Petronio, Satyricon: 132-141, pag 2

Petronio, Satyricon: 132-141

Latino: dall'autore Petronio, opera Satyricon parte 132-141
Oenothea mensam veterem posuit in medio altari, quam vivis implevit carbonibus, et camellam etiam vetustate ruptam pice temperata refecit

Tum clavum, qui detrahentem secutus cum camella lignea fuerat, fumoso parieti reddidit

Mox incincta quadrato pallio cucumam ingentem foco apposuit, simulque pannum de carnario detulit furca, in quo faba erat ad usum reposita et sincipitis vetustissima particula mille plagis dolata

Ut soluit ergo licio pannum, partem leguminis super mensam effudit iussitque me diligenter purgare

Servio ego imperio, granaque sordidissimis putaminibus vestita curiosa manu segrego

At illa inertiam meam accusans improba tollit, dentibusque folliculos pariter spoliat, atque in terram veluti muscarum imagines despuit
Enotea piazzò una vecchia tavola in mezzo all'altare, ci sistemò sopra dei carboni ardenti, e quindi, dopo aver sciolto un po' di pece, riparò una vecchia scodella tutta forata

Poi riattaccò alla parete affumicata il chiodo che era venuto giù mentre prendeva la ciotola di legno

Quindi, dopo essersi legata ai fianchi un grembiule quadrato e aver sistemato sul fuoco una grossa pentola, servendosi di un forchettone tirò giù dalla dispensa un sacchetto con dentro delle fave pronte per l'uso e una testina di maiale già tutta rosicchiata

Aperto il sacco, distribuì sulla tavola una parte delle fave e mi intimò di pulirle per bene

Io le obbedisco e, mettendoci dell'impegno, comincio col mettere da parte quelle che dalla buccia sembravano ammuffite

Ma lei, dandomi del buono a nulla, raccoglie quella robaccia e, strappandone le bucce con i denti, le sputa per terra, che sembravano tante mosche
Mirabar equidem paupertatis ingenium singularumque rerum quasdam artes: Non Indum fulgebat ebur, quod inhaeserat auro,nec iam calcato radiabat marmore terramuneribus delusa suis, sed crate salignaimpositum Cereris vacuae nemus et nova terrae pocula, quae facili vilis rota finxerat actu

Hinc molli stillae lacus et de caudice lentovimineae lances maculataque testa Lyaeo

At paries circa palea satiatus inanifortuitoque luto clavos numerabat agrestis,et viridi iunco gracilis pendebat harundo

Praeterea quae fumoso suspensa tigilloconservabat opes humilis casa, mitia sorbainter odoratas pendebat texta coronaset thymbrae veteres et passis uva racemis:qualis in Actaea quondam fuit hospita terra,digna sacris Hecales, quam Musa loquentibus annis Baccineas veteres mirando tradidit aevo
Dal canto mio, ero sbalordito al vedere quanto la povertà aguzzi l'ingegno e come ogni singolo aspetto possa esser sfruttato col senso pratico: L'avorio dell'India non splendeva montato nell'oro, né di lastrici in marmo pregiato brillava la terra privata dei suoi tesori, ma solo una stuoia di salice e fasci di povera paglia, e tazze ancor fresche d'argilla, che un ruvido tornio aveva forgiato alla buona

Per l'acqua un catino, e ceste di vimini appese a un ramo flessuoso, e un'anfora sporca di vino

E al muro lì intorno di paglia e di fango commesso infissi vedevi dei rustici chiodi, e appesa a un giunco nel pieno del verde un'esile canna

Inoltre da un trave fumoso dell'umile casa pendevanle scorte, e dolci sorbe oscillavano in trecce odoroseintrecciate, e santoreggia lasciata invecchiare,e grappoli d'uva passita; al pari ospitale fu un giornola casa d'Ecale nell'Attica, degna di culti sacrali,che il verso del vecchio Battiade a noi nel memore corsodegli anni trasmise a un'età che sapesse ammirarlo
[CXXXVI] Dum illa carnis etiam paululum delibat et dum coaequale natalium suorum sinciput in carnarium furca reponit, fracta est putris sella, quae staturae altitudinem adiecerat, anumque pondere suo deiectam super foculum mittit

