[36] Nec multo post omissa in praesens Achaia (causae in incerto fuere) urbem revisit, provincias Orientis, maxime Aegyptum, secretis imaginationibus agitans dehinc [e]dicto testificatus non longam sui absentiam et cuncta in re publica perinde immota ac prospera fore, super ea profectione adiit Capitolium illic veneratus deos, cum Vestae quoque templum inisset, repente cunctos per artus tremens, seu numine exterrente, seu facinorum recordatione numquam timore vacuus, deseruit inceptum, cunctas sibi curas amore patriae leviores dictitans vidisse maestos civium vultus, audire secretas querimonias, quod tantum [itineris] aditurus esset, cuius ne modicos quidem egressus tolerarent, sueti adversum fortuita adspectu principis refoveri |
36 Non molto dopo, lasciata cadere per il momento l'idea dell'Acaia (non si seppe mai bene il motivo), fece ritorno a Roma, tutto preso da segrete fantasie per l'Oriente e, in particolare, per l'Egitto Poi, dopo aver garantito con un editto che la sua assenza non sarebbe stata lunga e che la prosperità dello stato in nulla poteva cambiare, si recò in Campidoglio per trarre auspici circa la partenza Lì aveva già venerato gli dèi e s'era anche recato nel tempio di Vesta, quando improvvisamente fu scosso da un tremito in tutto il corpo, sia perché terrorizzato dalla presenza divina, sia perché mai sgombro da paure, nel ricordo dei suoi delitti Rinunciò allora al suo proposito, proclamando che tutti i suoi progetti cadevano di fronte all'amore per la patria: aveva visto gli sguardi mesti dei cittadini, sentiva i loro segreti lamenti, perché s'accingeva a così lungo viaggio, quando per loro era insostenibile anche una sua breve assenza, abituati com'erano a sentirsi protetti contro le possibili avversità dalla vista dell'imperatore |
ergo ut in privatis necessitudinibus proxima pignora praevalerent, ita [in re publica] populum Romanum vim plurimam habere parendumque retinenti haec atque talia plebi volentia fuere, voluptatum cupidine et, quae praecipua cura est, rei frumentariae angustias, si abesset, metuenti senatus et primores in incerto erant, procul an coram atrocior haberetur; dehinc, quae natura magnis timoribus, deterius credebant quod evenerat [37] Ipse quo fidem adquireret nihil usquam perinde laetum sibi, publicis locis struere convivia totaque urbe quasi domo uti et celeberrimae luxu famaque epulae fuere, quas a Tigellino paratas ut exemplum referam, ne saepius eadem prodigentia narranda sit igitur in stagno Agrippae fabricatus est ratem, cui superpositum convivium navium aliarum tractu moveretur |
E come nelle difficoltà della vita privata contavano, sopra tutto, gli affetti familiari più profondi, così - concludeva - nella vita dello stato il popolo romano stava al primo posto e, se esso lo voleva trattenere, non si poteva non obbedirgli Discorsi come questi andavano a genio alla plebe, avida di piaceri e timorosa - perché a ciò soprattutto pensava - che, in sua assenza, potesse esserci penuria di viveri Il senato e i cittadini più autorevoli erano in dubbio se fosse peggio averlo vicino o lontano; ma poi, com'è inevitabile nelle grandi paure, consideravano peggio quant'era avvenuto 37 Nerone, onde rendere credibile la sua assoluta preferenza per Roma in confronto a ogni altro luogo, allestiva banchetti in luoghi pubblici e usava dell'intera città come di casa propria Il più famoso, per sontuosità e per la risonanza avuta, fu quello organizzato da Tigellino, che citerò come esempio, per non dover tornare altre volte su simili sperperi Costruì dunque sul lago d'Agrippa uno zatterone, su cui allestire il convito, tratto a rimorchio da altre navi |
naves auro et ebore distinctae; remigesqe exoleti per aetates et scientiam libidinum componebantur volucres et feras diversis et terris at animalia maris Oceano abusque petiverat crepidinibus stagni lupanaria adstabant inlustribus feminis completa, et contra scorta visebantur nudis corporibus iam gestus motusque obsceni; et postquam tenebrae incedebant, quantum iuxta nemoris et circiumiecta tecta consonare cantu et luminibus clarescere ipse per licita atque inlicita foedatus nihil flagitii reliquerat, quo corruptior ageret, nisi paucos post dies uni ex illo contaminatorum grege (nomen Pythagorae fuit) in modum solemnium coniugiorum denupsisset inditum imperatori flammeum, missi auspices; dos et genialis torus et faces nuptiales, cuncta denique spectata, quae etiam in femina nox operit |
