Tu vero, inquam, ducas licet, si sequetur; erit enim mecum, si tecum erit [29] Audi igitur, inquit, Luci; tecum enim mihi instituenda oratio est Omnis auctoritas philosophiae, ut ait Theophrastus, consistit in beata vita comparanda; beate enim vivendi cupiditate incensi omnes sumus [87] Hoc mihi cum tuo fratre convenit Quare hoc videndum est, possitne nobis hoc ratio philosophorum dare Pollicetur certe Nisi enim id faceret, cur Plato Aegyptum peragravit, ut a sacerdotibus barbaris numeros et caelestia acciperet Cur post Tarentum ad Archytam Cur ad reliquos Pythagoreos, Echecratem, Timaeum, Arionem, Locros, ut, cum Socratem expressisset, adiungeret Pythagoreorum disciplinam eaque, quae Socrates repudiabat, addisceret Cur ipse Pythagoras et Aegyptum lustravit et Persarum magos adiit |
Ma portatelo pur via, se ti vien dietro: sarà con me se sarà con te [29] Ed egli: Ascolta dunque, o Lucio: è a te che devo rivolgermi Ogni autorità della filosofia, come dice Teotrasto consiste nel procurare la felicità nella vita; giacché tutti siamo ammati dal desiderio di viver felici [87] Su questo punto, io son daccordo con tuo Perciò bisogna considerare se la teoria dei filosofi ci può dare certamente lo prova Certamente lo promette Difatti, se non lo facesse, perchè Platone viaggiò in Egitto per apprendere da sacerdoti barbari la matematica e lastronomia Perché in seguito andò a Taranto da Archita Perché dai rimanenti Pitagorici, da Echecrate, Timeo , Arione, a Locri, allo scopo di aggiungere, dopo aver sfruttato Socrate, la dottrina dei Pitagorici e accrescere la sua cultura di quei principi che Socrate ripudiava Perché lo stesso Pitagora visitò lEgitto e si recò dai Magi persiani |
Cur tantas regiones barbarorum pedibus obiit, tot maria transmisit Cur haec eadem Democritus Quivere falsone, quaerere mittimusdicitur oculis se privasse; certe, ut quam minime animus a cogitationibus abduceretur, patrimonium neglexit, agros deseruit incultos, quid quaerens aliud nisi vitam beatam quam si etiam in rerum cognitione ponebat, tamen ex illa investigazione naturae consequi volebat, bono ut esset animo Id enim ille summum bonum euthumian et saepe athambian appellat, id est animum terrore liberum [88] Sed haec etsi praeclare, nondum tamen perpolita Pauca enim, neque ea ipsa enucleate, ab hoc de virtute quidem dicta |
Perché percorse a piedi sì vaste regioni di popoli barbari e attraversò tanti mari Perché Democrito fece lo stesso Si dice che questultimo (non stiamo acercare se sia vero o falso) si sia accecato; certo, per distrarsi il meno possibile dalle sue meditazioni, trascurò il suo patrimonio, lasciò i campi incolti: cosaltro stava cercando se non la felicità della vita, che se anche la faceva consistere nella conoscenza della realtà, tuttavia da quella indagine sulla natura voleva conseguire come essere il di animo buono Egli infatti chiama il sommo bene reco euthymia e spesso athambìa, vale a dire anima libera dal terrore [88] Ma anche se tutto questo va benissimo, risulta però ancora perfezionato in modo definitivo Infatti poche, e neppur esse chiaramente svolte, furono le sue affermazioni ulla virtù |
Post enim haec in hac urbe primum a Socrate quaeri coepta, deinde in hunc locum delata sunt, nec dubitatum, quin in virtute omnis ut bene, sic etiam beate vivendi spes poneretur Quae cum Zeno didicisset a nostris, ut in aetionibus praescribi solet, 'DE EADEM RE [FECIT] ALIO MODO' Hoc tu nunc in illo probas Scilicet vocabulis rerum mutatis inconstantiae crimen ille effugit, nos effugere non possumus Ille Metelli vitam negat beatiorem quam Reguli, praeponendam tamen, nec magis expetendam, sed magis sumendam et, si optio esset, eligendam Metelli, Reguli reiciendam; ego, quam ille praeponendam et magis eligendam, beatiorem hanc appello nec ullo minimo momento plus ei vitae tribuo quam Stoici |