Frangitur ergo cervix cucumulae ignemque modo convalescentem restinguit

Vexat cubitum ipsa stipite ardenti faciemque totam excitato cinere pertundit

Consurrexi equidem turbatus anumque non sine meo risu erexi; statimque, ne res aliqua sacrificium moraretur, ad reficiendum ignem in viciniam cucurrit

Itaque ad casae ostiolum processi cum ecce tres anseres sacri qui, ut puto, medio die solebant ab anu diaria exigere, impetum in me faciunt foedoque ac veluti rabioso stridore circumsistunt trepidantem
136 Mentre lei è alle prese con un pezzettino di carne e col forchettone cerca di riappendere in dispensa quella testina che, occhio e croce, doveva avere la sua età, lo sgabello tarlato sul quale era salita per arrivare fin lassù si sfascia e manda a gambe levate la vecchia, facendola planare con tutto il suo peso sul focolare

Di conseguenza si spacca anche l'orlo della pentola e il fuoco, che stava già per prendere, si spegne

Lei centra col gomito un tizzone ardente e la cenere che si solleva le sporca tutta la faccia

Io salto su in piedi tutto spaventato e, non senza sghignazzare, aiuto la vecchia a tirarsi su; e, per evitare ritardi al sacrificio, va subito dai vicini a farsi dare il necessario per riattizzare il fuoco

Io allora mi diressi verso l'ingresso della stamberga quand'ecco che tre oche sacre, abituate intorno a mezzogiorno - mi immagino - a reclamare il becchime dalla vecchia, mi si avventano addosso e mi circondano da ogni parte, spaventandomi pure con un orrendo e rabbioso strepito

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Petronio, Satyricon: 61-75

Latino: dall'autore Petronio, opera Satyricon parte 61-75

Atque alius tunicam meam lacerat, alius vincula calcumentorum resoluit ac trahit; unus etiam, dux ac magister saevitiae, non dubitavit crus meum serrato vexare morsu

Oblitus itaque nugarum, pedem mensulae extorsi coepique pugnacissimum animal armata elidere manu

Nec satiatus defunctorio ictu, morte me anseris vindicavi:Tales Herculea Stymphalidas arte coactas ad coelum fugisse reor, peneque fluentes Harpyias, cum Phineo maduere veneno fallaces epulae
Una mi fa a pezzi la tunica, un'altra mi slega le stringhe dei calzari e se li porta via, mentre una terza, che guidava quell'assalto in piena regola, non esita a straziarmi un polpaccio col suo becco seghettato

Siccome di quel brutto scherzo non ne potevo davvero più, strappai una gamba alla tavola e cercai di liberarmi a mano armata da quella bestiaccia inferocita

E non mi limitai a qualche semplice colpo dimostrativo, ma mi vendicai stendendola morta al suolo: Così costretti dall'astuzia di Eracle, credo, al cielo fuggirono gli uccelli Stinfalidi, e rapide come corrente le Arpie quando a Fineolordarono i tavoli stillando veleno sulle false mense
Tremuit perterritus aether planctibus insolitis, confusaque regia coeli Iam reliqui revolutam passimque per totum effusam pavimentum collegerant fabam, orbatique, ut existimo, duce redierant in templum, cum ego praeda simul atque vindicta gaudens post lectum occisum anserem mitto, vulnusque cruris haud altum aceto diluo

Deinde convicium verens, abeundi formavi consilium, collectoque cultu meo ire extra casam coepi

Necdum liberaveram cellulae limen, cum animadverto Oenotheam cum testo ignis pleno venientem

