dat corpore motus
Perciò il movimento che agita ora i corpi dei primi principi, è il medesimo da cui essi furono agitati in passato, e d'ora in poi sempre si moveranno ugualmente; e quelle cose che di solito sono nate, nasceranno allo stesso modo ed esisteranno e cresceranno e varranno per vigore, quanto a ciascuna fu accordato dalle leggi di natura

Né alcuna forza può mutare la somma delle cose; e infatti non c'è di fuori alcunché, in cui alcun genere di materia possa fuggir via dal tutto, o da cui una nuova forza possa sorgere e irrompere nel tutto e mutare tutta la natura e sovvertirne i movimenti

Di questo non c'è, a tale proposito, da stupire: che, mentre tutti i primi principi delle cose sono in movimento, la loro somma tuttavia sembra starsene in somma quiete, salvoché qualcosa si muova col proprio corpo

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omnis enim longe nostris ab sensibus infra primorum natura iacet; qua propter, ubi ipsa cernere iam nequeas, motus quoque surpere debent praesertim cum, quae possimus cernere, celent saepe tamen motus spatio diducta locorum

nam saepe in colli tondentes pabula laeta lanigerae reptant pecudes, quo quamque vocantes invitant herbae gemmantes rore recenti, et satiati agni ludunt blandeque coruscant omnia quae nobis longe confusa videntur et velut in viridi candor consistere colli
Infatti la natura dei corpi primi sta tutta molto lontano dai nostri sensi, al di sotto della loro portata: perciò poiché essi non si posson discernere, anche i loro movimenti devon sottrarci; tanto più che le cose che possiamo discernere, tuttavia spesso, separate da noi per distanza di luoghi, celano i loro movimenti

E certo spesso su un colle, brucando i pascoli in rigoglio, lente si muovono le lanute pecore, ognuna dove la chiama l'invito delle erbe ingemmate di fresca rugiada, e sazi gli agnelli giocano e gaiamente cozzano; ma tutto ciò a noi di lontano appare confuso e come un biancore poggiato sul verde colle

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