[26, 76] Tum Lucius: Mihi vero ista valde probata sunt, quod item fratri puto Tum mihi Piso: Quid ergo inquit, dasne adolescenti veniam An eum discere ea mavis, quae cum plane perdidiceriti nihil sciat Ego vero isti, inquam, permitto Sed nonne merninisti licere mihi ista probare, quae sunt a te dicta Quis enim potest ea, quae probabilia videantur ei, non probare An vero, inquit, quisquam potest probare, quod perceptfum, quod comprehensum, quod cognitum non habet Non est ista, inquam, Piso, magna dissensio Nihil enim est aliud, quam ob rem mihi percipi nihil posse videatur, nisi quod percipiendi vis ita definitur a Stoicis, ut negent quicquam posse percipi nisi tale verum, quale falsum esse non possit Itaque haec cum illis est dissensio, cum Peripateticis nulla sane |
[26, 76] E Lucio: Quanto a me son stato proprio convinto, e credo parimenti mio cugino E Pisone a me: E allora sei disposto ad accordare il permesso al giovanotto O forse preferisci chegli impari una dottrina e quando labbia imparata ben bene non sappia nulla Ed io: Per me, io gli dò il permesso Ma non ti ricordi che mi è possibile approvare quanto tu hai detto Chi infatti può rifiutare la sua approvazione a ciò che gli sembra verosimile Ed egli: Daltra parte cè qualcuno che possa approvare ciò di cui non ha percezione, idea, nozione E io: Questo dissenso non è grande, o Pisone Non cè nullaltro che, a mio avviso, possa impedire la percezione, se non la definizione che della facoltà di percepire dànno gli Stoici: essi affermano che non si può percepir nulla se non è tale verità quale non potrebbe essere falsa Pertanto questo dissenso ha luogo nei loro riguardi; con i Peripatetici non ve nè alcuno davvero |
Sed haec omittamus; habent enim et bene longam et satis litigiosam disputationem [77] Illud mihi a te nimium festinanter dictum videtur, sapientis omnis esse semper beatos; nescio quo modo praetervolavit oratio Quod nisi ita efficitur, quae Theophrastus de fortuna, de dolore, de cruciatu corporis dixit, cum quibus coniungi vitam beatam nullo modo posse putavit, vereor, ne vera sint Nam illud vehementer repugnat, eundem beatum esse et multis malis oppressum Haec quo modo conveniant, non sane intellego Utrum igitur tibi non placet, inquit, virtutisne tantam esse vim, ut ad beate vivendum se ipsa contenta sit An, si id probas, fieri ita posse negas, ut ii, qui virtutis compotes sint, etiam malis quibusdam affecti beati sint |
Ma lasciamo questo argomento: comporta una disputa assai lunga e abbastanza contrastata [77] A me sembra troppo affrettata la tua asserzione che i sapienti sono tutti sempre felici; non so come, il tuo discorso ha sorvolato Se non si ottiene questo risultato, temo che sia vero quanto disse Teofrasto della fortuna, del dolore, dei tormenti del corpo, con i quali, secondo lui, non si può conciliare in alcun modo la felicità della vita Il contrasto in realtà è forte: essere felice e nello stesso tempo oppresso da molti mali Non capisco davvero come possano andare daccordo queste situazioni Tu dunque disapprovi che la virtù abbia tanta forza da bastare da sola a dare la felicità nella vita Oppure, se approvi questo, dici impossibile che chi è in possesso della virtù felice anche se colpito da certi mali |
Ego vero volo in virtute vim esse quam maximam; sed quanta sit alias, nunc tantum possitne esse tanta, si quicquam extra virtutem habeatur in bonis [78] Atqui, inquit, si Stoicis concedis ut virtus sola, si adsit vitam efficiat beatam, concedis etiam Peripateticis Quae enim mala illi non audent appellare, aspera autem et incommoda et reicienda et aliena naturae esse concedunt, ea nos mala dicimus, sed exigua et paene minima Quare si potest esse beatus is, qui est in asperis reiciendisque rebus, potest is quoque esse qui est in parvis malis Et ego: Piso, inquam, si est quisquam, qui acute in causis videre soleat quae res agatur Is es profecto tu Quare attende, quaeso Nam adhuc, meo fortasse vitio, quid ego quaeram non perspicis |
