Lei è nuda, ci dà le spalle con il corpo leggermente inclinato in un passo avanti, le natiche tonde perfette, la testa rivolta verso di noi, con fare grazioso e ammiccante senza essere spudorata. E' Minerva che gioca a fare Venere. E' la resa della guerriera che si prende una pausa e che esce dalla corazza per andare a scegliersi un vestito decorato con pietre preziose. Ricordandosi e ricordando anche a noi di non essere solo la dea delle strategie belliche, ma anche la protettrice degli artigiani, la seducente bellezza nata dalla testa di Zeus.
E' uno dei dipinti più famosi dell'artista, datato 1613 e conservata nella Galleria Borghese di Roma.
La bolognese Lavinia Fontana, manierista efficace e determinata, madre di undici figli nonché capo bottega, figlia d'arte ma talento riconosciuto in un'epoca in cui per una donna era pressoché impossibile fare carriera, ha colto questo aspetto. La seduzione della sua Minerva ha l'ingenuità di una neofita: una posa quasi plastica, come di chi sta imitando qualcuno perché è abituata a fare ben più ruvido e mascolino. La testa reclinata e da manuale, nessun sorriso lascivo, ma un accenno timido alla dolcezza, più con gli occhi che con le labbra quello di Minerva è un gioco, autarchico e consapevole