Lucrezio, De rerum natura: Libro 06 Parte 06

Lucrezio, De rerum natura: Libro 06 Parte 06

Latino: dall'autore Lucrezio, opera De rerum natura parte Libro 06 Parte 06
exultare etiam Samothracia ferrea vidi et ramenta simul ferri furere intus ahenis in scaphiis, lapis hic Magnes cum subditus esset; usque adeo fugere a saxo gestire videtur

aere interposito discordia tanta creatur propterea quia ni mirum prius aestus ubi aeris praecepit ferrique vias possedit apertas, posterior lapidis venit aestus et omnia plena invenit in ferro neque habet qua tranet ut ante

cogitur offensare igitur pulsareque fluctu ferrea texta suo; quo pacto respuit ab se atque per aes agitat, sine eo quod saepe resorbet

Illud in his rebus mirari mitte, quod aestus non valet e lapide hoc alias impellere item res
Ho visto inoltre saltar su ferrei anelli di Samotracia ed insieme infuriare limatura di ferro dentro bacini di bronzo, sotto cui era stata messa questa pietra di Magnesia: tanto il ferro appare smanioso di fuggir via dalla pietra

Se il bronzo è interposto, si crea una discordia tanto grande perché, evidentemente, quando l'emanazione del bronzo ha prima raggiunto e occupato gli aperti condotti del ferro, l'emanazione della pietra arriva seconda, e tutto trova pieno nel ferro, e non ha luogo per cui possa passare come prima

è quindi costretta a urtare e battere con la sua onda gl'intrecci del ferro; così respinge da sé e agita attraverso il bronzo quel che, senza questo, di solito attira

A questo proposito, cessa di stupirti di ciò: che la corrente di questa pietra non ha la forza di muover parimenti altre cose
pondere enim fretae partim stant, quod genus aurum; at partim raro quia sunt cum corpore, ut aestus pervolet intactus, nequeunt inpellier usquam, lignea materies in quo genere esse videtur

interutrasque igitur ferri natura locata aeris ubi accepit quaedam corpuscula, tum fit, inpellant ut eo Magnesia flumine saxa

nec tamen haec ita sunt aliarum rerum aliena, ut mihi multa parum genere ex hoc suppeditentur, quae memorare queam inter se singlariter apta

saxa vides primum sola colescere calce

glutine materies taurino iungitur una, ut vitio venae tabularum saepius hiscant quam laxare queant compages taurea vincla

vitigeni latices aquai fontibus audent misceri, cum pix nequeat gravis et leve olivom
Giacché alcune stan ferme in virtù del proprio peso: tale è l'oro; altre invece, poiché hanno corpo poroso, sì che la corrente vi passa a volo intatta, non possono esser spinte in alcun luogo: di questa specie è evidentemente la materia del legno

La natura del ferro, dunque, è intermedia e, quando ha accolto in sé certi corpuscoli di bronzo, allora avviene che le pietre di Magnesia la muovano con la loro corrente

Né tuttavia questi fenomeni son tanto estranei ad altre cose che solo ben poche cose di questa specie io trovi tali da poterle menzionare come connesse esclusivamente fra loro

In primo luogo, vedi che le pietre si legano soltanto con la calce

Dalla colla di toro il legname è congiunto insieme in tal modo che spesso le venature delle tavole si schiantano per un difetto prima che i legami della colla taurina possano allentare la stretta

Il succo nato dalla vite è pronto a mischiarsi con fonti d'acqua, mentre non possono far questo la greve pece e l'olio lieve
purpureusque colos conchyli iungitur uno corpore cum lanae, dirimi qui non queat usquam, non si Neptuni fluctu renovare operam des, non mare si totum velit eluere omnibus undis

denique res auro non aurum copulat una, aerique [aes] plumbo fit uti iungatur ab albo

cetera iam quam multa licet reperire

quid ergo

nec tibi tam longis opus est ambagibus usquam nec me tam multam hic operam consumere par est, sed breviter paucis praestat comprendere multa quorum ita texturae ceciderunt mutua contra, ut cava conveniant plenis haec illius illa huiusque inter se, iunctura haec optima constat

est etiam, quasi ut anellis hamisque plicata inter se quaedam possint coplata teneri; quod magis in lapide hoc fieri ferroque videtur
E il purpureo colore della conchiglia si congiunge insieme col corpo della lana, sì che non può esser diviso in alcun modo, neppure se col flutto di Nettuno t'adopri a ripristinarla, neppure se l'intero mare voglia detergerla con tutte le onde