Per mio conto voglio che la virtù abbia la maggior forza possibile; ma quanto sia grande la sua forza lo vedremo unaltra volta, per ora limitiamoci a considerare se possa essere tanta nel caso che si consideri un bene qualcosa al di fuori della virtù [78] Eppure se tu concedi agli Stoici che, se è presente li sola virtù, si produce la felicità nella vita, lo concedi anche ai Peripatetici Giacché quelli che essi non osano chiamare mali tua ammettono che sono asprezze, disagi, da respingere, contrari a natura, noi li chiamiamo mali, però insignificanti e quasi esistenti Perciò, se può essere felice chi si trova coinvolto in cose aspre e da respingersi, lo può essere anche chi si trova fra piccoli mali Ed io: Pisone, se cè qualcuno che in un dibattito di solito veda con acutezza di che si tratta Quel tale sei certamente tu Perciò porgi attenzione, ti prego Giacché forse per colpa mia, non intendi che cosa voglio sapere |
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Istic sum, inquit,expectoque quid ad id, quod quaerebam, respondeas [27, 79] Respondebo me non quaerere, inquam, hoc tempore quid virtus efficere possit, sed quid constanter dicatur, quid ipsum a se dissentiat Quo igitur, inquit, modo Quia, cum a Zenone, inquam, hoc magnifice tamquam ex oraculo editur: 'Virtus ad beate vivendum se ipsa contenta est', Quare inquit, respondet: 'Quia, nisi quod honestum est, nullum est aliud bonum Non quaero iam verumne sit; illud dico, ea, quae dicat, praeclare inter se cohaerere [80] Dixerit hoc idem Epicurus, semper beatum esse sapientemquod quidem solet ebullire non numquam , quem quidem, cum summis doloribus conficiatur, ait dicturum: 'Quam suave est quam nihil curo '; non pugnem cum homine, cur tantum habeat in natura boni; illud urgueam, non intellegere eum quid sibi dicendum sit, cum dolorem summum malum esse dixerit |
Son qua, ed aspetto la tua risposta a quello che chiedevo [27, 79] Ti risponderò che in questo momento io non voglio sapere quale possa essere leffetto della virtù, ma quale asserzione sia coerente e quale contradclittoria E come dunque Perché quando Zenone come un oracolo proclama questo principio la virtù basta da sola per render felice la vita e gli si obietta perché risponde: perché non esiste altro bene se non ciò che è onesto Non se sia vero; osservo che in ciò che dice cè una coerenza perfetta [80] Lo stesso potrebbe dire Epicuro: il sapiente è sempre felice (e ne suole parlare con enfasi talvolta); secondo lui il piente quando è assalito dai più gravi dolori dirà: quanto è dolce come n me ne curo niente; mon me la piglierei con quel tale perché attribuisce sì grande valore alla potiiru del bene: gli ribatterei che non capisce che cosa deve dire, quanto ha definito il dolore supremo male |
Eadem nunc mea adversum te oratio est Dicis eadem omnia et bona et mala, quae quidem dicunt ii, qui numquam philosophum pictum, ut dicitur, viderunt: valitudinem, vires, staturam, formam, integritatem unguiculorum omnium , deformitatem, morbum, debilitatem mala [81] Iam illa externa parce tu quidem; sed haec cum corporis bona sint, eorum conficientia certe in bonis numerabis, amicos, liberos, propinquos, divitias, honores, opes Contra hoc attende me nihil dicere, [illud dicere], si ista mala sunt, in quae potest incidere sapiens, sapientem esse non esse ad beate vivendum satis Immo vero, inquit, ad beatissime vivendum parum est, ad beate vero satis |
Identico è il mio sente discorso nei tuoi riguardi Quelli che tu chiami beni è mali sono tutti i medesimi a cui dànno appnnto tale nome oloro che non hanno mai visto un filosofo, neppure dipinto, unte si suol dire: la salute, le forze, la statura, la bellezza, ntegrità di tutte le unghie sono beni, la storpiezza, la malattia, linfermità sono mali [81] Quanto alle doti esterne sei stato parco; dato che quelli ora elencati sono beni del corpo, annovererai certamente fra i beni ciò che ne è complemento: gli i amici, i parenti, le ricchezze, gli onori, la potenza Bada bene che contro di ciò non dico nulla; dico questaltro: se quelli da te indicati sono mali a cui il sapiente può dar soggetto, lesser sapiente non è sufficiente per viver felice Invece no; per vivere al colmo della felicità è poco, ma felice è sufficiente |