Reduxi igitur gradum proiectaque veste, tanquam expectarem morantem, in aditu steti

Collocavit illa ignem cassis harundinibus collectum, ingestisque super pluribus lignis excusare coepit moram, quod amica se non dimisisset tribus nisi potionibus e lege siccatis'
Tremò la volta celeste, squassata alle insolite grida,e fu scossa la reggia del cielo; nel frattempo le altre due oche si erano spazzolate le fave che, rotolando sul pavimento, si erano sparse dovunque e, sconfortate dalla perdita di quella che a mio avviso doveva essere il capo, se ne erano tornate nel tempio, quando io, raggiante per essermi rifatto portando via anche del bottino, nascondo dietro il letto l'oca uccisa e mi disinfetto con un po' di aceto la ferita non troppo profonda alla gamba

Per paura poi di doverla pagare cara, pensai bene di togliere il disturbo e, raccolta la mia roba, feci per uscire dalla stamberga

Ma non ne avevo ancora varcato la soglia, che vidi Enotea tornare sui suoi passi con un recipiente pieno di braci

Tirai subito indietro il piede e, dopo essermi tolto di nuovo il mantello, rimasi lì sulla porta, come se stessi aspettando il suo arrivo

Lei allora sistemò un po' di brace sotto le canne, ci mise sopra molta legna e cominciò a scusarsi del ritardo, dovuto a una vicina che non l'aveva lasciata andare via se non dopo aver buttato giù i soliti tre bicchierini

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Petronio, Satyricon: 31-45

Latino: dall'autore Petronio, opera Satyricon parte 31-45

Quid porro tu, inquit, me absente fecisti, aut ubi est faba’

Ego, qui putaveram me rem laude etiam dignam fecisse, ordine illi totum proelium eui, et ne diutius tristis esset, iacturae pensionem anserem obtuli

Quem anus ut vidit, tam magnum aeque clamorem sustulit, ut putares iterum anseres limen intrasse

Confusus itaque et novitate facinoris attonitus, quaerebam quid excanduisset, aut quare anseris potius quam mei misereretur

[CXXXVII] At illa complosis manibus: 'Scelerate, inquit, etiam loqueris

Nescis quam magnum flagitium admiseris: occidisti Priapi delicias, anserem omnibus matronis acceptissimum

Itaque ne te putes nihil egisse; si magistratus hoc scierint, ibis in crucem
E tu disse poi che hai fatto mentre non c'ero e le fave dove sono finite

Convinto com'ero di aver compiuto chissà quale prodezza, le raccontai per filo e per segno tutta la storia della battaglia e, perché non stesse a pensarci troppo, le offrii l'oca come risarcimento al danno subito

Ma non appena la vecchia la vide, si mise a strillare così tanto e così forte, da dar l'impressione che le oche fossero di nuovo lì sulla porta

Impressionato, allora, e sbalordito da come si stava mettendo la faccenda, le chiesi perché mai si fosse scaldata tanto e perché si preoccupasse più dell'oca che di me

137 Ma lei, battendo forte le mani, mi urlò: Razza di criminale, e hai anche la faccia tosta di parlare

Tu non ti rendi mica conto di che infamia ti sei macchiato: hai ucciso la gioia di Priapo, un'oca che faceva impazzire tutte le signore

Non credere quindi che sia una cosa da poco, perché se solo lo vengono a sapere i magistrati, finisci dritto sulla croce
Polluisti sanguine domicilium meum ante hunc diem inviolatum, fecistique ut me, quisquis voluerit inimicus, sacerdotio pellat

-- Rogo, inquam, noli clamare: ego tibi pro ansere struthocamelum reddam'

Dum haec me stupente in lectulo sedet anserisque fatum complorat, interim Proselenos cum impensa sacrificii venit, visoque ansere occiso sciscitata causam tristitiae, et ipsa flere vehementius coepit meique misereri, tanquam patrem meum, non publicum anserem, occidissem

