Epimeteo fece un dono a tutte le creature: qualcuno ebbe artigli, altri ali per volare altri ancora ebbero la velocità nella corsa, altri astuzia, altre creature ebbero la forza. Solo l'uomo timoroso, non si era fatto avanti e così Epimeteo si era dimenticato di lui. Di ciò si accorse Prometeo, fratello di Epimeteo, e poiché egli amava gli uomini e non poteva accettare che soccombessero alla forza della natura pensò di dar loro il fuoco.
Così avrebbero potuto scaldarsi d'inverno, cuocere la carne che mangiavano ancora cruda, tenere lontane le fiere, illuminare le caverne nel buio; avrebbero potuto fondere i metalli e costruire attrezzi per lavorare la terra ma anche armi per difendersi e cacciare. Ma il fuoco apparteneva agli dei che ne erano molto gelosi ed era protetto nelle viscere della Terra nell'officina di Efesto, il dio fabbro. Prometeo pensò di rubarlo, rubò qualche scintilla; poi corse dagli uomini con il prezioso dono. Poco dopo tutta la terra brillava di fuochi, attorno ai quali gli uomini cantavano felici.
Nel particolare di questo cratere con figure rosse, in ottimo stato di conservazione, è forse rappresentata la scena di una commedia, soprattutto perchè il satiro sulla destra imita i gesti di Prometeo. (450 a.C. circa si trova a Lipari)
LA PUNIZIONE DI PROMETEO
Prometeo ebbe una punizione esemplare per aver osato sfidare gli Dei ma seppe sopportarla con una forza titanica! Infine Zeus si mostrò clemente.
Un giorno, dopo che il titano Prometeo aveva rubato il fuoco degli Dei e lo aveva donato agli uomini, le fiamme, il fumo e le grida di gioia destarono Zeus e guardò in basso sulla terra e comprese subito quanto era accaduto. Zeus fece chiamare sull'olimpo Efesto, che si affrettò ad arrivare dalla sua fucina nelle visciole dell'isola di lemno, e lo rimproverò aspramente. Prometeo venne incatenato su un'immensa roccia proprio da Efesto su ordine di Zeus.
Efesto se ne andò e Prometeo rimase legato. Era veramente un tormento terribile non doveva soffrire solo fame, freddo e sete! Ogni giorno, infatti una grande aquila inviata da Zeus veniva svolazzando su di lui e con il becco adunco e gli divorava il fegato. Ma durante la notte il fegato ricresceva, le ferite si rimarginavano e il mattino dopo Prometeo doveva subire nuovamente quel supplizio senza mai fine!
Un giorno l'eroe Eracle vide l'aquila straziare Prometeo incatenato; inpietositosi chiese a Zeus, suo padre, di concedere il perdono al Titano: erano passati ormai 30 anni e l'ira del Dio era svanita con il passare del tempo. Eracle allora spezzò le catene, liberando Prometeo