Infine, non è una sola la cosa che unisce l'oro all'oro, e non è vero che al bronzo il bronzo è unito solo dallo stagno

Quanti altri casi ancora potremmo trovare

Ma a che pro

Né tu hai alcun bisogno di tanto lunghe ambagi, né a me conviene spendere qui tanta fatica, ma è meglio brevemente abbracciare molte cose con poche parole: quei corpi i cui intrecci son capitati in reciproco riscontro, sì che i vuoti di questo corrispondono ai pieni di quello, e i vuoti di quello ai pieni di questo, fanno l'unione migliore

Accade pure che certi corpi possano tenersi congiunti fra loro come se fossero intrecciati per mezzo di anellini e di uncini: tale appare piuttosto il caso di questa pietra e del ferro

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Lucrezio, De rerum natura: Libro 03 Parte 04

Latino: dall'autore Lucrezio, opera De rerum natura parte Libro 03 Parte 04

Nunc ratio quae sit morbis aut unde repente mortiferam possit cladem conflare coorta morbida vis hominum generi pecudumque catervis expediam

primum multarum semina rerum esse supra docui quae sint vitalia nobis, et contra quae sint morbo mortique necessest multa volare

ea cum casu sunt forte coorta et perturbarunt caelum, fit morbidus aer

atque ea vis omnis morborum pestilitasque aut extrinsecus ut nubes nebulaeque superne per caelum veniunt aut ipsa saepe coorta de terra surgunt, ubi putorem umida nactast intempestivis pluviisque et solibus icta

nonne vides etiam caeli novitate et aquarum temptari procul a patria qui cumque domoque adveniunt ideo quia longe discrepitant res

nam quid Brittannis caelum differre putamus, et quod in Aegypto est, qua mundi claudicat axis
Ora spiegherò quale sia la causa delle malattie e donde la forza maligna possa sorgere d'un tratto e arrecare esiziale strage alla stirpe degli uomini e alle torme degli animali

Anzitutto, sopra ho insegnato che esistono semi di molte cose che per noi sono vitali, e per contro è necessario che ne volino molti altri che causano malattia e morte

Quand'essi per casuale incontro si son raccolti e han perturbato il cielo, l'aria si fa malsana

E tutta quella forza di malattie e la pestilenza, o vengono dall'esterno, attraversando nell'alto il cielo come le nuvole e le nebbie, o spesso si raccolgono e sorgono dalla terra stessa, quando essa, pregna di umidità, è diventata putrida sotto i colpi di piogge e di soli eccessivi

Non vedi pure che dalla novità del cielo e delle acque sono provati quanti giungono in un luogo lontano dalla patria e dalla casa, perché grande è la discrepanza delle cose

Infatti, che differenza pensiamo ci sia fra il clima dei Britanni e quello che c'è in Egitto, dove l'asse del mondo s'abbassa
quidve quod in Ponto est differre et Gadibus atque usque ad nigra virum percocto saecla colore

quae cum quattuor inter se diversa videmus quattuor a ventis et caeli partibus esse, tum color et facies hominum distare videntur largiter et morbi generatim saecla tenere

est elephas morbus qui propter flumina Nili gignitur Aegypto in media neque praeterea usquam

Atthide temptantur gressus oculique in Achaeis finibus

inde aliis alius locus est inimicus partibus ac membris; varius concinnat id aer

proinde ubi se caelum, quod nobis forte alienum, commovet atque aeër inimicus serpere coepit, ut nebula ac nubes paulatim repit et omne qua graditur conturbat et immutare coactat, fit quoque ut, in nostrum cum venit denique caelum, corrumpat reddatque sui simile atque alienum
O che differenza fra il clima che c'è nel Ponto e quello che va da Cadice fino alle nere stirpi d'uomini dal colore bruciato

E come vediamo che questi quattro climi dalle parti dei quattro venti e delle regioni del cielo son diversi fra loro, così si vede che il colore e la faccia degli uomini differiscono largamente e le malattie s'attaccano ai viventi secondo le razze

C'è l'elefantiasi, che nasce presso il corso del Nilo, nel cuore dell'Egitto, e in nessun altro luogo

Nell'Attica sono colpiti i piedi, e nel territorio acheo gli occhi

Altri luoghi poi sono nemici ad altre parti e membra: di ciò è causa il variare dell'aria

Perciò quando una zona di cielo, che per caso ci sia avversa, si mette in agitazione e un'aria malefica comincia a spargersi, come una nebbia e una nuvola a poco a poco s'insinua e, dovunque s'avanzi, tutto perturba e forza a trasformarsi; avviene pure che, quando arriva alfine al nostro cielo, lo corrompa e lo renda a sé simile e a noi avverso

