Cicerone, Tuscolanae Disputationes: Libro 05; 101-110

Cicerone, Tuscolanae Disputationes: Libro 05; 101-110

Latino: dall'autore Cicerone, opera Tuscolanae Disputationes parte Libro 05; 101-110

[101] Quae enim natura tam mirabiliter temperari potest

quo modo igitur iucunda vita potest esse, a qua absit prudentia, absit moderatio

Ex quo Sardanapalli, opulentissimi Syriae regis, error adgnoscitur, qui incidi iussit in busto: 'Haec habeo, quae edi, quaeque exsaturata libido Hausit; at illa iacent multa et praeclara relicta

'Quid aliud' inquit Aristoteles 'in bovis, non in regis sepulcro inscriberes

Haec habere se mortuum dicit, quae ne vivus quidem diutius habebat quam fruebatur

[102] Cur igitur divitiae desiderentur, aut ubi paupertas beatos esse non sinit

Signis, credo, tabulis studes

Si quis est qui bis delectetur, nonne melius tenues homines fruuntur quam illi qui is abundant
[101] Quale natura può infatti essere moderata in maniera così sfarzoa

Come dunque può essere felice una vita da cui sia lontana la prudenta, lontana la moderazione

E da ciò si riconosce lerrore di Sardanapalo, ricchissimo re di Siria, che ordinò che fosse inciso su un busto: Ho ciò che ebbi, e le cose che lasciò una libidine molto soddisfatta; ma molte altre bellissime cose giacciono abbandonate

Che cosaltro dice Aristotele scriveresti nel sepolcro di un bue, non di un re

Dice di avere da morto quelle cose che non aveva neppure da vivo più a lunfo di quando ne fruiva

[102] Perchè dunque sono desiderate le ricchezze, oppure dove la povertà non lascia essere felici

Pensi alle statue, penso, ai quadri

Se cè qualcuno che ne è dilettato due volte, non ne godono di più gli uomini poveri di quelli che sono pieni di queste cose
Est enim carum rerum omnium nostra urbe summa in publico copia

Quae qui privatim habent, nec tam multa et raro vident, cum in sua rura venerunt; quos tamen pungit aliquid, cum, illa unde habeant, recordantur

Dies deficiat, si velim paupertatis causam defendere

Aperta enim res est, et cotidie nos ipsa natura admonet, quam paucis, quam parvis rebus egeat, quam vilibus

[XXXVI] [103] Num igitur ignobilitas aut humilitas aut etiam popularis offensio sapientem beatum esse prohibebit

Vide ne plus commendatio in vulgus et haec, quae expetitur, gloria molestiae habeat quam voluptatis

Leviculus sane noster Demosthenes, qui illo susurro delectari se dicebat aquam ferentis mulierculae, ut mos in Graecia est, insusurrantisque alteri: 'Hic est ille Demosthenes

Quid hoc levius

At quantus orator
Una grande abbondanza in pubblico di tutte le cose nella nostra città è infatti cosa gradita

E chi ha privatamente queste cose, e non ne vede molte e raramente, quando va nei suoi capi; e tuttavia li punge qualcosa, quando si ricordano da dove hanno quelle cose

Mi mancherebbe il giorno, se volessi difendere la causa della povertà

Infatti la questione è evidente e ogni giorno la natura stessa ci ammonisce di quanto poche cose, quanto piccole, quanto vili si ha bisogno

[XXXVI] [103] Forse dunque, la povertà di natali o la condizione umile o loffesa popolare proibirà al sapiente di essere felice

Vedi che la gloria nei confronti della gente e questa gloria che è richiesta non abbiano maggiore fastidio che piacere

Certamente fu superficiale il nostro Demostene, che diceva di godere di quel sussurro della donnicciola che portava lacqua, come è costume in Grecia, e che sussurrava allaltra: Questo è quel famoso demostene

Che cosa cè di più sciocco

E che grande oratore
Sed apud alios loqui videlicet didicerat, non multum ipse secum

[104] Intellegendum est igitur nec gloriam popularem ipsam per sese expetendam nec ignobilitatem extimescendam

'Veni Athenas' inquit Democritus 'neque me quisquam ibi adgnovit

Constantem hominem et gravem, qui glorietur a gloria se afuisse

An tibicines ique, qui fidibus utuntur, suo, non multitudinis arbitrio cantus numerosque moderantur, vir sapiens multo arte maiore praeditus non quid verissimum sit, sed quid velit vulgus, exquiret