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Animadverti, ínquam, te isto modo paulo ante ponere, et scio ab Antiocho nostro dici sic solere; sed quid minus probandum quam esse aliquem beatum nec satis beatum Quod autem satis est, eo quicquid accessit, nimium est; et nemo nimium beatus est; ita nemo beato beatior [82] Ergo, inquit, tibi Q Metellus, qui tris filios consules vidit, e quibus unum etiam et censorem et triumphantem, quartum autem practorem, eosque salvos reliquit et tris filias nuptas, cum ipse consul, censor, etiam augur fuisset triumphasset, ut sapiens fuerit, nonne beatior quam, ut item sapiens fuerit, qui in potestate hostium vigiliis et inedia necatus est, Regulus [28, 83] Quid me istud rogas inquam Stoicos roga Quid igitur, inquit, eos responsuros putas Nihilo beatiorem esse Metellum quam Regulum |
Mi sono accorto che pocanzi tu ponevi la questione in questi termini, e so che tali sono pure le idee del nostro Antioco; ma quale affermazione deve essere approvata di questa, che uno sia felice e non abbastanza felice Qualunque supplemento si aggiunga a ciò che è sufficiente, è di troppo; e nessuno è troppo felice: così nessuno è più felice di uno felice [82] Quinto Metello vide tre dei suoi figli consoli, cui uno anche censore e trionfatore, e il quarto pretore, e lasciò essi in vita e tre figlie sposate, ed inoltre fu egli stesso console, censore, anche augure e trionfatore: dunque, secondo te, ammesso che egli sia stato sapiente, non fu più felice di Regolo, ammesso che parimenti sia stato sapiente, il quale in potere dei nemici fu ucciso dalle veglie e dal digiuno [28, 83] Perché a me questa domanda Rispondo Volgila agli Stoici Quale pensi che sarà la loro risposta Che Metello non fu affatto più felice di Regolo |
Inde igitur, inquit, ordiendum est Tamen a proposito, inquam, aberramus Non enim quaero quid verum, sed quid cuique dicendum sit Utinam quidem dicerent alium alio beatiorem Iam ruinas videres In virtute enim sola et in ipso honesto cum sit bonum positum, cumque nec virtus, ut placet illis, nec honestum crescat, idque bonum solum sit, quo qui potiatur, necesse est beatus sit, cum id augeri non possit, in quo uno positum est beatum esse, qui potest esse quisquam alius alio beatior Videsne, ut haec concinant Et herculefatendum est enim, quod sentio mirabilis est apud illos contextus rerum :respondent extrema primis, media utrisque, omnia omnibus Quid sequatur, quid repugnet, vident Ut in geometria, prima si dederis, danda sunt omnia |
di lì dunque che bisogna prendere lo spunto Tuttavia ci discostiamo ugualmente dal nostro proposito Io non voglio sapere qual è la verità, ma che cosa ciascuno deve dire Lo dicessero che uno è più felice di un altro Ne vedresti senzaltro il crollo Infatti, secondo loro, poichè il bene esiste nella sola virtù e nella stessa onestà, e la virtù non aumenta e neppure lonestà, e questo è il solo bene di cui qualcuno si impossessa, deve essere necessariamente felice, poiché non può crescere questunica cosa in cui consiste lessere felici: come può darsi che uno sia più felice di un altro Vedi come tutto ciò è in perfetto accordo E per Ercole (devo confessare quello che penso), è mirabile in essi la concatenazione di concetti: i punti finali trovano rispondenza nei primi, quelli mediani negli uni e negli altri, tutti in tutti Vedono le conseguenze, vedono le contraddizioni Come in geometria, se ammetti i punti iniziali, devi ammettere tutto |
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Concede nihil esse bonum, nisi quod bonestum sit: concedendum est in virtute positam beatam vitam vide rursus retro: dato hoc dandum erit illud [84] Quod vestri non item 'Tria genera bonorum'; proclivi currit oratio Venit ad extremum; haeret in salebra Cupit enim dícere nihil posse ad beatam vitam deesse sapienti Honesta oratio, Socratica, Platonis etiam Audeo dicere, inquit Non potes, nisi retexueris illa Paupertas si malum est, mendicus beatus esse nemo potest, quamvis sit sapiens At Zeno eum non beatum modo, sed etiam divitem dicere ausus est Dolere malum est: in crucem qui agitur, beatus esse non potest Bonum liberi: misera orbitas Bonum patria: miserum exilium Bonum valitudo: miser morbus |
