E' Betsabea, moglie di Uria l'Ittita, uno dei suoi generali, in quel momento impegnato in battaglia. Dopo poco tempo la donna rimane incinta e le cose si fanno complicate: la lunga assenza del marito renderebbe esplicita la relazione adulterina, severamente punita dalla legge.
David richiama Uria, la sua intenzione è far sì che il generale si unisca alla moglie in modo da rendere legittima la futura nascita. Uria si sottrae: trova inaccettabile darsi ai piaceri coniugati mentre i suoi soldati stanno combattendo. David cerca anche di farlo ubriacare ma niente. Esasperato passa al piano B: spedisce Uria in una specie di missione suicida e ottiene il risultato voluto, il generale muore in battaglia, Betsabea è sua.
Il testo sacro ci dice poi del pentimento di David, che salva la propria anima ma non il figlio che Betsabea dà alla luce: muore prematuramente, colpito dalla punizione divina. Avranno altri due figli, il primo dei quali, Salomone, darà avvio alla stirpe di Gesù
Ci sono opere in cui il nostro sguardo di spettatori viene esplicitamente reclamato, in cui non possiamo far finta di niente: Sei lì e stai guardando la scena. Esattamente come re David. Jacopo Zucchi allestisce una specie di festino in una "spa" con un'ampia vasca, una fontana, preziosi arredi, vasi di unguenti profumati e uno stuolo di ragazze, alcune vestite altre no, che si bagnano, chiacchierano, si asciugano, assumono varie posizioni, sempre un po' contorte ma con disinvoltura, incuranti della balconata che corre in alto e dalla quale si affaccia proprio David. Incuranti di lui, non di noi.
Il compito di attrarre la nostra attenzione è affidato a una delle ancelle che aiutano Betsabea - intenta ad asciugarsi o a spogliarsi -, si tratta della figura centrale, a seno scoperto, che regge un vassoio e si piega leggermente su un fianco per lanciarci un'occhiata e un sorriso malizioso.