An quicquam stultius quam, quos singulos sicut operarios barbarosque contemnas, eos aliquid putare esse universos

Ille vero nostras ambitiones levitatesque contemnet honoresque populi etiam ultro delatos repudiabit; nos autem eos nescimus, ante quam paenitere coepit, contemnere
Ma evidentemente aveva appreso a parlare presso gli altri e non molto a se stesso

[104] Bisogna anche capire che non deve essere ricercata di per sè la gloria popolare nè deve essere temuta una condizione umile

Giunsi ad Atene dice Democrito e non mi riconobbe nessuno lì

Uomo coerente e serio, che si gloria di essere lontano dalla gloria

Forse i flautisti, che usano gli strumenti musicali, modulano canti e ritmi a proprio arbitrio, non a quello della moltitudine e un uomo saggio, dedito ad unarte di molto più grande, deve ricercare non ciò che è naturalissimo, ma ciò che vuole la gente

E che cè di più stolto che reputare che tutti insieme quelli che da soli disprezzi come operai e barbari, valgano qualcosa

Quello dunque disprezzerà le nostre ambizioni e frivolezze e ripudierà gli onori del popolo offerti anche al di là; invece noi non sappiamo disprezzarli prima di cominciare a pentircene

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Cicerone, Tuscolanae Disputationes: Libro 05; 91-100
Cicerone, Tuscolanae Disputationes: Libro 05; 91-100

Latino: dall'autore Cicerone, opera Tuscolanae Disputationes parte Libro 05; 91-100

[105] Est apud Heraclitum physicum de principe Ephesiorum Hermodoro; universos ait Ephesios esse morte multandos, quod, cum civitate expellerent Hermodorum, ita locuti sint: 'Nemo de nobis unus excellat; sin quis extiterit, alio in loco et apud alios sit

An hoc non ita fit omni in populo

nonne omnem exsuperantiam virtutis oderunt

Quid

Aristidesmalo enim Graecorum quam nostra proferrenonne ob eam causam expulsus est patria, quod praeter modum iustus esset

Quantis igitur molestiis vacant, qui nihil omnino cum populo contrahunt

Quid est enim dulcius otio litterato

is dico litteris, quibus infinitatem rerum atque naturae et in hoc ipso mundo caelum terras maria cognoscimus
[105] Cè presso il fisico Eraclito una notizia riguardo il capo degli efesini, Ermodoro; dice che tutto gli efesini dovrebbero essere condannati a morte, poichè, cacciando Ermodoro fuori dalla città, dissero così: Nessuno di noi eccella da solo; se qualcuno verrà fuori, sia in un altro posto e presso altre persone

Ma questo non accade allo stesso modo in ogni popolo

Non odiano ogni esagerazione di virtù

E che

Aristide (preferisco presentare esempi dei greci più che nostri) non fu espulso per questo motivo dalla patria, perché era giusto più della media

Di quanti guai dunque fanno a meno quelli che non si mischiano per niente con il popolo

Che cè di più dolce del riposo letterario

Dico di quelle lettere da cui conosciamo linfinità delle cose e della natura e in questo stesso mondo, il cielo, le terre e i mari
[XXXVII] [106] Contempto igitur honore, contempla etiam pecunia quid relinquitur quod extimescendum sit

Exilium, credo, quod in maxumis malis ducitur

Id si propter alienam et offensam populi voluntatem malum est, quam sit ea contemnenda, [sicut a] paulo ante dictum est

Sin abesse a patria miserum est, plenae miserorum provinciae sunt, ex quibus admodum pauci in patriam revertuntur

[107] 'At multantur bonis exules'

Quid tum

parumne multa de toleranda paupertate dicuntur

Iam vero exilium, si rerum naturam, non ignominiam nominis quaerimus, quantum a perpetua peregrinatione differt

In qua aetates suas philosophi nobilissimi consumpserunt, Xenocrates Crantor, Arcesilas Lacydes, Aristoteles Theophrastus, Zeno Cleanthes, Chrysippus Antipater, Carneades Clitomachus, Philo Antiochus, Panaetius Posidonius, innumerabiles alii, qui semel egressi numquam domum reverterunt
[XXXVII] [106] Disprezzato dunque lonore, disprezzato anche il denaro, che cosa rimane che debba essere temuto

Lesilio, credo che è messo tra i mali più grandi

Ma se questo è un male per una volontà estranea e offesa del popolo, si è detto poco prima quanto sia da disprezzare

