Compianto su Cristo morto - Giotto nella cappella degli Scrovegni

Compianto su Cristo morto - Giotto nella cappella degli Scrovegni

La scena fa parte del registro riguardante la passione di Cristo. L'iconografia conclude la narrazione di Gesù in terra. La sua è una tragedia intensiva ed emotiva. L'episodio è tratto dal Vangelo e descrive il momento in cui il corpo viene deposto dalla Croce

Gesù viene cosparso di unguenti profumati. Maria abbraccia, accasciata, suo figlio mentre Maria Maddalena sorregge i piedi del Cristo, lei che in passato gli aveva sciugato i piedi con i suoi capelli. Dietro di lei ci sono Giuseppe di Arimatea e Nicodemo, in piedi aspettano il loro turno per ricoprire con un telo bianco il corpo esanime. In un lamento che satura l'aria, Santa Marta tiene tra le sue mani quelle di Cristo mentre san Giovanni partecipa dolorosamente alla scena tenendo le braccia spalancate accentuando la sua disperazione.

Sullo sfondo un albero spoglio divide idealmente tra una dimensione divina con dieci angeli che mostrano il coinvolgimento celeste per la morte del Cristo, e una dimensione terrena. Il punto focale è l'abbraccio tra Maria, umanamente addolorata, e Gesù, tutti gli sguardi convergono verso di loro. Le posizioni dei personaggi sono spontanee e viene introdotta una novità assoluta per l'epoca: due figure di spalle

Giotto è stato un precoce esploratore delle emozioni. Nella Cappella degli Scrovegni, agli albori del 300 ha elaborato un primo catalogo di iconografie sentimentali a cui hanno attinto tanti maestri nei secoli successivi. La sua immaginazione si è spinta dove nessuno aveva osato prima, costruendo un universo di fatto dominato dalle emozioni che non risparmiano alcuna creatura vivente. Né quelle terrene né quelle celesti. 

Il suo desiderio di inserire in un contesto realistico e credibile ogni presenza lo ha spinto ad attribuire emozioni anche a chi nella religione cristiana ne sarebbe dovuto rimanere estraneo: gli angeli. Siamo di fronte ad un dolore cosmico che non risparmia nemmeno il paesaggio: una roccia tagliente abitata soltanto da un albero secco e desolato.

Dieci angeli scendono dal cielo a manifestare il loro tormento per la morte del Salvatore. Il loro strazio è indagato tanto quanto quello degli uomini: un piccolo membro della schiena Celeste si inarca all'indietro, colpito da un dolore che partecipa anche fisicamente. I suoi compagni si strappano i capelli, spalancano le braccia liberando un pianto disperato, si asciugano le lacrime con le veste con la veste, si tappano le orecchie per non sentire il lamento che satura l'aria.

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i Messaggeri di Dio volano senza meta, impazziti dal dolore, si volgono in spirali turbinose segnando nel cielo linee che convergono sul dramma in corso a terra. L'orchestrazione del volo, in diversi volteggi, alcuni estremamente audaci, mostrano come Giotto sappia controllare in modo molto sagace la costruzione di questa scena, senza rinunciare ad attribuire a ciascun Angelo una sua reazione individuale.

Che fine ha fatto la serafica compostezza delle schiere celesti? Gli angeli hanno dimenticato che Cristo risorgerà nel giro di due notti. Di fronte al suo corpo esangue hanno abbracciato anche loro la natura umana e si sono lasciati travolgere dalla disperazione per la perdita del figlio di Dio.

Soffrono alla strega di uomini in preda al tormento, che nasce dalla sensazione di non poter tornare indietro e cambiare una situazione dolorosa. Proviamo una tristezza infinita e un dolore inconsolabile quando perdiamo qualcuno e sappiamo di non poterlo riavere in alcun modo di fronte ad un distacco irreversibile non troviamo pace.

Giotto arriva a superare i confini posti dalla teologia medievale, avvicinando vertiginosamente la dimensione umana limitata e sconvolta dalle emozioni, a quella Celeste, dove fino a quel momento le passioni non hanno avuto asilo.

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