Itaque taedio fatigatus: 'Rogo, inquam, expiare manus pretio licet

si vos provocassem, etiam si homicidium fecissem

Ecce duos aureos pono, unde possitis et deos et anseres emere'

Quos ut vidit Oenothea: 'Ignosce, inquit, adulescens, sollicita sum tua causa; Amoris est hoc argumentum, non malignitatis
Hai profanato col sangue la mia dimora fino a oggi inviolata, e hai fatto in modo che chiunque lo voglia fra i miei nemici possa farmi espellere dal sacerdozio

Per carità le dico io, non gridare: in cambio dell'oca ti farò avere uno struzzo

Mentre me ne sto lì imbambolato a fissarla seduta sul letto che continua a piangere per la morte dell'oca, entra Proseleno con la spesa fatta per il sacrificio e, vedendo l'oca uccisa e domandando le ragioni di tutto quello strazio, scoppia anche lei in calde lacrime e si mette a commiserare la mia sorte, come se avessi ucciso mio padre invece di un'oca qualunque

Alla fine, seccato da quella lagna, dico: Ditemi un po', non mi è concesso espiare la colpa tirando fuori qualche soldo

Manco se vi avessi insultato e mi fossi macchiato di un omicidio

Eccovi qua due belle monete d'oro, che ci potete comprare anche gli dèi insieme alle oche

Appena Enotea vide la grana, disse: Scusami tanto, ragazzo mio: è per te che mi preoccupo, non lo faccio mica per cattiveria, ma solo perché ti voglio bene

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Petronio, Satyricon: 111-131

Latino: dall'autore Petronio, opera Satyricon parte 111-131

Itaque dabimus operam, ne quis sciat

Tu modo deos roga, ut illi facto tuo ignoscant'

Quisquis habet nummos, secura naviget aurafortunamque suo temperet arbitrio

Uxorem ducat Danaen ipsumque licebitAcrisium iubeat credere quod Danaen

Carmina componat, declamet, concrepet omnes et peragat causas sitque Catone prior

Iurisconsultus 'parret, non parret' habeto,atque esto quicquid Servius et Labeo

Multa loquor: quod vis, nummis praesentibus opta, et veniet

Clausum possidet arca Iovem

Infra manus meas camellam vini posuit et cum digitos pariter extensos porris apioque lustrasset, avellanas nuces cum precatione mersit in vinum

Et sive in summum redierant, sive subsderant, ex hoc coniecturam ducebat

Nec me fallebat inanes scilicet ac sine medulla ventosas nuces in summo umore consistere, graves autem et plenas integro fructu ad ima deferri
Vedrai, sistemeremo tutto, che nessuno lo venga a sapere

Tu però prega solo gli dèi che ti perdonino per la bella impresa che hai fatto

Veleggi col vento in poppa chi ha denaro, e regoli la sorte secondo il suo piacere

Se in moglie prende Danae, ad Acrisio persino farà credere quel che Danae ha creduto

Scriva versi, declami e lo applaudano tutti, e se cause discute, superi anche Catone

Se fa il giudice, abbia il 'consta' e il 'non consta',e sia almeno alla pari di Servio e Labeone

Ne ho già dette abbastanza: coi contanti ciò che vuoite lo danno

Ogni scrigno ha dentro il suo Giove

Mi mise in mano una ciotola piena di vino e, dopo avermi pulito con porri e prezzemolo le dita della mano distese in avanti, immerse pregando delle nocciole nel vino

E a seconda che tornassero o meno a galla, lei tirava fuori il pronostico

Ma io capivo benissimo che a galla rimanevano le nocciole vuote e senza midollo (perché dentro non avevano niente), mentre quelle piene e con il frutto intatto andavano giù
Recluso pectore extraxit fortissimum iecur et inde mihi futura praedixit