Se è triste star lontani dalla patria, le province sono piene di persone tristi, tra cui davvero pochi ritornano in patria

[107] Ma gli esuli sono multati dei beni

E che dunque

Sono detto or ora molte cose sul sopportare la povertà

Inoltre in realtà lesilio, se guardiamo alla natura delle cose non allignominia del nome, quanto differisce da un viaggio continuo

E in questa cosa trascorsero i loro anni filosofi nobilissimi, Senocrare Crantore, Arcesilao di Lacide, Aristotele, Teofrasto, Zenone, Cleante, Crisippo, Antipatro, Carnade, Clitomaco, Filone di Antiochia, Panezio, Posidonio, innumerevoli altri,c he una volta andati fuori non tornarono più in patria

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Latino: dall'autore Cicerone, opera Tuscolanae Disputationes parte Libro 04; 21-30

'At enim sine ignominia'

adficere sapientem

de sapiente enim haec omnis oratio est, cui iure id accidere non possit; nam iure exulantem consolari non oportet

[108] Postremo ad omnis casus facillima ratio est eorum, qui ad voluptatem ea referunt quae secuntur in vita, ut, quocumque haec loco suppeditetur ibi beate queant vivere

Itaque ad omnem rationem Teucri vox accommodari potest: 'Patria est, ubicumque est bene'

Socrates quidem cum rogaretur, cuiatem se esse diceret, 'mundanum' inquit; totius enim mundi se incolam et civem arbitrabatur

Quid

T Albucius nonne animo aequissimo Athenis exul philosophabatur

cui tamen illud ipsum non accidisset, si in re p quiescens Epicuri legibus paruisset
Ma certo senza ignominia

Ma può lesilio portare ignominia al sapiente

Infatti tutta questa orazione è riguardo al sapiente, a cui non può accadere ciò per definizione; infatti non bisogna che sia consolato uno che va in esilio per un buon motivo

[108] Infine, per tutte le circostanze, è comodissimo il ragionamento di quelli che riporano al piacere le cose che seguono in vita al punto che in qualunque luogo siano trovate queste cose, lì possono vivere felicemente

Così la frase di Teucro può essere adattata ad ogni situazione: La patria sta dovunque cè il bene

Secrete, certo, essendogli chiesto di dire di quale città egli fosse, disse del mondo; si reputava infatti abitante e cittadino di tutto il mondo

E che

Tito Albicio non faceva filosofia da esule ad Atene con animo serenissimo

E a lui tuttavia non sarebbe accaduta questa cosa se avesse obbedito alle leggi di Epicureo stando a riposo nello stato
[109] Qui enim beatior Epicurus, quod in patria vivebat, quam, quod Athenis, Metrodorus

Aut Plato Xenocratem vincebat aut Polemo Arcesilam, quo esset beatior

Quanti vero ista civitas aestimanda est, ex qua boni sapientesque pelluntur

Damaratus quidem, Tarquinii nostri regis pater, tyrannum Cypselum quod ferre non poterat, fugit Tarquinios Corintho et ibi suas fortunas constituit ac liberos procreavit

Num stulte anteposuit exilii libertatem domesticae servituti

[XXXVIII] [110] Iam vero motus animi, sollicitudines aegritudinesque oblivione leniuntur traductis animis ad voluptatem

Non sine causa igitur Epicurus ausus est dicere semper in pluribus bonis esse sapientem, quia semper sit in voluptatibus
[109] Perchè infatti è più felice Epicuro poichè viveva in patria, di Metrodoro, poichè stava ad Atene

O forse Platone superava Senocrate o Polmone Arcesilao, su chi fosse più felice

Inoltre quanto deve essere stimata questa cittadinanza da cui sono scacciati i buoni e i saggi

Certo Damarato, padre del nostro re Tarquinio, poiché non poteva sopportare il tiranno Cipselo, fuggì a Tarquini da Corinto e lì fermò le sue sorti prospere e procreò dei figli

Forse antepose stoltamente la libertà dellesilio alla schiavitù in patria

[XXXVIII] [110] Davvero poi i moti dellanimo, le preoccupazioni e le malattie sono leniti dallobblio, portati gli animi al piacere

Non senza motivo dunque Epicuro osò dire che il saggio sta sempre in molteplici beni poichè sta sempre nei piaceri

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Ex quo effici putat ille, quod quaerimus, ut sapiens semper beatus sit E da questo lui ritiene che derivi ciò che cerchiamo, cioè che il saggio sia sempre felice

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