Le navi avevano fregi d'oro e d'avorio e i rematori erano costituiti da giovani amasii, distinti per età e specializzazione nella libidine Aveva fatto venire selvaggine e bestie esotiche dalle terre più lontane e animali marini fin dall'Oceano Sulle banchine del lago sorgevano lupanari zeppi di nobildonne e di fronte si mettevano in mostra prostitute tutte nude Già i gesti e le movenze erano osceni; e, al calar delle tenebre, i boschi d'intorno e le costruzioni circostanti risuonavano di canti in uno sfavillio di luci Nerone, già sozzo d'ogni bruttura al di là del lecito e dell'illecito, sembrò non trascurare infamia alcuna per superare se stesso nella corruzione, senonché, pochi giorni dopo, volle, e con tutta la solennità del rituale, sposare uno di quel branco di porci, un certo Pitagora All'imperatore fu messo il velo da sposa e furono convocati i testimoni augurali; si poterono vedere la dote, il letto consacrato al nume domestico e tutto ciò che, anche con una donna, la notte nasconde |
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[38] Sequitur clades, forte an dolo principis incertum (nam utrumque auctores prodidere), sed omnibus, quae huic urbi per violentiam ignium acciderunt, gravior atque atrocior initium in ea parte circi ortum, quae Palatino Caelioque montibus contigua est, ubi per tabernas, quibus id mercimonium inerat, quo flamma alitur, simul coeptus ignis et statim validus ac vento citus longitudinem circi conripuit neque enim domus munimentis saeptae vel templa muris cincta aut quid aliud morae interiacebat impetus pervagatum incendium plana primum, deinde in edita adsurgens et rursus inferiora populando anteiit remedia velocitate mali et obnoxia urbe artis itineribus hucque et illuc flexis atque enoribus vicis, qualis vetus Roman fuit |
38 Si verificò poi un disastro, non si sa se accidentale o per dolo del principe - gli storici, infatti, tramandano le due versioni - comunque il più grave e spaventoso toccato alla città a causa di un incendio Iniziò nella parte del circo contigua ai colli Palatino e Celio, dove il fuoco, scoppiato nelle botteghe piene di merci infiammabili, subito divampò, alimentato dal vento, e avvolse il circo in tutta la sua lunghezza Non c'erano palazzi con recinti e protezioni o templi circondati da muri o altro che facesse da ostacolo L'incendio invase, nella sua furia, dapprima il piano, poi risalì sulle alture per scendere ancora verso il basso, superando, nella devastazione, qualsiasi soccorso, per la fulmineità del flagello e perché vi si prestavano la città e i vicoli stretti e tortuosi e l'esistenza di enormi isolati, di cui era fatta la vecchia Roma |
ad hoc lamenta paventium feminarum, fessa aetate aut rudis pueritiae [aetas], quique sibi quique aliis consulebat, dum trahunt invalidos aut opperiuntur, pars mora, pars festinans, cuncta impediebant et saepe, dum in tergum respectant, lateribus aut fronte circumveniebantur, vel si in proxima evaserant, illis quoque igni correptis, etiam quae longinqua crediderant in eodem casu reperiebant postremo, quid vitarent quid peterent ambigui, complere vias, sterni per agros; quidam amissis omnibus fortunis, diurni quoque victus, alii caritate suorum, quos eripere nequiverant, quamvis patente effugio interiere |
Si aggiungano le grida di donne atterrite, i vecchi smarriti e i bambini, e chi badava a sé e chi pensava agli altri e trascinava gli invalidi o li aspettava; e chi si precipita e chi indugia, in un intralcio generale Spesso, mentre si guardavano alle spalle, erano investiti dal fuoco sui fianchi e di fronte, o, se alcuno riusciva a scampare in luoghi vicini, li trovava anch'essi in preda alle fiamme, e anche i posti che credevano lontani risultavano immersi nella stessa rovina Nell'impossibilità, infine, di sapere da cosa fuggire e dove muovere, si riversano per le vie e si buttano sfiniti nei campi; alcuni, per aver perso tutti i beni, senza più nulla per campare neanche un giorno, altri, per amore dei loro cari rimasti intrappolati nel fuoco, pur potendo salvarsi, preferirono morire |