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Lucrezio, De rerum natura: Libro 05 Parte 05

Latino: dall'autore Lucrezio, opera De rerum natura parte Libro 05 Parte 05

haec igitur subito clades nova pestilitasque aut in aquas cadit aut fruges persidit in ipsas aut alios hominum pastus pecudumque cibatus, aut etiam suspensa manet vis aeëre in ipso et, cum spirantes mixtas hinc ducimus auras, illa quoque in corpus pariter sorbere necessest

consimili ratione venit bubus quoque saepe pestilitas et iam pigris balantibus aegror

nec refert utrum nos in loca deveniamus nobis adversa et caeli mutemus amictum, an caelum nobis ultro natura corumptum deferat aut aliquid quo non consuevimus uti, quod nos adventu possit temptare recenti

Haec ratio quondam morborum et mortifer aestus finibus in Cecropis funestos reddidit agros vastavitque vias, exhausit civibus urbem
E così, sùbito questa nuova specie di rovina e di pestilenza o si abbatte sulle acque o penetra persino nelle messi o in altri cibi degli uomini e nelle pasture del bestiame, o anche rimane sospesa nell'aria stessa la sua forza, e, quando respirando ne immettiamo in noi gli aliti contaminati, dobbiamo insieme assorbire nel corpo quegli elementi maligni

In simile modo la pestilenza raggiunge spesso anche i buoi, e la malattia si estende ai tardi greggi belanti

Né importa se noi stessi andiamo in luoghi a noi avversi e passiamo sotto il mantello di un altro cielo, o la natura spontaneamente porta a noi un cielo corrotto o qualcosa con cui non siamo avvezzi ad aver contatto, che può colpirci con l'arrivare improvviso

Tale causa di malattie e mortifera emanazione, un tempo, nel paese di Cecrope, rese funerei i campi e spopolò le strade, svuotò di cittadini la città
nam penitus veniens Aegypti finibus ortus, aeëra permensus multum camposque natantis, incubuit tandem populo Pandionis omni

inde catervatim morbo mortique dabantur

principio caput incensum fervore gerebant et duplicis oculos suffusa luce rubentes

sudabant etiam fauces intrinsecus atrae sanguine et ulceribus vocis via saepta coibat atque animi interpres manabat lingua cruore debilitata malis, motu gravis, aspera tactu

inde ubi per fauces pectus complerat et ipsum morbida vis in cor maestum confluxerat aegris, omnia tum vero vitai claustra lababant

spiritus ore foras taetrum volvebat odorem, rancida quo perolent proiecta cadavera ritu

atque animi prorsum [tum] vires totius, omne languebat corpus leti iam limine in ipso
Venendo infatti dal fondo della terra d'Egitto, ove era nato, dopo aver percorso molta aria e distese fluttuanti, piombò alfine su tutto il popolo di Pandione

Allora, a torme eran preda della malattia e della morte

Dapprima avevano il capo in fiamme per il calore e soffusi di un luccichìo rossastro ambedue gli occhi

La gola, inoltre, nell'interno nera, sudava sangue, e occluso dalle ulcere il passaggio della voce si serrava, e l'interprete dell'animo, la lingua, stillava gocce di sangue, infiacchita dal male, pesante al movimento, scabra al tatto

Poi, quando attraverso la gola la forza della malattia aveva invaso il petto ed era affluita fin dentro il cuore afflitto dei malati, allora davvero vacillavano tutte le barriere della vita

Il fiato che usciva dalla bocca spargeva un puzzo ributtante, simile al fetore che mandano i putridi cadaveri abbandonati

Poi le forze dell'animo intero e tutto il corpo languivano, già sul limitare stesso della morte

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Lucrezio, De rerum natura: Libro 05 Parte 04

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intolerabilibusque malis erat anxius angor adsidue comes et gemitu commixta querella

singultusque frequens noctem per saepe diemque corripere adsidue nervos et membra coactans dissoluebat eos, defessos ante, fatigans

nec nimio cuiquam posses ardore tueri corporis in summo summam fervescere partem, sed potius tepidum manibus proponere tactum et simul ulceribus quasi inustis omne rubere corpus, ut est per membra sacer dum diditur ignis

intima pars hominum vero flagrabat ad ossa, flagrabat stomacho flamma ut fornacibus intus

nil adeo posses cuiquam leve tenveque membris vertere in utilitatem, at ventum et frigora semper

in fluvios partim gelidos ardentia morbo membra dabant nudum iacientes corpus in undas

multi praecipites nymphis putealibus alte inciderunt ipso venientes ore patente
E agli intollerabili mali erano assidui compagni un'ansiosa angoscia e un lamentarsi commisto con sospiri

