Lucrezio, De rerum natura: Libro 06 Parte 04, pag 2

Lucrezio, De rerum natura: Libro 06 Parte 04

Latino: dall'autore Lucrezio, opera De rerum natura parte Libro 06 Parte 04
est et Athenaeis in moenibus, arcis in ipso vertice, Palladis ad templum Tritonidis almae, quo numquam pennis appellunt corpora raucae cornices, non cum fumant altaria donis; usque adeo fugitant non iras Palladis acris pervigili causa, Graium ut cecinere poetae, sed natura loci opus efficit ipsa suapte

in Syria quoque fertur item locus esse videri, quadripedes quoque quo simul ac vestigia primum intulerint, graviter vis cogat concidere ipsa, manibus ut si sint divis mactata repente

omnia quae naturali ratione geruntur, et quibus e fiant causis apparet origo; ianua ne pote eis Orci regionibus esse credatur, post hinc animas Acheruntis in oras ducere forte deos manis inferne reamur, naribus alipedes ut cervi saepe putantur ducere de latebris serpentia saecla ferarum
Ce n'è uno anche fra le mura di Atene, proprio in cima alla rocca, presso il tempio di Pallade Tritonide, datrice di vita, dove le rauche cornacchie non spingono mai con le ali i loro corpi, nemmeno quando gli altari fumano di offerte: tanto tendono a fuggire, non per evitare le ire acerbe di Pallade provocate dal loro vigilare, come cantarono i poeti dei Greci, ma perché la natura stessa del luogo produce da sé l'effetto

Anche in Siria, si dice, similmente si può vedere un luogo, dove anche i quadrupedi, appena vi mettono piede, son costretti dalla sua stessa forza a stramazzare pesantemente, come se d'un tratto fossero sacrificati ai Mani divini

Ma tutte queste cose si svolgono per legge naturale, e son chiare le cause da cui traggono origine; perciò non si deve credere che in quelle regioni possa esistere la porta di Orco, e non dobbiamo quindi pensare che per caso di là dietro gli dèi Mani tirino giù le anime alle rive acherontee, come spesso si suppone che gli alipedi cervi con le nari tirino fuori dalle tane le selvagge stirpi dei serpenti
quod procul a vera quam sit ratione repulsum percipe; nam de re nunc ipsa dicere conor

Principio hoc dico, quod dixi saepe quoque ante, in terra cuiusque modi rerum esse figuras; multa, cibo quae sunt, vitalia multaque, morbos incutere et mortem quae possint adcelerare

et magis esse aliis alias animantibus aptas res ad vitai rationem ostendimus ante propter dissimilem naturam dissimilisque texturas inter sese primasque figuras

multa meant inimica per auris, multa per ipsas insinuant naris infesta atque aspera tactu, nec sunt multa parum tactu vitanda neque autem aspectu fugienda saporeque tristia quae sint

Deinde videre licet quam multae sint homini res acriter infesto sensu spurcaeque gravisque
Ma ascolta quanto questo si discosti lontano dalla verità, giacché ora tento di parlare della cosa in sé stessa

Anzitutto dico ciò che anche prima ho detto spesso, che nella terra ci sono elementi di ogni specie di cose; molti, che servono di cibo, vitali, e molti che possono provocare malattie e affrettare la morte

E prima ho mostrato che per esseri viventi diversi cose diverse sono più adatte ai bisogni della vita, perché dissimile è la natura e dissimili sono fra loro gli intrecci e le forme degli elementi

Molte cose dannose passano attraverso le orecchie, molte rovinose e scabre a toccarsi s'insinuano per le stesse nari, né sono poche quelle che devono essere evitate dal tatto e fuggite dalla vista e che sono sgradevoli al gusto

Poi, si può vedere quante cose cagionino all'uomo un senso aspramente increscioso e siano nauseanti e perniciose
arboribus primum certis gravis umbra tributa usque adeo, capitis faciant ut saepe dolores, siquis eas subter iacuit prostratus in herbis

In primo luogo è propria di certi alberi un'ombra tanto perniciosa che sovente causano dolori al capo, se qualcuno si è coricato ai loro piedi, disteso nell'erba

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