Concedi che nulla è bene se non ciò che è onesto: devi concedere che la felicità della vita consiste nella virtù guarda di nuovo indietro: ammesso questo, si dovrà ammettere quello [84] Per i vostri non è la stessa cosa Vi sono tre generi di beni: il discorso fila scorrevole Giunge alla fine: si arena in un intoppo Giacché pretende dire che non può mancar nulla al sapiente per la felicità nella vita Discorso onesto, socratico, anche platonico Osserva: Loso ben dire Non puoi, a meno che non sia disposto a distare il resto Se la povertà è un male, nessuno può essere felice nella condizione di mendicante, per quanto sia sapiente Però Zenone osò dire che una tale persona non solo è felice ma anche ricca Provar dolore è un male: chi vien messo in croce, non può essere felice I figli sono un bene: la mancanza di prole è uninfelicità La patria è un bene: lesilio è uninfelicità La salute è un bene: la malattia è uninfelicità |
Bonum integritas corporis: misera debilitas Bonum incolumis acies: misera caecitas Quae si potest singula consolando levare, universa quo modo sustinebit Sit enim idem caecus, debilis Morbo gravissimo affectus, exul, orbus, egens, torqueatur eculeo: quem hunc appellas, Zeno Beatum, inquit Etiam beatissimum Quippe, inquieta cum tam docuerim gradus istam rem non habere quam virtutem, in qua sit ipsum etíam beatum [85] Tibi hoc incredibile, quod beatissimum Quid Tuum credibile |
Lintegrità del corpo è un bene: linfermità è uninfelicità Una vista perfetta è un bene: la cecità è uninfelicità Se può alleviare queste cose una per volta mediante la consolazione, come le sopporterà tutte quante insieme Ammettiamo infatti che la medesima persona sia cieca Che sia minorata, colpita da gravissima malattia, esule, senza prole, nellindigenza, torturata sul cavalletto ; come lo chiami costui, o Zenone Egli risponde:Felice Anche al colmo della felicità Dirà:certamente, poiché secondo il mio insegnamento questa cosa non ha gradazione, così come la virtù, in cui risiede pure la felicità stessa [85] Per te risulta incredibile che questo sia il colmo della felicità Ma come E la tua tesi è credibile |
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Si enim ad populum me vocas, eum qui ita affectus, beatum esse numquam probabis; si ad prudentes, alterum fortasse dubitabunt, sitne tantum in virtute, ut ea praediti vel in Phalaridis tauro beati sint, alterum non dubitabunt, quin et Stoici conveniente sibi dicant et vos repugnantia Theophrasti igitur, inquit, tibi liber ille placet de beata vita Tamen aberramus a proposito, et, ne longius, prorsus, inquam, Piso, si ista mala sunt, placet [86] Nonne igitur tibi videntur, inquit, mala Id quaeris, inquam, in quo, utrum respondero, verses te huc atque illuc necesse est Quo tandem modo inquit Quia, si mala sunt, is, qui erit in iis, beatus non erit Si mala non sunt, iacet omnis ratio Peripateticorum Et ille ridens: Video, inquit, quid agas; ne discipulum abducam, times |
Se infatti mi chiami al giudizio della gente, non riuscirai mai a provare che chi si trova in tale condizione è felice; se al giudizio delle persone assennate, forse avranno dubbi su un punto: che la virtù abbia tanto valore per cui chi ne è fornito è felice anche entro il toro di Falaride ; ma su questaltro no certamente: che le affermazioni degli Stoici sono coerenti e le vostre contraddittorie Ti piace dunque quel libro di Teofrasto su La vita felice Però ci discostiamo ugualmente dal nostro proposito, e, per non farla lunga, sì, o Pisone, se codeste cose sono mali, mi piace [86] A te dunque non sembrano mali Mi fai una domanda per cui, che io risponda si o no, devi necessariamente rivoltarti da una parte e dallaltra E in che modo mai Diceva Perché, se sono mali, chi ne è soggetto, non sarà felice Se non lo sono, tutta la dottrina peripatetica giace abbattuta Ed egli ridendo: - Capisco il tuo modo di fare: temi che ti porti via il discepolo |