E un singhiozzo frequente, che spesso li costringeva notte e giorno a contrarre assiduamente i nervi e le membra, li struggeva aggiungendo travaglio a quello che già prima li aveva spossati

Né avresti notato che per troppo ardore in alcuno bruciasse alla superficie del corpo la parte più esterna, ma questa piuttosto offriva alle mani un tiepido contatto, e insieme tutto il corpo era rosso d'ulcere quasi impresse a fuoco, come accade quando per le membra si diffonde il fuoco sacro

Ma la parte più interna in quegli uomini ardeva fino alle ossa, nello stomaco ardeva una fiamma, come dentro fornaci

Sicché non c'era cosa, benché lieve e tenue, con cui potessi giovare alle membra di alcuno, ma vento e frescura cercavano sempre

Alcuni immergevano nei gelidi fiumi le membra ardenti per la malattia, gettando dentro le onde il corpo nudo

Molti caddero a capofitto nelle acque di pozzi profondi, mentre accorrevano protendendo la bocca spalancata
insedabiliter sitis arida corpora mersans aequabat multum parvis umoribus imbrem

nec requies erat ulla mali: defessa iacebant corpora

mussabat tacito medicina timore, quippe patentia cum totiens ardentia morbis lumina versarent oculorum expertia somno

multaque praeterea mortis tum signa dabantur: perturbata animi mens in maerore metuque, triste supercilium, furiosus voltus et acer, sollicitae porro plenaeque sonoribus aures, creber spiritus aut ingens raroque coortus, sudorisque madens per collum splendidus umor, tenvia sputa minuta, croci contacta colore salsaque per fauces rauca vix edita tussi

in manibus vero nervi trahere et tremere artus a pedibusque minutatim succedere frigus non dubitabat
La sete che li riardeva inestinguibilmente e faceva immergere i corpi, rendeva pari a poche gocce molta acqua

E il male non dava requie: i corpi giacevano stremati

La medicina balbettava in un muto sgomento, mentre quelli tante volte rotavano gli occhi spalancati, ardenti per la malattia, privi di sonno

E molti altri segni di morte si manifestavano allora: la mente sconvolta, immersa nella tristezza e nel timore, le ciglia aggrondate, il viso stravolto e truce, le orecchie, inoltre, tormentate e piene di ronzii, il respiro frequente o grosso e tratto a lunghi intervalli, e stille di sudore lustre lungo il madido collo, sottili sputi minuti, cosparsi di color di croco e salsi, a stento cavati attraverso le fauci da una rauca tosse

Non cessavano, poi, di contrarsi i nervi nelle mani e di tremare gli arti, e di montare su dai piedi a poco a poco il freddo

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item ad supremum denique tempus conpressae nares, nasi primoris acumen tenve, cavati oculi, cava tempora, frigida pellis duraque in ore, iacens rictu, frons tenta manebat

nec nimio rigida post artus morte iacebant

octavoque fere candenti lumine solis aut etiam nona reddebant lampade vitam

quorum siquis, ut est, vitarat funera leti, ulceribus taetris et nigra proluvie alvi posterius tamen hunc tabes letumque manebat, aut etiam multus capitis cum saepe dolore corruptus sanguis expletis naribus ibat huc hominis totae vires corpusque fluebat

profluvium porro qui taetri sanguinis acre exierat, tamen in nervos huic morbus et artus ibat et in partis genitalis corporis ipsas
Così, quando alfine si appressava il momento supremo, erano affilate le narici, assottigliata e acuta la punta del naso, incavati gli occhi, cave le tempie, gelida e dura la pelle nel volto, cascante la bocca aperta; la fronte rimaneva tesa

E non molto dopo le membra giacevano irrigidite dalla morte

E generalmente quando raggiava il sole dell'ottavo giorno, o anche sotto la luce del nono, esalavano la vita

E se taluno d'essi, come accade, era sfuggito a morte e funerali, per ulcere orrende e nero flusso di ventre più tardi tuttavia lo attendevano consunzione e morte; o anche molto sangue corrotto, spesso con dolore di testa, gli colava dalle narici intasate: qui affluivano tutte le forze dell'uomo e la sostanza del suo corpo

Se poi qualcuno era scampato al terribile profluvio di sangue ributtante, ciò nonostante la malattia gli penetrava nei nervi e negli arti e fin dentro gli organi genitali

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