In seguito infatti questi problemi prima agitati in questa città da Socrate, poi furono trasferiti in questo luogo e non vi fu dubbio che si poneva nella virtù ogni speranza per vivere bene nonché anche felice E Zenone li, dopo aver imparato ciò dai nostri, seguì sulla medesima sostanza diversa maniera , come si suol prescrivere nelle formule giudiziarie Ora tu lo approvi in questo Evidentemente, mutando la terminologia, egli evita laccusa di incoerenza, e noi non la possiamo evitare Egli afferma che la vita di Metello non è più felice di quella di Regolo, però preferibile, e non da ricercarsi maggiormente ma più accettabile e, se vi fosse facoltà di scelta, sarebbe da scegliere quella di Metello, da respingere quella di Regolo: io, quella che egli chiama preferibile e da scegliere a preferenza, la chiamo più felice e a tale vita conferisco unimportanza nientaff atto maggiore che gli Stoici |
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[89] Quid interest, nisi quod ego res notas notis verbis appello, illi nomina nova quaerunt, quibus idem dicant Ita, quem ad modum in senatu semper est aliquis, qui interpretem postulet, sic, isti nobis cum interprete audiendi sunt Bonum appello quicquid secundurn naturam est, quod contra malum, nec ego solus, sed tu etiam, Chrysippe, in foro, domi; in schola desinis Quid ergo Aliter homines, aliter philosophos loqui putas oportere Quanti quidque sit aliter docti et indocti, sed cum constiterit inter doctos quanti res quaeque sitsi homines essent, usitate loquerentur , dum res maneant, verba fingant arbitratu suo [30, 90] Sed venio ad inconstantiae crimen, ne saepius dicas me aberrare; quam tu ponis in verbis, ego positam in re putabam |
[89] Che differenza cè, se non che io chiamo concetti noti con parole note, e quelli cercano denominazioni nuove per dire la stessa cosa In questo modo, come in senato cè sempre qualcuno che chiede un interprete così costoro dobbiamo ascoltarli con linterprete Chiamo bene tutto ciò che è secondo natura; ciò che le è contrario male, e non solo io, ma anche tu, o Crisippo , nel Foro, a casa tua: quando tieni lezione, invece no Perché mai Credi che uno debba essere il linguaggio degli uomini, e un altro quello dei filosofi La valutazione di ciascuna cosa sia diversa fra i dotti e i profani, ma, quando sia risultato chiaro fra i dotti il valore di ciascuna cosa (se fossero uomini comuni, parlerebbero alla maniera solita), foggino le parole a loro piacere, purché restino fermi i concetti [30, 90] Ma vengo allaccusa di incoerenza, ad evitare che tu ripeta ancora che mi discosto dallargomento; tu vedi lincoerenza nelle parole: credevo che la vedessi nella sostanza |
Si satis erit hoc perceptum, in quo adiutores Stoicos optimos habemus, tantam vim esse virtutis, ut omnia, si ex altera parte ponantur, ne appareant quidem, cum omnia, quae illi commoda certe dicunt esse et sumenda et eligenda et praepositaquae ita definiunt, ut satis magno aestimanda sint , haec igitur cum ego tot nominibus a Stoicis appellata, partim novis et commenticiis, ut ista 'producta' et 'reducta', partim idem significantibusquid enim interest, expetas an eligas Mihi quidem etiam lautius videtur, quod eligitur, et ad quod dilectus adhibetur , sed, cum ego ista omnia bona dixero, tantum refert quam magna dicam, cum expetenda, quam valde |
Se si sarà capito abbastanza chiaramente questo concetto (per cui troveremo un ottimo aiuto negli Stoici) tanta è la forza della virtù che, se si mette dallaltra parte tutto il resto, non lo si vede neppure e, quando io chiamerà beni tutte queste cose che essi certamente chiamano vantaggiose, accettabili, da scegliere, preferite (ne dànno la seguente definizione: cose abbastanza valutabili ) , tutte queste cose dunque che sono denominate dagli Stoici con tanti termini, in parte nuovi e creati apposta, come per esempio elevato e ritirato in parte identici nel significato (e infatti che differenza cè tra ricercare e scegliere A mio parere è ancor più ragguardevole ciò che si sceglie e per cui si applica una distinzione), quando, stavo dicendo, le chiamerà beni , importa solo quale grandezza attribuisca loro, quando invece le chiamerà da ricercarsi, solo quale intensità attribuisco a tale ricerca |