Immo, ne quod vestigium sceleris superesset, totum anserem laceratum verubus confixit, epulasque etiam lautas paulo ante, ut ipsa dicebat, perituro paravit

Volabant inter haec potiones meracae

[CXXXVIII] Profert Oenothea scorteum fascinum, quod ut oleo et minuto pipere atque urticae trito circumdedit semine, paulatim coepit inserere ano meo

Hoc crudelissima anus spargit subinde umore femina mea

Nasturcii sucum cum habrotono miscet, perfusisque inguinibus meis, viridis urticae fascem comprehendit, omniaque infra umbilicum coepit lenta manu caedere

Aniculae quamvis solutae mero ac libidine essent, eandem viam tentant et per aliquot vicos secutae fugientem 'Prende furem' clamant
Dopo aver squartato l'oca, ne tirò fuori un fegato robustissimo, che le servì per predirmi il futuro

Anzi, per evitare che rimanessero tracce del mio delitto, fece a pezzi tutta la bestia e, dopo averli infilati su spiedi, organizzò una cenetta non male, in onore proprio di quello che, a sentire lei, fino a un attimo prima era a un passo dal patibolo

Nel frattempo fioccavano uno dietro l'altro dei bei bicchieri di vino puro

138 Enotea tira fuori un fallo di cuoio e, dopo averlo cosparso ben bene di olio, pepe in polvere e semi di ortica tritati, incomincia lentamente a infilarmelo nel didietro

Un attimo dopo la dannata vecchiaccia mi versa quello stesso intruglio tra le cosce

Poi mescola succo di nasturzio con abrotono e, dopo avermi lavato i genitali con quella mistura, prende un fascio di ortiche verdi e comincia a frustarmi a ritmo lento dall'ombelico in giù

Le due vecchiette, belle che andate com'erano per il vino e la foia, mi si slanciano dietro e, inseguendomi giù per un vicolo, gridavano: Al ladro

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Petronio, Satyricon: 01 - 15

Latino: dall'autore Petronio, opera Satyricon parte 01 - 15

Evasi tamen omnibus digitis inter praecipitem decursum cruentatis

'Chrysis, quae priorem fortunam tuam oderat, hanc vel cum periculo capitis persequi destinat'

'Quid huic formae aut Ariadne habuit aut Leda simile

Quid contra hanc Helene, quid Venus posset

Ipse Paris, dearum libidinantium iudex, si hanc in comparatione vidisset tam petulantibus oculis, et Helenen huic donasset et deas

Saltem si permitteretur osculum capere, si illud caeleste ac divinum pectus amplecti, forsitan rediret hoc corpus ad vires et resipiscerent partes veneficio, credo, sopitae

Nec me contumeliae lassant: quod verberatus sum, nescio; quod eiectus sum, lusum puto

Modo redire in gratiam liceat'
Per fortuna riuscii a seminarle, non senza però essermi fatto venire le vesciche ai piedi per tutto quel correre a rompicollo

Criside, che prima ti detestava per la condizione in cui versavi, ora che sei così ha deciso di averti anche a costo della vita

Ma Arianna e Leda che cosa ebbero di simile a questa bellezza

Che cosa avrebbe potuto, al suo confronto, Elena, che cosa Venere

Perfino Paride, che fece da giudice tra quelle dee infoiate, se nel pieno di quella gara avesse visto i suoi occhi che ammaliano, per lei avrebbe dato Elena e tutte le dee messe insieme

Ah, se mi riuscisse soltanto di strapparle un bacio, di stringere a me quel petto meraviglioso e divino, forse il mio fisico tornerebbe al vigore di un tempo, e risusciterebbe quella parte che mi hanno, credo, addormentato con un maleficio

Le umiliazioni subite non mi tolgono lo slancio: le bastonate che ho preso non me le ricordo neppure, se mi ha cacciato fuori lo ha fatto per scherzo

Se solo potessi rientrare nelle sue grazie

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