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nec quisquam defendere audebat, crebris multorum minis restinguere prohibentium, et quia alii palam facies iaciebant atque esse sibi auctorem vociferabantur, sive ut raptus licentius exercerent seu iussu [39] Eo in tempore Nero Anti agens non ante in urbem regressus est, quam domui eius, qua Palantium et Maecenatis hortos continuaverat, ignis propinquaret neque tamen sisti potuit, quin et Palatium et domus et cuncta circum haurirentur sed solacium populo exturbato ac profugo campum Martis ac monumenta Agrippae, hortos quin etiam suos patefacit et subitaria aedificia exstruxit, quae multitudinem inopem acciperent; subvectaque utensilia ab Ostia et propinquis municipiis, pretiumque frumenti minutum usque ad ternos nummos |
Nessuno osava lottare contro le fiamme per le ripetute minacce di molti che impedivano di spegnerle, e perché altri appiccavano apertamente il fuoco, gridando che questo era l'ordine ricevuto, sia per potere rapinare con maggiore libertà, sia che quell'ordine fosse reale 39 Nerone, allora ad Anzio, rientrò a Roma solo quando il fuoco si stava avvicinando alla residenza, che aveva edificato per congiungere il Palazzo coi giardini di Mecenate Non si poté peraltro impedire che fossero inghiottiti dal fuoco il Palazzo, la residenza e quanto la circondava Per prestare soccorso al popolo, che vagava senza più una dimora, aprì il Campo di Marte, i monumenti di Agrippa e i suoi giardini, e fece sorgere baracche provvisorie, per dare ricetto a questa massa di gente bisognosa di tutto; da Ostia e dai comuni vicini vennero beni di prima necessità e il prezzo del frumento fu abbassato fino a tre sesterzi per moggio |
quae quamquam popularia in inritum cadebant, quia pervaserat rumor ipso tempore flagrantis urbis inisse eum domesticam scaenam et cecinisse Troianum excidium, praesentia mala vetustis cladibus adsimulantem [40] Sexto demum die apud imas Esquilias finis incendio factus, prorutis per immensum aedificiis, ut continuae violentiae campus et velut vacuum caelum occurreret necdum pos[i]t[us] metus aut redierat [p]lebi s[pes]: rursum grassatus ignis, patulis magis urbis locis; eoque strages hominum minor: delubra deum et porticus amoenitati dicatae latius procidere plusque infamiae id incendium habuit, quia praediis Tigellini Aemilianis proruperat videbaturque Nero condendae urbis novae et cognomento suo appellandae gloriam quaerere |
Provvedimenti che, per quanto intesi a conquistare il popolo, non ebbero l'effetto voluto, perché era circolata la voce che, nel momento in cui Roma era in preda alle fiamme, Nerone fosse salito sul palcoscenico del Palazzo a cantare la caduta di Troia, raffigurando in quell'antica sciagura il disastro attuale 40 Al sesto giorno finalmente l'incendio fu domato alle pendici dell'Esquilino, dopo aver abbattuto, su una grande estensione, tutti gli edifici, per opporre alla ininterrotta violenza devastatrice uno spazio sgombro e, per così dire, il vuoto cielo Non era ancora cessato lo spavento né rinata una debole speranza: di nuovo il fuoco divampò in luoghi della città più aperti; ciò determinò un numero di vittime inferiore, ma più vasto fu il crollo di templi degli dèi e di porticati destinati allo svago Questo secondo incendio provocò commenti ancora più aspri, perché era scoppiato nei giardini Emiliani, proprietà di Tigellino, e si aveva la sensazione che Nerone cercasse la gloria di fondare una nuova città e di darle il suo nome |
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quippe in regiones quattuordecim Romam dividitur, quarum quattuor integrae manebant, tres solo tenus deiectae, septem reliquis pauca tectorum vestigia supererant, lacera et semusta [41] Domum et insularum et templorum, quae amissa sunt, numerum inire haud promptum fuerit; sed vetustissima religione, quod Servius Tullius Lunae, et magna ara fanumque, quae praesenti Herculi Arcas Evander sacraverat, aedesque Statoris Iovis vota Romulo Numaeque regia et delubrum Vestae cum penatibus populi Romani exusta; iam opes tot victoriis quaesitae et Graecarum artium decora, exim monumenta ingeniorum antiqua et incorrupta, [ut] quamvis in tanta resurgentis urbis pulchritudine multa seniores meminerint, quae reparari nequibant fuere qui adnotarent XIIII Kal Sextiles principium incendii huius ortum, quo et Seneones captam urbem inflammaverint |