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Sin autem nec expetenda ego magis quam tu eligenda, nec illa pluris aestimanda ego, qui bona, quam tu, producta qui appellas, omnia ista necesse est obscurari nec apparere et in virtutis tamquam in solis radios incurrere [91] At enim, qua in vita est aliquid mali, ea beata esse non potest Ne seges quidem igitur spicis uberibus et crebris, si avenam uspiam videris, nec mercatura quaestuosa, si in maximis lucris paulum aliquid damni contraxerit An hoc usque quaque, aliter in vita Et non ex maxima parte de tota iudicabis An dubium est, quin virtus ita maximam partem optineat in rebus humanis, ut reliquas obruat |
Se invece io dico che son da ricercarsi non più di quanto tu dici che son da scegliere, ed io che le chiamo beni le dico valutabili non più dite che le chiami elevate, tutto ciò necessariamente si offusca, scompare, e incontra lo splendore della virtù come sole radioso [91] Però si obietta la vita in cui cè qualcosa di male, non può essere felice Allora neppur la messe con le spighe rigogliose e fitte, se vedi in qualche punto lerbaccia; neppure un affare redditizio, se fra grandissimo guadagno cè stato un pochino di perdita O forse questo criterio va bene per ogni caso, e per la vita è diverso Non giudicherai del suo complesso partendo dalla maggior parte o è dubbio che negli eventi umani la virtù occupa la parte maggiore tanto da sommergere tutto il resto |
Audebo igitur cetera, quae secundum naturam sint, bona appellare nec fraudare suo vetere nomine neque iam aliquod potius novum exquirere,virtutis autem amplitudinem quasi in altera librae lance ponere [92] Terram, mihi crede, ea lanx et maria deprimet Semper enim ex eo, quod maximas partes continet latissimeque funditur, tota res appellatur Dicimus aliquem hilare vivere; ergo, si semel tristior effectus est, hilara vita amissa est At hoc in eo M Crasso, quem semel ait in vita risisse Lucilius, non contigit, ut ea re minus agelastos ut ait idem, vocaretur Polycratem Samium felicem appellabant Nihil acciderat ei, quod nollet, nisi quod anulum, quo delectabatur, in mari abiecerat Ergo infelix una molestia, fellx rursus, cum is ipse anulus in praecordiis piscis inventus est |
Dunque io oserò chiamare beni le altre cose che sono conformi a natura senza defraudarle del loro vecchio nome né andare iuttosto a cercarne ora uno nuovo; però oserò porre la graniosità della virtù per casi dire sullaltro piatto della bilancia [92] Quel piatto, credimi, schiaccerà terra e mare Giacché infatti il complesso di una cosa prende sempre nome da ciò che ne tiene la maggior parte ed ha la massima espansione Diciamo che uno vive allegramente: quindi, se una volta è divenuto un po triste, la sua vita allegra è andata persa Questo però non è capitato a quei Marco Crasso che, a quanto dice Lucilio, rise una sola volta in vita sua: ciò non gli evitò, secondo lautore, di cssere chiamato in greco agélastos Chiamavano fortunato Policrate di Samo Non gli era capitato nulla che non volesse, tranne che aveva lasciato cadere in mare un anello che gli piaceva Dunque fu infelice per questo dispiacere, e poi dinuovo felice quando proprio quellanello rinvenuto nello stomaco di un pesce |
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Ille vero, si insipiensquo certe, quoniam tyrannus , numquam beatus; si sapiens, ne tum quidem miser, cum ab Oroete, praetore Darei, in crucem actus est At multis malis affectus Quis negat Sed ea mala virtuti magnitudine obruebantur [31, 93] An ne hoc quidem Peripateticis concedis, ut dicant omnium bonorum virorum, id est sapientium omnibusque virtutibus ornatorum, vitam omnibus partibus plus habere semper boni quam mali Quis hoc dicit Stoici scilicet Minime; sed isti ipsi, qui voluptate et dolore omnia metiuntur, nonne clamant sapienti plus semper adesse quod velit quam quod nolit |