Infatti dei quattordici quartieri in cui è ancora divisa Roma, ne rimanevano intatti quattro, con tre rasi al suolo e degli altri sette restavano pochi relitti di case, mezzo diroccate e semiarse 41 Calcolare il numero delle case, degli isolati e dei templi andati distrutti non è facile: fra i templi di più antico culto bruciarono quello di Servio Tullio alla Luna, la grande ara e il tempietto che l'arcade Evandro aveva consacrato, in sua presenza, a Ercole, il tempio votato a Giove Statore da Romolo e la reggia di Numa e il delubro di Vesta coi penati del popolo romano; e poi le ricchezze accumulate con tante vittorie, e capolavori dell'arte greca e i testi antichi e originali dei grandi nomi della letteratura, sicché, anche nella straordinaria bellezza della città che risorgeva, i vecchi ricordavano molti capolavori ora non più sostituibili Ci fu chi osservò che l'incendio era scoppiato il diciannove di luglio, lo stesso giorno in cui i Senoni presero Roma e la diedero alle fiamme |
alii eo usque cura progressi sunt, ut totidem annos, mensesque et dies inter utraque incendia numer[ar]ent [42] Ceterum Nero usus est patriae ruinis exstruxitque domum, in qua haud proinde gemmae et aurum miraculo essent, solita pridem et luxu vulgata, quam arva et stagna et in modum solitudinem hinc silvae, inde aperta spatia et prospetus, magistris et machinatoribus Severo et Celere, quibus ingenium et audacia erat etiam, quae natura denegavisset, per artem temptare et viribus principis inludere namque ab lacu Averno navigabilem fossam usque ad ostia Tibernia depressuros promiserant squalenti litore aut per montes adversos neque enim aliud umidum gignendis aquis occirrit quam Pomptinae paludes: cetera abrupta aut arentia, ac si perrumpi possent, intolerandus labor nec satis causae |
Altri giunsero a calcoli così maniacali da stabilire che tra i due incendi erano trascorsi lo stesso numero di anni, di mesi e di giorni 42 Sfruttò Nerone la rovina della patria per costruirsi un palazzo, in cui destassero meraviglia non tanto le pietre preziose e l'oro, di normale impiego anche prima, in uno sfoggio generalizzato, quanto prati e laghetti e, a imitazione di una natura selvaggia, da una parte boschi, dall'altra distese apriche e vedute panoramiche, il tutto opera di due architetti, Severo e Celere, che avevano avuto l'audacia intellettuale di creare con l'artificio ciò che la natura aveva negato, sperperando le risorse del principe Avevano, infatti, promesso di scavare un canale navigabile dal lago Averno fino alle foci del Tevere, attraverso spiagge desolate e l'ostacolo dei monti Non esiste, infatti, altro terreno acquitrinoso da cui derivare le acque, se non le paludi pontine: tutto il resto è scosceso e arido e, se si fosse potuto aprire un passaggio, la fatica sarebbe stata tremenda e sproporzionata |
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Nero tamen, ut erat incredibilium cupitor, effodere proxima Averno iuga conisus est, manentque vestigia inritae spei [43] Ceterum urbis quae domui supererant non, ut post Gallica incendia, nulla distinctione nec passim erecta, sed dimensis vicorum ordinibus et latis viarum spatiis cohibitaque aedificiorum altitudine ac patefactis areis additisque porticibus, quae frontem insularum protegerent eas proticus Nero sua pecunia exstructurum purgatasque areas dominis traditurum pollicitus est addidit praemia pro cuiusque ordine et rei familiaris copiis, finivitque tempus, intra quod effectis domibus aut insulis apiscerentur |
Tuttavia Nerone, nella sua smania di cose impossibili, tentò degli scavi nelle alture vicine all'Averno, e restano le tracce di questo progetto irrealizzato 43 Sulle aree della città che, dopo la costruzione della reggia, restavano libere, non si costruì, come dopo l'incendio dei Galli, senza un piano e nel disordine, bensì calcolando l'allineamento delle vie e la carreggiata ampia delle strade, ponendo limiti di altezza agli edifici, con vasti cortili e con l'aggiunta di portici, per proteggere le facciate degli isolati Nerone promise di costruire i portici a sue spese e di restituire ai loro proprietari le aree fabbricabili sgombre dalle macerie Assegnò dei premi, secondo il ceto e le disponibilità economiche di ciascuno, e fissò un limite di tempo entro cui potessero disporne, a costruzione ultimata di case o isolati |