In realtà, se non era sapiente (e non lo fu certamente, in quanto era un tiranno), non fu mai felice; se invece lo era, non fu infelice neppur quando fu messo in croce da Orete, governatore di Dario Però soffrì molti mali E chi lo nega Ma tali mali pmmersi dalla grandezza della virtù [31, 93]O forse tu non concedi ai Peripatetici quando dicono che tra tutti gli uomini buoni, cioè tra i sapienti ornati di ogni virtù, una vita ha in ogni sua parte più bene che male Chi dice ciò Gli Stoici naturalmente Nientaffatto; ma quegli stessi che misurano ogni cosa con il metro del piacere e del dolore forse non proclamano ad alta voce che il sapiente ha sempre a sua diiposizione ciò che vuole in maggior misura che ciò che non vuote |
Cum tantum igitur in virtute ponant ii, qui fatentur se virtutis causa, nisi ea voluptatem faceret, ne manum quidem versuros fuisse, quid facere nos oportet, qui quamvis minimam animi praestantiam omnibus bonis corporis anteire dicamus, ut ea ne in conspectu quidem relinquantur Quis est enim, qui hoc cadere in sapientem dicere audeat, ut, si fieri possit, virtutem in perpetuum abiciat, ut dolore omni liberetur Quis nostrum dixerit, quos non pudet ea, quae Stoici aspera dicunt, mala dicere, melius esse turpiter aliquid facere cum voluptate quam honeste cum dolore [94] Nobis Heracleotes ille Dionysius flagitiose descivisse videtur a Stoicis propter oculorum dolorem Quasi vero hoc didicisset a Zenone, non dolere, cum doleret |
Quindi, dal momento che danno tanto valore alla virtù coloro che dichiarano che per la virtù non muoverebbero neppure un dito se essa non producesse piacere , che dobbiamo fare noi che sosteniamo che la benché minima preminenza dellanima è superiore a tutti i beni del corpo, tanto da non lasciarli neppur visibili Chi infatti oserebbe prospettare come possibile leventualità che il sapìente rinunci per sempre alla virtù, per liberarsi da ogni dolore Chi di noi, che non abbiamo vergogna chiamai mali quelle che gli Stoici chiamano asprezze, potrebbe dire che è meglio compiere unazione disonesta con piacere piuttosto che onesta con dolore [94] Secondo noi, quel celebre Dionisio di Eraclea ha fatto una brutta figura a staccarsi dagli Stoici per il suo dolore agli occhi Come se avesse imparato proprio questo da Zenone: non sentir dolore quando si ha dolore |
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Illud audierat nec tamen didicerat, malum illud non esse, quia turpe non esset, et esse ferendum viro Hic si Peripateticus fuisset, permansisset, credo, in sententia, qui dolorem malum dicunt esse, de asperitate autem eius fortiter ferenda praecipiunt eadem, quae Stoici Et quidem Arcesilas tuus, etsi fuit in disserendo pertinacior, tamen noster fuit; erat enim Polemonis Is cum arderet podagrae doloribus visitassetque hominem Charmides Epicureus perfamiliaris et tristis exiret, Mane, quaeso, inquit, Charmide noster; nihil illinc huc pervenit ;ostendit pedes et pectus Ac tamen hic mallet non dolere |
Aveva ascoltato, però non aveva imparato il principio secondo cui ciò non era male perché non era disonesto, e un uomo doveva sopportano Se egli fosse stato un Peripatetico, sarebbe rimasto fermo, credo, nella sua opinione: essi dicono che il dolore è un male, però, in quanto alla fortezza nel sopportarne lasprezza, danno le stesse norme che gli Stoici Pure il tuo Arcesila , anche se fu un po troppo ostinato nella dissertazione, fu tutdidei nostri: era scolaro di Polemone Egli, mentre soffriva atroci dolori per la podagra, ricevette la visita dellepicureo Carmide, suo intimo amico, e vedendolo uscire triste, gli disse: caro Carmide, rimani, ti prego: di lì non giunge nulla fin qua; indicava i piedi e il petto Pur tuttavia egli avrebbe preferito non provar dolore |